Ma l’uomo di confine con la pipa pare non sorprendersi di questa mancanza di memoria e gratitudine della sua gente, e si concentra sul portare a termine una missione alla quale pare credere lui e lui solo: vincere il Mondiale sfiorato in Argentina quattro anni prima. Bearzot è persona spigolosa e permalosa, ma dotata di intelligenza rara e grande intuito. Molti sostengono, anche in Italia, come la vittoria iridata spagnola sia stata solo un colpo di fortuna di un tecnico che in un club non avrebbe vinto mai nulla. Ma aver puntato e aspettato Paolo Rossi non fu un colpo di fortuna, ma una conoscenza infinita della natura umana e della natura del gioco del calcio. Enzo Bearzot sapeva “leggere” la vita, e forse aveva imparato a farlo anche nelle sue 230 partite come mediano roccioso del Torino, una squadra dove si gioca a pallone e dove si ha la possibilità, per chi vuole e abbia la sensibilità giusta, di prendere lezioni di esistenzialismo.
Anche la società granata, spiace dirlo, dimentica presto un uomo che dichiarerà sovente come al Toro abbia sempre riservato un posto speciale nel suo cuore. Lasciato il suo incarico dalla nazionale nel 1986, l’uomo di confine è scivolato via dal mondo del calcio senza nulla chiedere e senza nulla pretendere. Nessun club ha avvertito la necessità di avvalersi della sua esperienza, nessuna istituzione ha pensato bene di ricordarlo in qualche modo. Nessuna via e nessuna piazza porta il nome di quest’uomo che ha regalato ad una nazione intera attimi di gioia irripetibili e due Mondiali in cui il calcio italiano ha lasciato segni inequivocabili. “La vita sceglie la musica, noi scegliamo come ballarla”, ha scritto qualcuno forse volendo indicare come siano le scelte veramente a definirci, come la vita non costituisca mai condanne o assoluzioni predefinite. Nemmeno i Mondiali vinti nel 1934 e 1938 l’Italia riuscì a farseli considerare meritati. C’era una dittatura con cui tutti, in giro per il mondo, le chiedevano di fare i conti, e questo finì per travolgere di malignità e pettegolezzi le due vittorie iridate e persino Vittorio Pozzo, vilmente accusato di essere fascista, lui che non aveva mai voluto prendere nemmeno la tessera del partito. La realtà è che Pozzo aveva messo in piedi una squadra di assoluto valore mondiale, facendo palpitare il cuore dell’adolescente Bearzot, che così ebbe a ricordare il giorno della vittoria del 38: “Eravamo tutti nella piazza di Gradisca a sentire la voce di Carosio dagli altoparlanti”. Enzo Bearzot era un uomo di confine, e come tutti gli uomini di confine sapeva bene quanto fosse importante difendere tutto ciò esistente dietro quel perimetro. Era un uomo perbene, era l’Italia che prende pugni sul naso fino a farselo schiacciare, era il simbolo di un Paese con la capacità di sorprenderti sempre. Specie quando qualcuno, persino i suoi intellettuali, pensa sia ormai irrimediabilmente morto. Grazie Enzo.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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