Ci vuole furbizia a saper uscire di scena al momento giusto e con la scusa giusta, e Sacchi ricorre a piene mani a quel difetto da lui attribuito alla cultura italiana e ne approfitta. In fondo non viene da un fiordo scandinavo popolato da guerrieri vichinghi, ma dalla Romagna attraversata da piadine e lambrusco, mentre ci si allieta con le note di Raoul Casadei. Lo stress non gli impedisce di assumere il ruolo che fu di Tiresia nell’antica Grecia (ricordate il grande indovino della mitologia greca? Ecco, lui), e quindi comincia a riprendere con buona lena la sua propensione ad essere il “Righetto” di “breriana” memoria e a discettare su valori ed etica. L’uomo ha un ego abbastanza capiente per contenere in sé non solo la capacità divinatoria di Tiresia, ma anche l’illuminante saggezza di Socrate. Per la serie: ho vinto delle Coppe dei Campioni, qualcuno mi ha scambiato per un profeta, quindi ora posso dire davvero quel che voglio. E nel dire quel che vuole arriva a smentire persino Gesù di Nazareth, che duemila anni fa non deve aver ritenuto la furbizia proprio l’anticamera della disonestà, se con grande decisione comunica ai suoi apostoli la necessità di essere “astuti come serpenti e puri come colombe”(Matteo 10,16). Se il Vate di Fusignano leggesse queste parole trascritte da Matteo, sarebbe capace di chiedere udienza in Vaticano per cambiare il nuovo corso della Chiesa Cattolica.
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Papa Francesco è avvisato. “Quando uno stratega si incontra con un tattico vince sempre uno stratega”, ha provato a dire Sacchi con sicumera da novello Sun Tzu qualche giorno or sono, laddove ovviamente lui è lo stratega assurto alla vittoria imperitura e il resto degli italiani invece cooptati nella mediocrità del tatticismo. Ovviamente dimentica come il supposto tatticismo degli italiani più volte abbia vinto sulla supposta strategia dei brasiliani. Che poi questo riferimento sacchiano alla strategia e alla tattica, dimostra solo come l’ex venditore di scarpe non sia avvezzo al significato di alcune parole. Gli piace “spararle”, sicuro come il giornalista di turno, adorante davanti al Tiresia/Socrate del nostro tempo, non proverà nemmeno per un attimo a confutarlo con un timido “ma cosa sta dicendo, mister? Ops, scusi, Vate”. E se qualche suo amico e protetto (anzi adepto) fallisce su una panchina (Leggi Sarri, Giampaolo, ecc.), allora è la società colpevole di non avergli procurato i giocatori giusti. Se invece il povero Massimiliano Allegri arriva con la Juve in finale di Champions con il materiale messogli a disposizione in modo insindacabile da Agnelli, si prende le sue contumelie in diretta tv, dove la sintesi sta nel: “Il tuo gioco fa schifo”. Napoleone Bonaparte, uno che di egocentrismo se ne intendeva assai, sosteneva come “Dal sublime al ridicolo vi è appena un passo”, perché di certo il genio militare francese non si era messo a chiedersi se Annibale sul Trasimeno o a Canne avesse vinto per tattica o strategia. Sostanzialmente agl’occhi della storia la questione avrebbe rischiato di cadere, appunto, nel ridicolo. Ora una domanda inquietante sorge spontanea: ma Claudio Ranieri ha vinto la Premier League con la tattica o con la strategia? Non vorrei porre il quesito al Vate, perché la risposta potrebbe essere, temo, un ghigno di disgusto traducibile in “fu una botta di culo”. Perché lo stile va difeso. Sempre.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.
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