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L’ho scritto per cercare di portare un po’ di chiarezza tra chi dice che le tasse le paga, e chi invece sostiene addirittura che le evade o sta compiendo uno sgarbo alla Patria per averla abbandonata fiscalmente parlando. Dopo un po’, come detto, nella discussione, piena e zeppa di fakenews, partono insulti e offese di tale livello da dover ogni ringraziare il cielo di vivere in un posto dove è assai difficile avere il permesso di detenere delle armi. Facendo una ricostruzione accurata, dati e leggi alla mano, ritengo di aver dimostrato con chiarezza che sicuramente il numero uno del tennis mondiale delle tasse le paga(solo quelle trattenute alla fonte), ma certamente non nella stessa misura(maggiore) di quelle pagate dal suo collega Lorenzo Sonego residente a Torino o dell’altro suo collega Carlos Alcaraz residente a Murcia. Per ragioni di brevità non ripeterò in questa sede i perché e i per come della fiscalità che riguarda i tennisti, quindi non solo Sinner, residenti in uno Stato dove non esiste una tassazione sulla persona fisica: l’argomento di questa analisi non è dimostrare l’ovvio, ma cercare di capire perché viene visto come un attacco al campione italiano un articolo che non lo attacca, ma cerca solo di portare chiarezza su un argomento che qui da noi sta facendo molto discutere. Per quale motivo la verità, se si tratta di un idolo, viene vista come uno sfregio verso di lui? Quali sentimenti profondi stanno attraversando la psiche degli italiani, determinati a difendere qualsiasi cosa considerino un loro affetto, anche in assenza di un attacco? A forse qualcosa di socialmente e antropologicamente collegabile con il “familismo amorale” degli italiani individuato verso la fine degli anni 50 dal sociologo Edward Banfield? L’eccesso di amore può diventare molesto per la nostra mente, procurando anche una distanza tra nostra capacità soggettiva di valutare un oggetto e la sua verità.
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Il testo della celebre canzone “Non è Francesca” di Lucio Battisti parla della patologia dell’amore che non riesce a credere all’evidenza di un legittimo dubbio sulla narrazione a riguardarlo, facendo fuoriuscire quel tipo di reazione che ha portato sui social ad insultare Paolo Bertolucci ed Elena Pero, ritenuti colpevoli di non tifare a sufficienza per Sinner durante la loro telecronaca per Sky. Bertolucci, serafico, ha ricordato giustamente quanto il tennis non sia il calcio, e che il godimento del suo spettacolo ha modi più eleganti e obiettivi di procedere, e che solo un matto può pensare che lui e la Pero non abbiano tifato per il nostro tennista. Passando allo spettacolo, e precisamente al film “F1” con Brad Pitt, si sta parlando di una pellicola protagonista nell’aver superato di molte spanne il concetto di “marchetta” al servizio di ogni tipo di marketing; una cosa che personalmente faccio fatica a considerare un film, ma piuttosto un insieme di “reel” montati anche bene, per carità. Ma siamo forse alla questione di gusti, e ognuno giustamente ha i suoi. Nei commenti di giubilo sui social, specie su Linkedin, si è assistito ad analisi su quanto sia stato innovativo il film come operazione di marketing( e qui siamo in situazioni mentali da ricovero), e tutti si stanno soffermando su questioni riguardanti poco sul motivo per cui si fa un film, che dovrebbe essere quello di raccontare una storia e non di mettere in scena strategie di brand o visioni psicoaziendali(ma Linkedin, nel tempo, è divenuto il “Liala fringe” di tutti i volenterosi riformatori degli ambienti di lavoro). Il circo messo su da Jerry Bruckheimer, uno dei produttori più patologicamente disinvolti di Hollywood, racconta una storia dove si chiede davvero troppo alla “sospensione dell’incredulità”, che infatti dopo alcune sequenze del film finisce di sospendersi e pone la razionalità nella condizione di mandare tutti a quel paese, domatore Bruckheimer compreso. In breve: Javier Bardem, proprietario di una scuderia di Formula 1 in crisi nera di risultati e sull’orlo della bancarotta finanziaria, va dal suo vecchio amico Brad Pitt, pilota attempato in disuso ma con un passato appena glorioso del “Circus”, di sedersi su una delle sue due monoposto, per aiutarlo a capire cosa non va e per distribuire un po’ di senno sportivo al giovane pilota sportivo di talento, seduto sull’altra monoposto. Fino a qui niente di male e che non si sia già visto.
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Ricordate “Bull Dhuram”, delizioso film del 1988? Lì si trattava di baseball e Bard Pitt lo faceva Kevin Costner (Avviso ai futuristi e dannunziani: bisogna stare attenti quando si parla di innovazioni, si rischiano non belle figure nel vedere futuro in ogni cosa). La faccenda diventa tragicomica, quando il talento di Brad Pitt si manifesta in un unico modo: corre per provocare incidenti, in modo da permettere al suo compagno di squadra, attraverso ingresso in pista di “safety-car” e “bandiere rosse varie”, di raggranellare qualche punto con la strategia dei “pit-stop”. La cosa andrebbe anche bene se si stesse parlando di corse inventate, e non della Formula 1, e se non si fossero arruolate come comparse piloti veri del calibro di Max Verstappen e Lewis Hamilton, quest’ultimo addirittura presente nella veste di coproduttore. Nella copulazione continua con i nostri istinti di cui sopra, non riusciamo a capire quanto la strategia degli incidenti adottata da Brad Pitt possa procurare nella realtà conseguenze mortali e, anche se questi non avvenissero, sarebbero quanto di più antisportivo potrebbe avvenire. La realtà non è la simpaticissima serie “Die Hard” o “Rollerball”, la realtà è il vissuto di tutti noi, dove è riposta anche la nostra storia. Essa va rispettata, specie se la si utilizza per dipanare il racconto di un film. “Pecunia non olet”, dicevano gli antichi romani, solo che noi stiamo diventando esageratamente complici di ogni tipo di nefandezza da “plus valore”. Abbiamo il dovere di omaggiare la realtà con la verità anche quando fantastichiamo o amiamo, di non ridurre tutto ai nostri bisogni psichedelici o psicotici. L’autunno presto arriverà, non sarebbe male non farci trovare impreparati. Pazienza se ci daranno dei moralisti.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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