Loquor / Torna l’appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "Questo giudizio assai severo, trova in questi giorni un ennesimo riscontro nella vicenda di Vincenzo Spadafora e della sua tanta auspicata e attesa riforma dello sport...
“Il potere è l’afrodisiaco supremo”
L’indice sull’attività manifatturiera ha evidenziato come la manifattura italiana sia tra quelle che sta uscendo più velocemente dalla crisi generata dal Covid, e sta avendo un andamento migliore addirittura della Germania. Il dato può risultare sorprendente solo per chi non conosce neanche per sommi capi la storia d’Italia e a chi è bloccato sui soliti luoghi comuni pendenti da decenni sulla testa del Bel Paese, luoghi comuni che le sue classi dirigenti hanno costantemente irrorato con l’acqua della loro complicità con fattori “esterni” da sempre interessati a tenere a bada le ambizioni di una nazione con tutte le carte in regola per poter essere quanto meno leader della geopolitica del Mediterraneo. È un mistero, semmai, come l’imprenditoria italiana riesca a cogliere successi e profitti nonostante una classe dirigente che da generazioni utilizza le tasse e lo Stato trasformato in “contenitore salvadanaio fittizio” come bancomat per le proprie ambizioni e il soddisfacimento del proprio potere. Vendere l’Italia al peggior offerente in cambio di un via libera alle loro aspirazioni oligopolistiche, è sempre stata una pratica seguita metodicamente da queste classi dirigenti, da cui si può felicemente escludere quella virtuosa del secondo dopoguerra.
Questo giudizio assai severo, trova in questi giorni un ennesimo riscontro nella vicenda di Vincenzo Spadafora e della sua tanta auspicata e attesa riforma dello sport italiano, di cui uno dei tanti obiettivi avrebbe dovuto essere un limite alle elezioni delle cariche istituzionali, un limite fissato a due mandati. La rivolta dei vari “caudilli” delle federazioni sportive non si è fatta attendere, essendo questi poco restii ad essere costretti a lasciare dopo tanti anni incarichi di potere e di laute prebende. Ma la persona più ostile alla riforma non poteva che essere lui, l’onnipresente “ragazzo dell’Aniene”, per nulla al mondo disposto ad abbandonare il ponte di comando del Coni: il mitico e apparentemente indistruttibile Giovanni Malagò. Il “Giovannino” nazionale non è mai stato, in realtà, una qualche versione originale dell’uomo di potere italico, bensì una rielaborazione del sempiterno figlio della buona borghesia convinto come il Paese, in buona sostanza, sia stato creato per lui e per le sue ambizioni. E non importa se il Paese sia d’accordo o meno, poiché esistono, in Italia, diritti inalienabili per nascita. Ma non tutti hanno la fortuna di nascere “razza padrona”, con frequentazioni sin da infante del quartiere Parioli e dintorni, laddove un tempo persino la vicina Cassia poteva essere considerata una sorta di savana romana, in cui recarsi solo se vogliosi di un bel safari. Qualcuno ha anche la ventura di nascere ad Afragola e crescere a Cardito, due luoghi ameni, si fa per dire, della Campania da dove non deve essere facile solo immaginare di avere un ascensore sociale che ti possa, un giorno, portare dritto nella stanze del potere di Palazzo Chigi.
Ma Vincenzo Spadafora non deve mai essere stato uno incline a vedere il bicchiere mezzo pieno, come farebbe un inguaribile ottimista, perché lui, semplicemente, il bicchiere lo voleva pieno ai limiti del traboccamento. E quando gli passa accanto il treno giusto per Roma, sotto le sembianze dell’allora presidente dell’Unicef Italia Arnoldo Farina, ci salta su senza pensarci troppo sicuro, probabilmente, di avere trovato la sua via dell’oro. Da quel momento comincia una carriera folgorante, uno di quei percorsi che a vedersi da fuori costringe continuamente a chiedersi quali nascoste doti deve avere questo giovane senza arte né parte, per essere chiamato, nel 2006, da Francesco Rutelli a capo della sua segreteria al Ministero dei Beni Culturali al tempo del governo Prodi II. E siccome in Italia il potere è trasversale e spesso consociativo, Vincenzo da Cardito intesse buoni rapporti anche con Mara Carfagna, a capo del Ministero delle Pari Opportunità del successivo governo Berlusconi. Questa trasversalità gli consente nel 2011 di ottenere il prestigioso ruolo di Garante per l’Infanzia.
Ha fiuto il buon Vincenzo e sa bene dove tira il vento, e quando a Roma decide di trovarsi un padre spirituale, ovviamente non può che essere uno della Compagnia di Gesù, che con l’elezione a pontefice di Jorge Mario Bergoglio sta acquisendo sempre più un ruolo centrale nella mappa del potere italiano. Forte ormai delle sue entrature tra i gesuiti presenti in Vaticano e delle amicizie potenti coltivate durante i suoi mandati di presidente di Unicef Italia, il Nostro fa un salto con capitombolo dai contorni quasi esoterici verso i cinque stelle, diventando l’uomo ombra di Luigi di Maio. Cosa hanno in comune i due? Non si sono mai laureati e non hanno mai avuto un lavoro stabile. Per la serie: nati per riconoscersi al primo sguardo. “Sono una testa dura –ha scritto in un suo libro dedicato al volontariato -, convinto che in certe situazioni siano le persone a fare la differenza”. L’affermazione trabocca di lirismo retorico e di un pizzico di autoreferenzialità, trasudando il suo convincimento di far parte di quella ristretta cerchia di uomini sempre pronti a fare la storia. Uno così non poteva non intendersi con lo zar di tutti gli ego riferiti, quel Giovanni Malagò che finché non ha ottenuto un’olimpiade non è riuscito a trovare pace nemmeno tra le sue Ferrari. Ovviamente le Olimpiadi, anche se “solo” quelle invernali, sono state ottenute per il bene del Paese. Per il ragazzo dell’Aniene l’appuntamento di Milano e Cortina del 2026 è fonte di grandi opportunità per tutta l’Italia, basta che fino a quel giorno ci sia lui a fare la differenza a capo del Coni. Vincenzo, alla fine, non poteva proprio ignorare questo desiderio di Giovannino, perché i due sono figli di quell’Italia post moderna dove far parte dello star system o dello star power pare essere l’unica cosa a contare. Vincenzo ha una testa così dura, da aver capito subito come la sua riforma dello sport dovesse aver bisogno di qualche aggiustamento, tale da poter consentire a Giovannino di potersi ricandidare ad un terzo mandato al Coni e qualche potente presidente di federazione di ricandidarsi addirittura per un settimo mandato.