Il Granata Della Porta Accanto / Una strategia comunicativa basata sul terrorismo psicologico che serve solamente a costringere i tifosi a guardare il dito e non la luna...
È sempre difficile dare i voti al calciomercato perché le operazioni che sulla carta possono sembrare positive, per alcuni, o negative, per altri, vanno sempre poi giudicate e pesate alla prova del campo. Più che sul merito delle operazioni fatte in entrata ed in uscita, a me qualche perplessità l'ha lasciata piuttosto la tempistica con cui tali operazioni sono state condotte oltre alla sensazione che la strategia del mercato del Toro sia cambiata più volte durante questa sessione in balia degli eventi. Sulle tempistiche, bene lo slancio iniziale, molto male l'essersi ridotti all'ultimo per completare l'opera. Ed è un peccato perché gli acquisti di Bonazzoli e Gojak sono risultati agli occhi di tutti come delle seconde scelte quando invece con le giuste tempistiche avrebbero potuto essere considerati, per età e prospettive, dei validi innesti. Di pari passo, si può criticare la strategia di Vagnati (o di Cairo…?) che se avesse portato gli ex Sampdoria e Dinamo Zagabria a mercato appena iniziato avrebbe potuto dare alla piazza un forte segnale di rinnovamento e dipingere a media e tifosi l'idea che la società si muovesse in una determinata direzione. Lasciando perdere il teatrino sul regista, pedina fondamentale che non è arrivata per un problema di costi, e la pessima figura nel voler far credere che Giampaolo si fosse "innamorato" di Rincon spacciando il venezuelano per un Iniesta che ha passato la carriera a fingere di essere un umile medianaccio, anche sul fronte uscite la società ha nicchiato fino all'ultimo per cercare di vendere i propri "esuberi tecnici" a prezzi fuori mercato in epoca di Covid. Una strategia perdente che da un lato ha limitato il mercato in entrata, privato dei ricavi di alcune cessioni che erano da fare a tutti i costi (Lyanco, Izzo, Edera e almeno uno tra Zaza e Verdi) e dall'altra ha lasciato Giampaolo con potenziali scontenti nello spogliatoio, almeno fino a gennaio.
Dulcis in fundo ci ha pensato Cairo, con la solita dichiarazione fuori luogo, a tirare le somme del mercato del Toro: "avrei voluto fare di più, ma il Torino è già fallito quindici anni fa". Una strategia comunicativa basata su un terrorismo psicologico che purtroppo trova ancora terreno fertile nella platea granata, ma che serve solamente a costringere i tifosi a guardare il famoso dito e non la luna.. . Il presidente ha gioco facile a mascherare una decrescita sportiva per lui felice perché lo mette al riparo dalla necessità di seri investimenti sfruttando la generale situazione critica del calcio in tempi di covid unita alla sempreverde minaccia di un fallimento che ancora oggi è un lutto mai del tutto elaborato da una buona parte della piazza granata. La verità è che ai tifosi la decrescita degli ultimi tempi non piace soprattutto perché non è mai stata bilanciata da una vera crescita nei quindici anni dell'era Cairo: se di crescita si può parlare questa è stata lenta, controversa e mai realmente consolidata ad un livello soddisfacente. Due settimi posti conditi da partecipazioni all'Europa League ottenute per demeriti altrui (Parma e Milan) sono un bottino magro per una società che non ha mai saputo darsi un'organizzazione strutturata per cercare di ambire alle prime sei posizioni di classifica. Lo specchio di tutto ciò, a mio parere, è la constatazione che i tre più costosi acquisti della storia (Niang, Zaza e Verdi) sono giocatori che dal punto di vista del rendimento non hanno apportato nulla al club. Il denaro è una variabile determinante per accedere ad un certo livello di competizione, ma non è l'unica discriminante a determinare tale successo: i sessanta milioni spesi per quei tre giocatori, una somma pari a circa un anno di fatturato del Torino, sarebbero potuti essere utilizzati in maniera più proficua se la società avesse avuto manager e tecnici più competenti inseriti in un contesto di un progetto sportivo chiaro e definito. E l'ultimo mercato ha confermato che siamo ben lontani da quella stabilità tecnico-manageriale che è la base per ambire a qualunque obbiettivo di successo sportivo. Inutile parlare dell'Atalanta, basta guardare in casa nostra e vedere ad esempio come il settore giovanile è cresciuto sotto la guida di Bava e del suo staff e come tale crescita si sia arrestata nel momento in cui Bava è stato spostato in Prima Squadra e il suo team è stato smantellato.