Lo sport spettacolo statunitense, sempre più imitato dalla Cina confuciana (con molte analogie con lo stakanovismo delle regole a stelle e strisce), non è il futuro ad attenderci in modo ineluttabile, è il futuro che stiamo facendo scegliere per noi dal denaro/robot anche in Europa. Lo voglio dire, e per l’ennesima volta, con estrema chiarezza: chi accetta lo sport come una delle tante forme di spettacolo, non ha capito niente dello sport, e soprattutto del calcio. Il problema non è fare business con il calcio, ma impedire che il calcio vada ogni giorno in scena per esigenze di business. Il problema non è il capitale, fittizio e non, ma il capitalismo dimenticatosi in qualche cassetto un’etica giudicata ormai “polverosa”, figlia di tempi antichi dove l’idea di Dio era accettata solo per ignoranza. Nella “società liquida”, ci hanno continuato a ripetere, ormai le sovrastrutture statiche non servono più, perché appunto tutto si consuma fino alla liquefazione. Allora a contare diventa esclusivamente il momento del godimento di qualsiasi piacere e la ricerca pervicace della salute, prefigurandoci uno stato momentaneo di idea di immortalità: ecco l’archetipo del perfetto consumatore. È la California dei corpi abbronzati e curati, è la New York dei locali alla moda e della Borsa che vuole farci credere di essere sempre nella “fase del Toro”. È la Cina che sta inseguendo disperatamente tutto questo. Queste “belle” sensazioni ci sta regalando il futuro che dobbiamo accettare, pena l’essere accusati di vivere nel passato.
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Pochi sono a rendersi conto quanto sia scioccante l’idea, avvertita da un Ministro della Repubblica, di un intero campionato di calcio a rischio fallimento se un virus dovesse fermarlo. È bene rendersi conto come questo rischio fallimento esista perché il denaro ha ridotto il calcio a merce di consumo. E la logica del consumo, tra sue tante sfaccettature, prevede anche quella del rischio di un fallimento causa la sempiterna legge della domanda e della offerta. Sembrerebbe, per lo sport e non solo, una via senza uscita, ma ogni tanto arrivano segnali di riscossa dal “logos”. Segnali che possono arrivare solo dall’Europa. I tifosi del Newcastle, Leeds, Arsenal, Burnley hanno deciso quasi in massa di non accedere al servizio “pay-per-wiew” (servizio a pagamento), istituito dalle piattaforme tv inglesi detentrici dei diritti della Premier League per trovare una nuova forma di guadagno dagli stadi svuotati per il Covid-19. Una partita al costo di 15 sterline deve essere sembrata una buona idea ai padroni del vapore del calcio Made in England, per soddisfare la voglia di calcio dei tifosi sudditi di Sua Maestà Elisabetta II. Ma i padroni del vapore proprio non si aspettavano la reazione negativa della gente comune, stanca probabilmente di vedere monetizzata sulle proprie spalle la voglia di futuro, che ha deciso di creare un fondo a favore delle classi disagiate economicamente dai provvedimenti anti virus dove versare ogni settimana le 15 sterline pretese per una partita in tv. La questione ha scatenato un accesso dibattito in terra inglese, e, finalmente direi, ha posto la questione di trovare un tetto decente per le occasioni di guadagno con il calcio. Le società di calcio, e mi annoio da solo a ripeterlo per l’ennesima volta, se vogliamo considerarle esclusivamente delle aziende, dobbiamo considerarle aziende atipiche. E in questa atipicità c’è tutta la storia culturale, esistenziale, filosofica e spirituale dell’Europa.
Significativa è stata la riflessione di Mike Ashley, proprietario del Newcastle United (tipo assai interessante), che non ha avuto problemi nel dichiarare come “in questo clima non è accettabile per i tifosi pagare 15 sterline per una partita in tv. Bisognerebbe trovare un prezzo più accessibile (la proposta è stata di fissarlo a 5 sterline) e mantenerlo fino a Natale”. La proposta di Ashley ha trovato subito il favore della “Football Supporters Association”, l’associazione che raggruppa i tifosi inglesi, che ha invitato chi di dovere ad “agire con urgenza sulla revisione del prezzo proposta da Ashley”. Il “logos” tornato a muoversi è sicuramente una buona notizia, per chi non vuole arrendersi alle sirene futuriste. Modernità e sicurezza sono le due parole con cui si stanno seducendo generazioni di persone, parole che hanno dato la stura al ridisegnare la mappa dei rapporti sociali e produttivi da parte di chi ha interessi per il momento non esattamente svelati. Attenzione a ritenere le regole da rispettare come unica stella polare, almeno finché non si ha la certezza che tali regole siano state fatte nell’interesse comune. L’Uomo di Nazareth, ormai più di duemila anni fa, ebbe a dire con decisione come “il sabato sia stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato”, a sottolineare come la regola da sola non basta. Come fare ritornare l’ordine nel calcio? Geminello Alvi, uno dei più importanti ed illuminati intellettuali italiani contemporanei, parlando di economia forse offre una via interessante: “L’ardore, il dono e l’epica e un Io che ritorni al cielo: le sole maniere per riformare l’economia presente, farla ritornare alla salute umanissima e armoniosa degli uomini più miti e sensati”. Andare avanti nel futuro non vuol dire non voltarsi mai indietro per vedere da dove si è venuti. Capire da dove si è venuti, rende capaci di formulare nuove regole non per il sabato, ma per l’uomo e la coerenza della sua storia. Buon calcio a tutti.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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