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Il presidente della FIFA ha scelto di essere più scaltro che intelligente, in quanto deve aver compreso, in maniera molto solubile, qualcosa in cui è stato preceduto da William Shakespeare, ovvero la visibile deità del denaro, il suo saper tramutare ogni qualità umana nel suo opposto, la sua capacità di generare perversione e confusione nelle cose, la sua enorme forza seduttiva nel conciliare delle impossibilità. Il carattere divino assunto dal denaro fa sì che il football sia stato espropriato all’umanità e alle comunità che la compongono, e ha trasferito il gioco più seguito al mondo nell’altrove più inverosimile della storia: la TV. Infantino mortifica continuamente la natura originaria del calcio, che è sociale e al quale esso deve ogni sua fortuna, poiché assoggettandosi al denaro ha permesso che ogni suo avvenimento non fosse più per le persone e per i loro legami sociali, ma esattamente contro di esse. Con quell’aria da “Mr Bean” abbandonato dai capelli, questo figlio di emigranti italiani in Svizzera ha preso dalla cultura elvetica la propensione per i forzieri pieni, e anche l’intuizione di Gordon Gekko, l’infoiato broker congeniato da Oliver Stone per il suo “Wall Street”: “la cosa più importante è il denaro, tutto il resto è conversazione”. E come il “corporate raider” del celebre film di Stone, Infantino va in giro per il mondo a vendere un prodotto su cui lui non ha nessun copyright e nessun merito, e lo vende allo “scoperto” per chi non vede l’ora di usufruirne per i propri interessi attraverso la sua luce riflessa.
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Come Gekko, Infantino rilancia sempre e con un piano di riserva in tasca, obbediente con determinazione ad un’altra massima del personaggio inventato da Hollywood: “la verità è che ci siamo tutti dentro. Banche, consumatori, tutti muoviamo la giostra dei soldi”. Certo ci sono anche le seccature come quella del Sindacato Internazionale Calciatori (Fifpro) e della “World Leagues” (l’associazione delle leghe calcistiche mondiali), che accusano il dominus del calcio mondiale di aver organizzato la kermesse mondiale del 2025 “a vantaggio solo dei propri diritti commerciali”, ignorando i “significativi rischi degli infortuni dei calciatori” e i danni economici alle leghe nazionali. La questione rischia di finire in tribunale, sperando sempre ci sia da qualche parte “un Giudice a Berlino” di brechtiana memoria, ma intanto l’entusiasta grand commis del calcio mondiale tira dritto e continua con la sua ricerca sempre più bulimica di nuovi introiti con cui soddisfare l’inerzia famelica di tutti i componenti del business calcio. Entrando nel sito ufficiale della FIFA a colpire è il “cosa facciamo”, strombazzato con caratteri cubitali in quanto segue: “la FIFA esiste per governare il calcio e svilupparlo in tutto il mondo. Dal 2016 l’organizzazione si è evoluta rapidamente in un organismo in grado di servire in modo più efficace il nostro gioco a beneficio del mondo intero”. E siccome l’ossessione del nuovo millennio è quella di globalizzare persino gli starnuti, ecco in cosa consiste la visione del “Mr Bean” svizzero e dichiarata sempre nel sito ufficiale della FIFA: “…aiuteremo a sviluppare il calcio ovunque in modo che ci siano 50 squadre nazionali e 50 club di tutti i continenti che possano competere ai massimi livelli competitivi”. Lasciando per un attimo da parte quanto la seconda parte della visione, quella dei club, sia particolarmente agghiacciante e paracula, c’è da chiedersi chi mai abbia deciso come quest’aiuto debba venire da Zurigo, e perché l’aiuto consisterebbe nel favorire 50 club di tutti i continenti. È davvero ciò che vuole la storia del calcio e la sua gente? Una grande SuperLega mondiale?
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La totale assenza di dibattito pubblico su cosa realmente debba essere il calcio è il vero male di cui lo sport più seguito al mondo è infetto, riguardo al suo destino tutto viene deciso da una aristocrazia collusa con interessi spesso in ombra, e con una autorità calata da un cielo indefinito e da un dio dal nome sconosciuto. Forse è nel carattere sovranazionale della Fifa il vero problema, perché come la grande finanza senza frontiere è costantemente sottratta dal controllo della stampa, notoriamente incline a privilegiare questioni interne con rare escursioni esterne se non in caso di gravi conflitti. Dalla sua nascita la FIFA si è macchiata di scandali di ogni genere e si è segnalata più che per lo sviluppo del calcio come sport, nel concedere privilegi in cambio continuo di favori e denaro, nonché nell’assecondare interessi di natura geopolitica. Come dimenticare figure emblematiche come Joao Havelange e Sepp Blatter? E il pranzo all’Eliseo nel 2011? E se andiamo indietro nei tempi più remoti, si assiste nel 1905 all’affiliazione alla nascente Organizzazione Mondiale del Calcio di ben quattro federazioni britanniche, nonostante lo statuto prevedesse l’ammissione di una sola, cosa che pochi mesi prima era stata rifiutata alla Boemia in quanto appartenente all’Impero Austro-Ungarico. È dal 1904 che da Zurigo continuano a dire di lavorare per il nostro sport più amato, e sono 120 anni in cui fanno di tutto per convincerci del contrario. Godere per le difficoltà riscontrate da Infantino di trovare l’ennesimo miliardo da distribuire a ricchi determinati a diventare ancora più ricchi, mi conforta sull’esistenza ogni tanto della giustizia nella storia. Purtroppo quest’ultima potrebbe essere vanificata nel 2025 dal nostro metterci davanti alla TV per seguire la corrida calcistica voluta dal “Mr Bean” elvetico. Ci sono certi imbrogli dotati di molta pazienza, e sanno lavorare per i tempi lunghi. Dal nostro telecomando dipenderà il valore economico del secondo mondiale per club, quindi un’arma per opporci in mano l’abbiamo. Saremo volenterosi e capaci nell’usarla?
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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