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A chi si riferiva quindi il mister? Forse alle scelte dettate da Cairo? Certamente. D'altronde da sempre il mood aziendale viene impartito dal proprietario, se padre/padrone come nel caso del nostro presidente, o dalla dirigenza, se delegata a ciò dalla proprietà (ad esempio come nel caso dell'Inter dove Marotta ha cambiato molto l'andazzo in casa nerazzurra dal suo arrivo). Il Torino è in mano a Cairo da diciotto lunghi anni, un periodo statistico talmente affidabile, ormai, che ogni considerazione sulla sua presidenza è ormai un fatto constatato più che un'opinione. Allora non bisogna aver paura di dire che il modo di gestire il Torino da parte di Cairo è vincente sotto il profilo economico, ma decisamente perdente sotto il profilo sportivo. Il "tocco magico" del nostro presidente in tutte le attività economiche da lui gestite è assolutamente inadatto al Torino FC e alle ambizioni sportive di questa piazza. Cairo sta accumulando scudetti del bilancio tanto quanto tristissimi record negativi sul piano sportivo: la peggiore sconfitta casalinga di sempre, un numero di derby persi imbarazzante e senza uguali nella storia ultracentenaria di questa società, nessun piazzamento europeo in campionato (le due partecipazioni all'Europa League sono avvenute per penalizzazione delle squadre che ci erano arrivate davanti), nessun percorso oltre i quarti di finale in Coppa Italia. Una mediocrità sportiva volutamente alimentata da mere priorità economiche. Un'aridità emotiva anche nei momenti in cui si poteva osare di più per coltivare qualche sogno talmente palese da non sembrare neppure logica per la natura e l'ambizione di chi di solito sta a capo di una società sportiva. Questo è Cairo e questo è il suo Torino.
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Professionisti come Juric (ma anche come fu Miha, ad esempio), mai messi in condizione di fare un passo in più della metà classifica. Calciatori ormai abituati a considerare il Toro come una piazza trampolino per future reali ambizioni in altri lidi. Noi tifosi ci accapigliamo discutendo sulle scelte dell'allenatore di turno o sui gol sbagliati dal giocatore di turno, ma il problema sta a monte, in una proprietà che non ha mai posto obiettivi ambiziosi semplicemente perché richiedevano maggiori impegni economici. L'obbiettivo è restare in Serie A per continuare a prendere i diritti TV, vera e unica linfa che permette alle società di autofinanziarsi e ai presidenti di non investire attingendo alle proprie risorse. Altro non è previsto. Peccato che a noi tifosi manchi in toto il gusto di poter sognare qualcosa di più. Non magari una squadra che vince, ma una che almeno ci possa provare. E per averla qualcuno che ha il potere di decidere deve decidere di provare a costruirla una squadra così. Di darle una mentalità vincente ad una squadra così. I fatti ci dicono però che ciò non accade e che il Torino di Cairo dimostra ad ogni occasione importante di avere una mentalità perdente. Difficile farsene una ragione. Perché per fortuna da queste parti vincere non è l'unica cosa che conta e, grazie al cielo ci differenzia chiaramente da "quegli altri" specialisti in ogni tipo di alterazione della competizione sportiva, ma nemmeno siamo meri seguaci del Barone De Coubertin. Perché se non ci fosse la speranza che ogni tanto possa accadere qualcosa di bello, guadagnato sul campo con la grinta e con la voglia, che senso avrebbe tifare Toro?
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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