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L’impotenza dei tifosi di calcio

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Torna "Loquor", la rubrica di Carmelo Pennisi: "Perché questo è il calcio, anche se qualcuno, anzi più di qualcuno, pare esserselo dimenticato"
Carmelo Pennisi
Carmelo Pennisi Columnist 

La critica è la potenza dell’impotenza

Alphonse de Lamartine

Sant’Agostino scrive che “la speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle”. Uno dei pilastri della teologia cattolica dice il vero, ma solo in parte. O, meglio, dimentica qualcosa perché vedeva la questione con gli occhi del suo tempo(siamo a circa 400 anni dopo la morte di Cristo), dove lo sdegno e il coraggio bastavano per provare a cambiare le cose. Con il tempo l’umanità ha subito cambiamenti molteplici, e oggi si parla di società complesse, di poteri complessi, della forma giuridica messa al servizio dei potenti, che in modo disinvolto si appropriano di un bene comune, come nei fatti è una squadra di calcio. La forma giuridica, attraverso una riforma senza ratio fatta a suo tempo da Walter Veltroni, ha di fatto consegnato al mercato, specie ad un finto mercato senza regole come quello italiano, uno dei beni più preziosi della cultura antropologica popolare del nostro Paese. Perché questo è il calcio, anche se qualcuno, anzi più di qualcuno, pare esserselo dimenticato. E’ quasi paradossale che sia stata una persona di sinistra a permettere la penetrazione nel nostro sport nazionale di logiche eccessivamente finanziarie e mercantili, causa della nascita di tante di quelle zone opache da perdersi nel conto. Nel mentre, attraverso tutta una campagna martellante a favore del neoliberismo nascente, si convinceva l’opinione pubblica come tutto, ma proprio tutto, dovesse essere affidato alle logiche di mercato. Ci sono tanti Milton Friedman e tanti Friedrich von Hayek della domenica, che sui social ti danno del comunista(quando va bene), se tu, che pure sei un liberale, provi a ragionare sui confini e i limiti dovuti dalla logica di mercato agli interessi generali. Avendo imposto una cultura mercatistica/nichilista in tutto il contesto socio/economico globale, è stato un gioco da ragazzi sottrarre i club calcistici ai loro veri proprietari, seppur virtuali: i tifosi.

Il formalismo giuridico ha chiuso gli interessi individuali in fortini inespugnabili, ed è in tale contesto che si sta consumando il dramma dei tifosi del Toro e di quelli del Bari(tanto per fare due esempi). Il Bari a suo tempo fu colpevolmente consegnato dall’allora Sindaco Antonio Decaro, curiosamente anche lui del Partito Democratico, alle ambizioni di Aurelio De Laurentiis, che in quanto già proprietario del Napoli avrebbe dovuto essere l’ultimo ad essere preso in considerazione per il Bari del post fallimento. Sempre il formalismo giuridico consentì, sotto il colpevole silenzio della Federcalcio, la comica nomina alla presidenza di Luigi De Laurentiis, figlio di Aurelio, nella volontà di dimostrare, in una evidente e maldestra operazione di mistificazione, che gli interessi di Luigi fossero differenti da quelli del padre. Tanto chi andrà mai a leggersi che, aldilà dei nomi messi al comando come autentiche foglie di fico, la proprietà dei due club è della “Filmauro”, la quale fa capo ad una fiduciaria, che in quanto fiduciaria scherma i nomi di coloro realmente proprietari dei due club. Si sa per certo come ci fossero altre offerte sul tavolo del Sindaco Decaro, in quel 2018 in cui si trovò a gestire il fallimento del club biancorosso. Però, chissà perché, l’esponente politico piddino, oggi comodamente seduto al Parlamento di Bruxelles, scelse quella del presidente del Napoli. Nella torrida estate del 2018 i tifosi del Bari furono presi dall’entusiasmo per essere stati rilevati dalla famiglia De Laurentiis, non avevano capito che il massimo delle loro ambizioni si sarebbe necessariamente fermato alla Serie B. Infatti, come si sa, in Italia nella stesse serie non possono giocare due club controllati da un unico proprietario. Quando ci si sveglia da un sogno in genere rimangono gli incubi del reale, e oggi i tifosi del Bari, che abitano una delle più importanti città del meridione d’Italia, sono indignati e anche coraggiosi nelle loro proteste contro una proprietà allergica alla natura dello sport agonistico, che è quella di provare a vincere.

Nel capoluogo pugliese si stanno organizzando proteste e iniziative per mettere la famiglia De Laurentiis di fronte alle proprie responsabilità, invitandoli a cedere quanto prima il club. Ma lo sdegno e il coraggio oggi non bastano più, il formalismo giuridico protegge oltre ogni modo il concetto di proprietà, di qualsiasi proprietà. Non c’è mai stata, nel nostro Paese, una iniziativa legislativa per rendere chiara la differenza tra una normale proprietà e quella di una proprietà di un bene comune. Tutto è stato messo in unico calderone giuridico, nell’orgasmo da neoliberismo rivenduto come una assicurazione di benessere per tutti. La realtà fattuale è che non esiste un diritto di esproprio per giusta causa della proprietà di un club di calcio, essendo queste divenute delle normali aziende. Per quanto i tifoso del Bari possono sdegnarsi e stare male, niente potranno mai fare per mandare via i De Laurentiis dal loro club. Analoga situazione, pur con le dovute differenze, sta accadendo al Toro di Urbano Cairo, dove la fallimentare, e ventennale, gestione di quest’ultimo ha ormai creato una frattura totale tra l’editore e la tifoseria Granata. La triste situazione ha creato una oggettiva situazione di stallo nella passione dei tifosi, ormai stanchi di essere relegati dietro le quinte di ogni ambizione sportiva. Ma anche qui il formalismo giuridico e il mal inteso diritto di proprietà di un bene comune, impedisce al coraggio e allo sdegno di poter fare qualcosa di pratico. Sui social si leggono invettive, ragionamenti pacati, parole di rabbia. Poi ci sono numerosi articoli, su varie testate giornalistiche, a denunciare l’incapacità di dare un futuro degno della storia del Toro. Ci sono giornalisti coraggiosi in costante battaglia, perché non bisogna dimenticare come ogni volta si mettano contro un potente editore. Eppure a regnare è il senso di impotenza, il prendere atto come, seppur trovando la necessaria audacia, non c’è nessuna “Bastiglia” o “Palazzo d’Inverno” da poter assaltare, al fine di ribaltare un potere che si è fatto arbitrio. Non c’è nemmeno una elezione democratica, come nelle polisportive stile Real Madrid e Barcellona, per poter sperare di cambiare le cose.

Il calcio nostrano, dal Governo Prodi e dal Governo D’Alema, è stato relegato alla stessa stregua di un lotto di villini di pregio, di cui ogni proprietario può farne ciò che vuole. Non si è mai potuto o voluto ragionare sull’atipicità del calcio e dello sport in generale. Sul finire del 2024, Veltroni pubblica un saggio, pubblicato da “Solferino”, quindi da Urbano Cairo, dal titolo “Numeri 10”, dove il prolifico e poliedrico dell’industria culturale ex segretario del Partito Democratico, racconta la nostalgia di quando “i numeri dieci” erano il talento cristallino del calcio. Dimenticandosi di essere lui ad aver avviato la perversione mercantile nel calcio italiano, con retorica indisponente ci fa presente che questo si è trasformato in una industria(e qui verrebbe giù un intero uditorio dalle risate. Ma, si sa, in Italia c’è chi può dire impunemente ogni tipo di cosa. Anche tutto e il contrario di tutto), e quindi si sono perse emozioni, poesia, identità, fantasia e talento, che sono alla base del mito dello sport più seguito al mondo. Ma la vera perla di Veltroni, che parla sempre come se lui fosse appena atterrato da Marte oppure da semplice passante, fate voi, è questo passaggio dal sapore virgiliano(a volte mi piace esagerare): “quasi tutti i grandi calciatori(anche quelli meno grandi, direi) hanno cominciato negli oratori e per strada. Nessuno è un prodotto delle scuole calcio col prato verde e le docce calde. E’ tutta gente che ha arato campi fatti di polvere”. Ora, a parte la sintassi e la consecutio temporum traballante( ma Veltroni non si corregge, si ama), fa sorridere questa “ostalgie”(neologismo coniato per la nostalgia della Germania comunista) in salsa italica, considerato come a farla sia proprio colui ad aver favorito il processo di trasformazione del calcio italiano nell’incubo odierno. Forse, riferendosi alle scuole calcio, avrebbe dovuto sottolineare come queste siano divenute presto un reticolo di mercimonio opaco e di arbitri vari. Ma questa è un’altra storia. Così, mentre Cairo fa la proposta lunare di concedere al calcio il “tax credit”, situazioni come quelle del Bari e del Toro rimangono senza emozioni e in perenne agonia. I tifosi, resi impotenti, continueranno a contestare alla stessa stregua di una voce perduta nel deserto. “L’impotenza è ancora il miglior contraccettivo esistente”, osserva con arguzia triste lo scrittore sloveno Zarko Petan. Ma con l’impotenza il rischio è la cessazione del desiderio e dell’amore, queste due cose sì alla base del successo del calcio di ogni tempo. Se il calcio non riesce più a produrre amore, diventerà presto una storia finita o marginale. Se si vuole questo, allora andiamo avanti così. Sarà un successo.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

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