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C’è niente di più importante? C’è niente di più efficace per combattere il baratro di cui parla Emil Cioran? Lo sport, quando non è mistificato dagli Emmanuel Macron, dai Gianni Infantino, dai Thomas Bach, dona la speranza di avere certamente un destino dove prima o poi si ritornerà nella polvere, ma che prima di questo ci aspetta il diritto/dovere di lasciare un segno della nostra eternità. E’ questo che spera lo sport, è questo dall’inizio dei tempi l’auspicio del nostro Creatore. Lo sport manda bagliori di segni importanti e quasi nascosti, fino a che non li cattura una telecamera avida di cronaca con cui tenere incollati davanti alla tv. Succede quindi di vedere manifestazioni di affettuosa paternità nel dopogara di atleti felici di aver raggiunto una medaglia. Corrono ad abbracciare i loro piccoli figli, e tutto diviene un incredibile spot della rivalutazione della figura paterna, osteggiata e mortificata come non mai culturalmente, socialmente e antropologicamente con l’ingresso nel terzo millennio. “C’è una domanda di padre”, per dirla alla Massimo Recalcati, che ritorna ai figli come necessità di un sano conflitto vincitore dell’odio e organizza la violenza comunque insita nella natura umana. Qualcosa deve pur restituire la dignità del nostro essere uomini. Siamo velocità, siamo sforzo, siamo resistenza, la rassegnazione invece è intrinsecamente una gabola del maleficio: lo sconfitto che stringe la mano al vincitore alla fine di una gara è lo scrivere nelle stelle la data di un prossimo appuntamento, quello in cui ci si riproverà. Non può esserci ovviamente felicità nella sconfitta, ma negli atleti c’è la gioia della presenza, che non è un battello a scorrere sulla Senna ma il suono gravido di promesse dello starter di una partenza, laddove l’attesa si tramuta improvvisamente nell’inizio di un nuovo capitolo della tua storia. No, lo sport non merita il malaffare, il riquadro del “Gatto e la Volpe”, lo squallore dell’atleta che in un anfratto di una via di Parigi collude in squallore con un diciassettenne sconfitto prima ancora di sentire il colpo dello starter.
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Lo sport merita di guardare il cielo, accarezzando gli innocenti e concedendo sempre una chance ai colpevoli. Novak Djokovic, uno che rimarrà per sempre inciso nelle pietre senza età dello sport, rammenta spesso come i suoi colpi nel gioco dai “guanti bianchi” siano nati sotto il rumore delle bombe sganciate a Belgrado dagli aerei della Nato nel 1999. C’è qualcosa nella vita a spingerci continuamente verso la deflagrazione, ma poi… poi c’è anche una cosa come lo sport,e non riusciranno, potete crederci, a farlo smarrire in una resa da polvere bianca in una sordida stradina parigina. Siamo e saremo continuamente con la possibilità di fare meglio. A volte ci sono giorni in cui le speranze si disperdono, ma continuo a tifare per esse. Mi riscopro tenace, e lo devo anche allo sport.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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