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Inizia il campionato e, senza tifosi, non è Toro

Andrea Arena Columnist 
La situazione attuale è disastrosa, la disaffezione evidente e il legame tra società e piazza è consumato. Eppure, il tempo delle polemiche è finito.

Non riesco ancora a digerire quello che è successo con Vanoli. Un allenatore che aveva restituito compattezza, identità e dignità a un intero ambiente, liquidato senza un vero perché. Invece di difendere quel patrimonio costruito tra mille difficoltà, la società ha preferito voltargli le spalle. Non è stato solo un torto a lui, ma un messaggio indiretto a noi tifosi: trascurati, non ascoltati, poco rispettati. E questo, proprio nella stagione che stiamo iniziando, pesa. Perché il Toro non è fatto di numeri, contratti o figurine: il Toro è fatto di Tifosi e di Persone straordinarie. Eppure, il tempo delle polemiche è finito. Lunedì ricomincia il campionato e, che ci piaccia o no, il Toro ha bisogno di ritrovare il suo cuore: i tifosi.

La situazione attuale è disastrosa, la disaffezione evidente. Negli ultimi anni il legame tra società e piazza si è consumato. La scorsa stagione, grazie al lavoro del marketing e di Vanoli, lo stadio aveva ricominciato a riempirsi, a tornare caldo come solo il Grande Torino sa essere. Eppure, oggi i numeri raccontano l’opposto. Non parliamo dei social, dove è stato fatto un lavoro importante, ma di empatia reale, di comunicazione diretta, di ascolto reciproco: ed è qui che la società ha alzato muri.

Secondo StageUp e Ipsos, il seguito granata è sceso da circa 462.000 a 409.000 tifosi in un solo anno, segnando un –11,5%: uno dei cali più drastici della Serie A, che invece nel complesso ha registrato un +4,7%. Peggio del Toro solo Monza ed Empoli, entrambe retrocesse.

In questi giorni ho ascoltato le parole di Gianluca Petrachi, che ha colto un punto cruciale: la stanchezza di un’intera città e il bisogno di una nuova spinta. "Il pubblico granata è desideroso di una nuova spinta e la città di Torino è stanca. Nelle ultime stagioni l’andamento è stato costante ma privo di emozioni o obiettivi importanti", ha detto, aggiungendo di aver rivolto il consiglio direttamente al presidente Cairo. Una diagnosi lucida: i numeri non sono solo il frutto dei risultati, ma di una perdita di entusiasmo diffusa.

Il Toro non retrocede, ma non cresce. Resta fermo, in un limbo che non accende entusiasmo. In questa immobilità, i tifosi si sentono lasciati soli. Manca comunicazione, manca un progetto condiviso, manca la percezione che la nostra passione conti davvero. E spiace dirlo, ma le continue interviste del Presidente, sempre con le stesse frasi ormai note a tutti, non aiutano noi, non aiutano lui e non aiutano il Toro.

Il popolo granata non può vivere di routine. Ha bisogno di sentirsi parte di un sogno, anche se quel sogno non è lo scudetto: basta lottare insieme, con dignità, fino all’ultimo minuto.

E ora la responsabilità passa a Marco Baroni. Un allenatore serio, preparato, che ha dimostrato di saper costruire gruppi solidi e competitivi. Ma qui, al Toro, la sfida è doppia: non basta allenare bene, serve accendere subito la scintilla con i tifosi. La piazza granata deve sentirlo vicino, deve riconoscersi nella sua squadra. Solo così il lavoro quotidiano può trasformarsi in entusiasmo, e l’entusiasmo in appartenenza.

Un segnale di sintonia lo ha già dato Giovanni Simeone: senza fronzoli, senza telecamere, si è recato a Superga. Un gesto semplice e profondo, che dimostra quanto abbia compreso l’essenza del Toro e la necessità di entrare subito in armonia con la nostra storia. È la mano tesa che aspettavamo, il tipo di rispetto che ci fa sentire presenti. Ed è stato emozionante anche risentire il nostro Capitano, Duván Zapata, raccontare il momento della lettura dei nomi dei nostri Invincibili. Sarà lui a riaccendere la passione? Noi tutti preghiamo che sia così.

Si può discutere quanto si vuole di Urbano Cairo, ma su una cosa non ci sono dubbi: senza la sua gente, il Toro perde se stesso. Un allenatore può lavorare, i giocatori possono correre, ma se sugli spalti manca la voce dei tifosi, manca l’anima.

Noi non siamo un accessorio. Siamo il cuore pulsante. Siamo noi a trasformare una partita in epopea, un gol in leggenda, un campionato in festa. Se questo cuore non batte, il Toro diventa una squadra qualunque.

Da dove ripartire? Tre punti chiari e indispensabili:

  • Una squadra che lotti – i granata possono accettare di perdere, ma mai di arrendersi.
  • Una società trasparente – capace di spiegare le scelte, mostrare una direzione, riconoscere il valore dei suoi tifosi.
  • Un patto con la gente granata – non uniformità di pensiero, ma rispetto reciproco e senso di appartenenza.
  • Il Toro è caduto mille volte e mille volte si è rialzato. Ma oggi la sfida non è solo resistere: è ritrovare la propria anima. I numeri parlano di un calo, ma la storia granata insegna che nei momenti più bui nasce sempre la luce. Il Toro non è una società di calcio qualunque: è una fede, un’identità, un’eredità che si tramanda. E finché ci saranno i Tifosi che cantano, soffrono e sognano per questa maglia, io mi sentirò parte di qualcosa di unico. Buon campionato ragazzi, e che sia davvero da Toro.

    Sono business partner di uno dei principali player internazionali nella formazione aziendale dove promuovo il cambiamento e il miglioramento delle prestazioni individuali e di squadra all’interno delle organizzazioni. Lo sviluppo delle competenze, la ricerca dell’empatia e la comprensione delle persone mi portano a vivere la vita e l’innovazione come fattori positivi e distintivi delle relazioni.

    Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.