È una toppa stile Elmas, si prende a noleggio un giocatore per un anno e si rimandano i problemi. “Tirare a campare è sempre meglio che tirare le cuoia”, direbbe Giulio Andreotti, e forse deve aver riveduto criticamente questo suo celebre aforisma, quando il ciclone dell’inchiesta giudiziaria “Mani Pulite” buttò giù tutto il sistema della I Repubblica. Perché se le cose della vita non vengono rigenerate, con nuove idee, nuove energie, nuove investimenti, prima o poi vengono giù miseramente portandosi dietro via tutto. Se si vuole il calcio/azienda, allora bisogna trattarlo esattamente con tutti i criteri di una azienda, dove al primo posto di ogni intendimento c’è la parola “investimenti”, e non certo l’assioma “tirare a campare”. E per investimenti non devono intendersi esclusivamente quelli fatti sul mercato calciatori, che nel caso del Torino a volte ci sono stati e a volte no. Un club che attualmente non genera cassa, se non in qualche operazione di “player trading”, avrebbe bisogno di riorganizzare tutto il suo modo di gestione. Si possono fare anche le nozze con i fichi secchi, ma bisogna davvero saperci fare. E, dispiace ribadirlo ancora una volta, l’editore del “Corriere” e di “La7” con il calcio ha dimostrato proprio di non saperci fare, di non capire quale sia l’idea giusta per far ritornare il Toro al posto dove dovrebbe stare, per la sua storia e per il suo onore.
Licenziare Vanoli per prendere Baroni non è stato sintomo di vitalità gestionale, ma esclusivamente un triste espediente di vitalità della comunicazione. E’ indicare nell’allenatore l’ennesima stagione deludente trascorsa, per poi subito dopo vendere Ricci e Milinkovic-Savic. Sono brutti segnali non di cattiva volontà in sé, ma di confessare al mondo quanto al momento non ci siano alternative per i conti drammatici del Toro. In questi ultimi quattro anni ci sono stati almeno due interessamenti per rilevare la proprietà del club che fu di Valentino Mazzola(eh no, tra questi non c’è stata la “Red Bull”, anche se a molti piace pensarlo), ma i fatti dicono come tutto si sia evidentemente arenato.
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I passaggi di proprietà di un club di Serie A non sono mai facili, spesso si annunciano quasi come fatti, ma poi gli iter si allungano. Lo si sta vedendo anche riguardo all’Udinese, club infinitamente più appetibile del Torino per uno che voglia investire nel calcio italiano. Forse fa male prendere atto di quest’ultima cosa (a me tifoso del Toro fa malissimo), ma ogni qual volta ci si approccia a trovare la cura di una malessere, il dovere primo è quello di guardare in faccia il malessere e riconoscerlo per quello che è. Il Torino FC di oggi è una società che non ha niente di suo, non uno stadio, non un campo di allenamento, non una sede di proprietà all’altezza della sua storia, ed è sul precipizio di un disfacimento economico. Qualsiasi guaritore si dovesse approcciasse al suo capezzale dovrà ripartire quasi da zero, ed è questo il paradosso dopo vent’anni di gestione di una persona che lo aveva preso proprio da una situazione post fallimentare. Vent’anni per ritornare al punto di partenza, e se questa non è una sconfitta imprenditoriale, prima che sportiva, non saprei davvero come altro definirla.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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