ARTISSIMA 2025

Lasciarci le penne
Artissima e il Toro
Internazionale d'Arte Contemporanea
Un giro tra gli stand di Artissima, la fiera d'arte contemporanea che si svolge a Torino, è un tuffo nello spirito e nella creatività, in un mondo che nessuna Intelligenza Artificiale riuscirà a contaminare o eguagliare. Ci si aggira tra i colori, i materiali, la sensazione tattile del pensiero che si fa materia per ritrasformarsi in intuizione, in un gioco di onde multiforme e spiazzante. L'arte non ha forme o epoche univoche e basta fare pochi passi per passare da Amani Bodo, con il più classico dei classici (Las meninas di Diego Velàzquez) rielaborato in chiave afro dall'artista congolese, all'astrazione pura (ma sempre meno astratta della nostra terza maglia della passata stagione). Si spazia dalle opere di Maurizio Nannucci che urlano cromatiche frasi interrogandoci, in mezzo a quell'abbondanza di suggestioni visive, su "che cosa vedere e che cosa non vedere", alla scultura fiabesca e inquietante del Pretty Tree di Adriana Proganò, fino al visonario biliardo di Mario Merz nel quale una bianca luce al neon si trasforma in stecca.
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Mentre mi aggiravo nei corridoi alla ricerca di elettrizzanti microshock artistici, vivevo la straniante esperienza di seguire contemporaneamente Torino-Pisa sul cellulare, scorrendo la cronaca testuale di Toro News: mai ambientazione è stata più adatta ad accogliere le sensazioni che hanno accompagnato il subitaneo passaggio dalla frustrante doppia batosta all'esaltazione della rimonta. Contaminare sport e arte può sembrare stridente ma, come certi piatti escogitati da chef creativi che accostano sapori lontani che non sai se ti sono piaciuti oppure no, non può lasciarti indifferente. Non è la prima volta che devo rinunciare al Toro per seguire una mostra d'arte e con il tempo ho imparato a padroneggiare la situazione: anni fa, inesperto e pieno di giovanile furore, nell'atmosfera compresa e silenziosa di un vernissage stavo ascoltando di nascosto Tutto il calcio minuto per minuto (non era ancora periodo di dirette internet e la partita, quando non eri allo stadio, te la facevi raccontare da un manipolo di giornalisti-artisti delle radiocronache).
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Ero riuscito faticosamente a celare un auricolare tra i capelli con l'aiuto di una grossa sciarpa da finto intellettuale e mi sentivo uno dei colleghi di Fantozzi, ingegnosi nel tentativo (fallito) di nascondere radioline e microtelevisori con i quali avrebbero voluto seguire Inghilterra-Italia durante la proiezione obbligata della corazzata Kotiomkin. Io, più abile, non venni sgamato fino a quando, nel finale di un Lecce-Torino, l'arbitro assegnò ai Salentini un calcio di rigore. Trattenni il fiato per poi esplodere, nel silenzio assoluto, un urlo liberatorio: "Fuori!". Gli astanti mi davano le spalle, contemplando le tele. Si guardarono l'un l'altro, chiedendosi se fosse necessario abbandonare la sala a seguito di quell'ordine perentorio, poi iniziarono a cercare con lo sguardo il colpevole del grido iconoclasta. Anch'io mi guardai intorno, scuotendo il capo come per dire: "Che gente! Questi disturbatori non dovrebbero farli entrare". Sono riuscito a mantenere il segreto per anni e lo svelo a voi, oggi. Zitti, mi raccomando: tra granata ci si dà sempre una mano.
Autore di gialli, con "Cocktail d'anime per l'avvocato Alfieri" ha vinto l'edizione 2020 di GialloFestival. Marco P.L. Bernardi condivide con il protagonista dei suoi romanzi l'antica passione per il Toro e l'amore per la letteratura e la canzone d'autore.
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