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In Italia fu Walter Veltroni, Vice Presidente del Consiglio con delega allo sport del primo “Governo Prodi” a trazione sinistra/progressista, a far cadere nel 1996, attraverso un provvedimento legislativo, l’obbligo di reinvestire gli utili dei club nell’attività sportiva. Il partito erede della “Scissione di Livorno” del 1921, con la nascita del Partito Comunista Italiano, aveva deciso di consegnare il calcio alle società di capitali e alla cervellotica decisione di far sbarcare il carrozzone pedatorio persino in Borsa. Risultato? Dal 1998 al 2007 la Serie A colleziona due miliardi debiti, azzerando così tutto il vantaggio accumulato negli anni 80 e 90 con le altre Leghe europee e facendo sprofondare la nostra massima serie calcistica in una crisi di risultati e di immagine senza precedenti nella storia. La crisi senza fine del calcio italico odierno è figlia di quella “Waterloo” favorita dalla decisione di una sinistra convinta del suo percorso di conversione all’atlantismo acritico, a quell’esistenzialismo non più costretto a passare dalle “Case del Popolo” ma piuttosto indirizzato alla frequentazione dei circoli inneggianti alle necessità prioritarie della Banca Centrale Europea, più attente alla finanza e meno alla qualità del “prodotto” vita. Le cose non vanno meglio nella destra iperliberista surrogato della “Scuola di Chicago”; infatti Javier Milei, nuovo presidente dell’Argentina a colpi di slogan sottolineati dal rumore perpetuo di una motosega, nel suo programma di togliere lo Stato da tutte le ramificazioni dell’economia argentina, ha annunciato di voler intraprendere il percorso inaugurato a suo tempo da Veltroni e dalla “Premier League”, abolendo il vincolo “senza scopo di lucro” dalla gestione dei club “dell’Italia dell’altro emisfero”.
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“Il Boca potrebbe essere acquistato dal capitale arabo o il River dal capitale francese - dice Milei -. Che diavolo te ne frega di chi possiede il club se batti il River 5-0 e sei campione del mondo? O preferisci continuare in questa miseria, in questo calcio di pessima qualità”? Osvaldo Soriano e Osvaldo Bayer si staranno rivoltando nella tomba, e non c’è “don’t cry Argentina” a poterli fermare di fronte all’ennesimo attacco portato al cuore del calcio, al cuore di quell’umanità a cui il calcio è stato cucito come un bel vestito su misura da esibire in “sabati del villaggio” più speranzosi di quelli prefigurati da Giacomo Leopardi. “e se qualcuno – insiste Milei – volesse che il proprio club fosse come il Manchester City? Quale è il problema”? I tifosi argentini stanno facendo notare al neo inquilino della “Casa Rosada” come le prime vittime della svolta liberista della “pelota albiceleste” sarebbero gli sport amatoriali, ingoiati dalla ferrea logica del lucro che ridurrebbe i servizi che i club attualmente prestano alle comunità: scuole, piscine, centri d’attenzione medica, club sociali per anziani. Tutto ciò mentre aumentano povertà, precarietà e si riduce l’accesso ai servizi pubblici. I “Bandezaros”, riunioni nello spazio pubblico dove tifosi e soci hanno unito i loro colori sociali, stanno opponendosi con forza alle idee neo mercantili di Milei, e in questa lotta sono appoggiati da molti dei loro rispettivi club. L’idea è quella di creare un nuovo fronte di resistenza prodromo di un modello alternativo alla proposta arrembante, e venduta come unica possibile, di affidare al denaro tutto ciò concernente il destino comune.
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Siamo nella terra del tango, dello sciopero dei calciatori (anche di quelli più celebri) del 1975 per ottenere il contratto collettivo e il diritto alla mutua, della “Mano di Dio”, degli anarchici che fondarono il “Chacarita e a cui fu consentito di costruire lo stadio solo accanto ad un cimitero. Siamo nel calcio sofferente e di lotta che ribalta “l’alegria” carioca, e ci racconta di uno sport magnifico proprio perché figlio di tutte le apparenti contraddizioni dell’occidente cristiano, quasi ossessivo nel cercare i perché e i per come dell’esistenza, anche a costo di conflitti e tesi e antitesi continue. Siamo al mondo per capire e capirsi mentre la squadra del cuore evoca strategie e disegna geometrie per fare la cosa più semplice e complicata del mondo: infilare un pallone nel fondo di una rete. Scrive Osvaldo Bayer: “il calcio è un gioco capitalista, perché richiede sempre il rendimento, l’affanno di vincere, la superiorità. Un gioco socialista, perché c’è bisogno dello sforzo di tutta la squadra, del mutuo aiuto per ottenere il trionfo, ossia una vita migliore”. Siamo, con le parole di Bayer, alla sintesi della cruna dell’ago dell’esistenza, ad un invito a non farci scippare la cosa più simile al Paradiso (come ricordò una volta Benedetto XVI) mai inventata dall’uomo. Il calcio, quando tutto è passato, aiuta a far prendere senso a quel passato e a farne ricongiungere i vari punti. Cosa c’entra il denaro con tutto questo? Cosa c’entrano gli arabi? Cosa c’entra il futuro in uno sport dove tutto è un presente immerso nel passato? Un’altra istantanea porta in una curva di uno stadio di Buenos Aires. Porta ad un’altra scritta: “Mi barrio-mi vida”. Davvero non c’è altro da dire.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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