Loquor

Avrete sempre un tifoso in più?

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Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“La retorica è un veleno

                                                                         micidiale”.

Giovanni Giolitti

Cosa si può pensare di un tizio, Gleison Bremer, costretto a far incrociare il suo destino alla Juve con i colori bianco e nero del suo cane? I cani sono meravigliose creature perché sovente riescono a giustificare qualsiasi nostra scelta in base ad un loro amore incondizionato verso di noi, amore dovuto da una tale razionalità lineare da far sembrare traiettorie complesse persino dei passaggi di 30/40 metri pennellati da un centrocampista di talento. Si potrebbe dire come a volte i giocatori dovrebbero restare ligi al detto che il silenzio è d’oro, ma quando un club ti paga quasi 50 milioni di euro e ti garantisce uno stipendio annuo di 5 milioni netti qualche parola bisogna pure dirla a sostegno, assai disperato, di giustificare l’ingiustificabile, ovvero il passaggio dal Torino alla Juventus. Non si tratta di rivalità becera e incontrollata di due mondi capaci di non collimare nemmeno svegliandosi ogni mattina sotto lo stesso cielo, si tratta di autentica apostasia dal calcio.

Pur amando moltissimo i cani, ammetto di provare una sorta di fastidio incontrollato quando ne incontro uno bianco e nero. Giuro, non vorrei provare tale fastidio e prima o poi chiederò a San Rocco (protettore dei cani) di riscattarmi da questo triviale istinto, ma è proprio più forte di me. A volte mi chiedo se i calciatori sappiano sul serio cosa sia il calcio, io stesso mi chiedo continuamente se ne sappia davvero qualcosa. Non sto parlando di schemi, di gesti tecnici raffinati, di percentuale di tiri in porta o di possesso del pallone, di ciò ammetto di capirne davvero poco, ne  ho praticamente un discernimento da frequentatore di bar. So tutto di un servizio tennistico in “kick”, ma per carità non parlatemi di come deve “scalare” una difesa perché già faccio fatica a salire le mie di scale. Quindi non sono un “tecnico”, ma posso assicurare di conoscere molto sullo spirito insito da più di un secolo nelle vicende del gioco più seguito al mondo, che per moltissimo tempo ha superato di gran lunga l’esoterica faziosità del “Palio di Siena”, rendendo fratelli e sorelle non gli abitanti di una stessa contrada, ma persone distanti persino centinaia e migliaia di chilometri di distanza.

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Il patrimonio del calcio non è fare a pugni per avere i biglietti in prima fila ad un evento dei “New York Knicks” al “Madison Square Garden” in uno sport, il basket, che a suo tempo ha creato la NBA semplicemente per avere delle entrate aggiuntive, la storia del calcio si fonda sull’idea del “conflitto”, dello scontro inevitabile. Il calcio non è pacifista perché ha sempre accettato la natura umana incline a cercare un motivo per unirsi e così dividersi dagli altri, e non si è mai trovato in imbarazzo davanti al mondo della fine del secondo millennio proteso a cercare ossessivamente la via del politicamente corretto. Per Emiliano Mondonico(quanto mi manca il “Mondo”) i tifosi del Toro erano gli indiani pronti a resistere ad ogni carica dei cowboys, magari destinati a soccombere ma sai la soddisfazione quando arriva il giorno della tua “Little BigHorn”. Se hai solo arco e frecce, lo sai bene, la vita è dura ogni giorno perché ti vogliono buttare fuori dal mondo, vogliono la tua estinzione o, peggio, la tua assimilazione.

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Vogliono si diventi tutti degli allegri spettatori di una partita di rugby, dei pacifici frequentatori della pallavolo o del basket, visto come continuamente l’uomo ragionevole sia descritto come colui ben capace di adattarsi al mondo. Ma poi, ricordando le parole di George Bernard Shaw, è “l’irragionevolezza l’unica via possibile al progresso”, e allora un preoccupato qualcuno (non chiedetemi chi, ve ne prego) ha deciso di anestetizzare il “complesso di Ulisse”, sostituendolo con tanto di quel denaro da far sembrare pura follia il desiderio di ritornare a sfidare il mare dopo vent’anni di assenza da Itaca. Il denaro è diventato la morfina usata per placare ogni dolore, ogni inquietudine, ogni dubbio. Esso garantisce il prosieguo dello spettacolo senza tanti scossoni, a lenire ogni dolore possibile. La ragione vince così, per largo distacco, sull’irragionevolezza. Il denaro non ha “dialettica”, pianifica tutto con la grazia di una ruspa ed ha raggiunto, negli ultimi sessant’anni, la stessa importanza dell’ossigeno; ed è diventato praticamente impossibile dare a “Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”, considerato come Cesare in soli duemila anni, in Occidente, sia riuscito nell’impresa di sostituire i listini di borsa al concetto di un “Creatore” ridotto al desueto.

Il “riduzionismo” operato nei confronti dell’esistenzialismo non ha solo fatto passare di moda la filosofia e la teologia, ma ha svuotato di qualsiasi contenuto ogni differenza, ogni opinione. “io sono così, tu sei colà, e ora mettiamoci sotto un ombrello color arcobaleno e, finalmente, amiamoci e rispettiamoci”; è dichiarare la fine del mondo mentre il mondo continua ad esistere. Bisogna capire come Gleison Bremer non è andato alla Juventus due giorni fa, ma almeno dal momento in cui il Presidente americano Richard Nixon, il 15 agosto del 1971, abolì il “Gold Standard” sancendo la libertà del Dollaro dalla convertibilità con l’oro, facendo così annettere al “Mercato” ogni possibile orizzonte umano, ogni tradizione inventata e istituita fino a quel momento. I processi sociali sono lunghi e sono inesorabili; la lunghezza è necessaria per consentire di diluire nel tempo l’inesorabilità  altrimenti impossibile da accettare se imposta per decreto nel giro di pochi giorni. Il consenso non è questione di cui si possa fare a meno, ed è questo il motivo per cui nelle dittature il Ministero della Propaganda gioca un ruolo di massima importanza. Sono passati più di quarant’anni da quando il Liverpool raggiunse un accordo, dal valore di 100.000 sterline, con “Hitachi” per apporre il marchio della nota azienda di elettronica giapponese sulla sacra maglia rossa (almeno per i supporter della “Kop”) dei “Reds” del “Merseyside”. Solamente due anni dopo “JVC”, altra azienda elettronica giapponese, già si vide costretta a pagare ben 400.000 sterline in più per sponsorizzare la maglia dell’Arsenal: è l’inizio di un effetto domino che porterà gli stadi a prendere un nome tratto da un catalogo pubblicitario invece che da una ex gloria calcistica rimasta nel cuore e nella memoria o dal quartiere dove era sorto.

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Il calcio è conflitto perché si trova nella scomoda e affascinante posizione di essere un punto di vista a cui deve ogni sua fortuna, ogni sua epica, ogni suo amore. Il punto di vista vive una condizione dicotomica davvero unica, visto come sia relativo per definizione e assoluto per convinzione, ma è proprio da questa dicotomia che è fiorita la storia del calcio, oggi diluita dal denaro nell’apostasia, annichilita dalla necessità di vincere assolutamente qualcosa. Il povero cane bianconero di Bremer non c’entra niente con il destino e sicuramente perdonerà la sciocchezza detta in libertà del suo padrone, immemore di quando un altro destino lo faceva saltellare davanti alla “Maratona” intonando un classico “chi non salta juventino è”. L’anima, i ricordi, il destino, teoricamente dovrebbero spingerci a ritornare a casa, ma per fare ciò dovremmo forse ricordarne almeno la via.

Non sarà incolpando Gleison Bremer e Urbano Cairo di fare affari nel tempio ad arrestare lo svuotamento di ogni valore del gioco, poiché dobbiamo ammettere come tutti noi ci si sia arresi da tempo all’inevitabile, è l’inizio è stato proprio il giorno in cui abbiamo desiderato essere tutti ricchi e vincenti. Se riusciremo a riconoscere di aver travisato in parte il “siamo indiani in un mondo di cowboy” di Emiliano Mondonico, se riusciremo a riportare le lancette dei nostri orologi al tempo in cui eravamo “un punto di vista”, se la smetteremo di vivere solo ed unicamente per la vittoria, allora forse potrà ricominciare a rinascere la storia del calcio e proseguire il suo cammino. Al momento siamo come un lungo discorso ascoltato e riascoltato fin troppo. E a volte non è che sia stato proprio un bel discorso.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

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