Toro News
I migliori video scelti dal nostro canale

Loquor

Mbappé diventa un affare di stato

Mbappé diventa un affare di stato - immagine 1

Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Loquor", a cura di Carmelo Pennisi

Carmelo Pennisi

“Dove sta la linea di separazione 

tra gli affari e il furto”?

Jean Luc Godard

Mentre nel cuore dell’Europa è in corso un conflitto dagli sviluppi imprevedibili e con implicazioni pesanti su diversi settori dell’economia del Vecchio Continente (basti pensare alla spirale inflattiva incombente sul costo dell’energia), dalle parti del Paris Saint Germain sembrano ancora una volta incuranti sulle provocazioni continuamente portate avanti al senso di decenza e di realtà, e stanno portando avanti un rinnovo del contratto di Kylian Mbappè che partirebbe da un “bonus fedeltà” dal valore di 100 milioni di euro alla firma e continuerebbe con un ingaggio di 50 milioni di euro l’anno. Siamo di fronte ad un primo anno di contratto che costerebbe al club parigino, tasse comprese, quasi 300 milioni di euro, una cifra assolutamente ingiustificabile sotto qualsiasi parametro si volesse valutare la cosa. Tutto questo mentre Roman Abramovich mette in vendita il Chelsea per la modica cifra di 3 miliardi di sterline destinati eventualmente, a suo dire, in beneficenza per le vittime della guerra in Ucraina.

Chiedersi in quale contesto socio/economico/culturale credano di vivere alcuni individui sta risultando da anni uno sforzo talmente vano da rendere persino comico e paradossale provare a trovarne una qualche ragione. Nel caso dei qatarini del PSG, poi, si potrebbe scomodare anche qualche buon manuale di psichiatria o “L’Interpretazione dei Sogni” di Sigmund Freud, laddove lo “scienziato dell’anima” austriaco asserisce come i sogni siano “la via regia che porta alla conoscenza dell’inconscio nella vita psichica”. Si tratta, in parole povere, di scovare una cornice razionale a tutto ciò si muova nel territorio onirico di ognuno di noi. Ma anche questa interpretazione da “surrealismo letterario d’avanguardia” affermatosi all’ inizio del secolo scorso, difficilmente riuscirebbe a spiegare fino in fondo le azioni di un club calcistico che, per bocca del suo direttore sportivo Leonardo (uno di certo abile a poter scrivere con dovizia di particolari e autorevolezza un saggio su quanto sia conveniente abbracciare “l’opportunismo”), ha stabilito come sia questione assolutamente secondaria l’importo dello stipendio di Mbappè, e “mettere la cifra nel suo contratto ci vorranno due minuti”. Confermo: siamo nel regno della psichiatria, ma andiamo avanti nel ragionamento.

Nella riflessione della scorsa settimana avevo provato a chiedermi, e a chiedere, quali mai fossero le strategie di un miliardario americano o di un fondo di investimento nel comprare la proprietà di un club italiano, convinto da sempre dell’esistenza non solo delle logiche dell’inconscio, ma anche quelle del conscio. Se con 275 milioni di euro si compra il controllo dell’Atalanta, ovvero una società/azienda sana e con stadio di proprietà, e se ne riesce ad individuare una qualche linea di sviluppo di investimenti per generare dei dividendi, risulta davvero difficile immaginare quale sia l’obiettivo della “Qatar Sports Investments” nella voce ricavi finanziari legati alla attività sportiva del PSG. E, soprattutto, è incredibile come Aleksander Ceferin non si sia mai chiesto, e non si stia chiedendo, il perché di questi investimenti sproporzionati su una squadra di calcio iscritta ad un campionato di secondo piano come la Ligue 1 francese. Qualcuno dovrebbe ricordare al Presidente dell’UEFA, magari sussurrandogli ad un orecchio, come gli affari sulla pelle del calcio non si conducano  solo attraverso idee faraoniche come la SuperLeague, ma anche facendo assumere a qualcuno o a qualcosa il ruolo di “Cavallo di Troia” per strategie di geopolitica economica sovente condotte in un silenzio assordante. Quando per il rinnovo di un giocatore, per quanto forte, si stanno muovendo un ex Presidente, Nicolas Sarkozy, e l’attuale inquilino dell’Eliseo, Emmanuel Macron, lo scenario diventa quello di un vero e proprio Affare di Stato e supera abbondantemente l’ipotesi un po’ favolistica e ingenua di Al Khelaifi pronto a svenarsi semplicemente per portarsi a casa la vittoria della Champions: questi sono incubi e ambizioni storicamente made in Juventus, e niente altro. A leggerlo oggi fa sorridere un editoriale vergato nel 2011 sulla prima pagina di “Liberation”, salotto editoriale della “Gauche” francese, in cui si definiva Sarkozy “facilitatore” dell’investimento qatarino sui “Les Parisiens” perché suo “dodicesimo uomo in campo”.

Per “Liberation”, che sarà pure un quotidiano della sinistra benpensante ma pur sempre, come tutti i cugini d’Oltralpe, al servizio della “Grandeur” francese (fosse anche quello di appoggiare per interesse nazionale un conservatore come il compagno di Carla Bruni), era stato il “cuore da tifoso”  a far decidere l’allora presidente francese a bussare alla porta della “Qatar Sports Investment” per chiedere di risollevare le sorti calcistiche del PSG. Uscendo dalla favola confezionata per noi comuni mortali e andando più a fondo sulla questione, si scopre come a distanza di undici anni le relazioni commerciali tra Francia e Qatar non siano mai andate così a gonfie vele e si comprende molto bene, per chi avesse voglia di capire, come alla politica francese ora i qatarini stiano chiedendo di restituire un favore come in genere si fa tra sodali in affari, dove la complicità viene sovente rappresentata all’esterno come atto di amicizia. Quando i nostri occhi vedevano Sarkozy con la sciarpa del PSG scatenarsi sulle gradinate del “Parco dei Principi”, 120 aziende transalpine entravano ad operare in territorio qatariota ad occupare posizioni importanti nel settore della sicurezza e dello sport. Era il periodo in cui il buon Nicolas guidava l’assalto alla Libia di Gheddafi rea, secondo l’allora influente politico libico Bechir Saleh, di “un mancato acquisto dal valore di 4 miliardi di euro di armi francesi da parte di Tripoli”, ma divenuta capitale di uno stato canaglia e autoritario secondo tutta la grancassa della stampa transalpina e non solo. E dopo aver riportato la democrazia e i diritti umani in tutta la Libia (si prega di non ridere, per favore), è stato quasi naturale spostare l’attenzione francese sui quei noti democratici della famiglia Al-Thani desiderosi di investire ingenti somme sullo sport, definito fondamentale per la formazione umana persino nell’atto costituivo della “Qatar Sports Investment”.

Cosa volete che sia, quindi, un iniziale investimento di 300 milioni su un forte giocatore  per un obiettivo dal valore formativo universale? 20 miliardi di dollari, una rata del Recovery Fund destinato all’Italia, questo è il valore degli investimenti fatti dal Qatar fino ad oggi in Francia, operati sia nel settore pubblico che in quello privato. Una manna da far invidia a quella raccontata nel “Libro dell’Esodo”. “Sono solo affari”, direbbe uno dei tanti boss  presenti nella saga del “Padrino” di Francis Ford Coppola, e non ci sarebbe quasi nulla di male se non provassero continuamente a raccontarceli come un bene primario dello sport opposti a quei cattivoni della SuperLeague (per carità, sono veramente dei cattivoni, presenti però nell’altra faccia della stessa medaglia appuntata sul petto degli amici di Ceferin del PSG), in un’affermazione di un “sentiment” manicheo ormai imposto a tutta l’opinione pubblica occidentale, dove per forza bisogna individuare un “buono” e un “cattivo” e procedere ad una conseguente lapidazione forzata e continuata di quest’ultimo. Personalmente sono solidale con l’insofferenza mostrata da Thomas Thucel, allenatore del Chelsea, stufo da qualche giorno di dover rispondere a domande sul destino calcistico di Roman Abramovich e sulla guerra in Ucraina. “Non sono un politico, non ho risposte” ha dovuto sottolineare l’allenatore dei “Blues”, indifeso davanti alla dimensione troppo economico/politica ormai assunta dal calcio.

LEGGI ANCHE: Il Derby

“Tutto il mondo vuole venire da noi” ha detto Leonardo in un’intervista rilasciate a “L’Equipe”, prefigurando tutto il calcio pronto ad inginocchiarsi davanti ai “gas dollari” del piccolo emirato. Abbassare il livello alla visione del mondo degli opportunisti, questo è quello che gli emiri arabi hanno  fatto al calcio del Vecchio Continente. Non meritano nemmeno la nostra tristezza.

Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.

Attraverso le sue rubriche, grazie al lavoro di qualificati opinionisti, Toro News offre ai propri lettori spunti di riflessione ed approfondimenti di carattere indipendente sul Torino e non solo.

tutte le notizie di