Nel Segno del Toro / Torna l’appuntamento con la rubrica di Stefano Budicin, che ci racconta un altro personaggio granata
Riuscite a ricordare quale personaggio della storia granata fosse stato soprannominato in questo modo? Il senso del nomignolo è il seguente: italiano nel cuore ma tedesco nella caparbietà, ai limiti della cocciutaggine. E se l'accostamento del termine teutonico all'area geografica lombarda è quanto mai curioso, ancora di più lo è in riferimento alla figura di Luigi Radice.
Allenatore cocciuto e caparbio, innamorato della perfezione da raggiungere a qualunque costo e a prezzo di un lavoro inesauribile: ecco Gigi Radice, un uomo che portò i granata a conquistare lo scudetto nella stagione '75-'76. Una figura che ancora oggi è ricordata con enorme gratitudine, affetto e devozione dalla maggior parte dei tifosi del calcio nostrano, che riconoscono in lui un professionista di insindacabile serietà.
Aveva cominciato la sua carriera da agonista nel Milan, anno 1953, appena diciottenne. Si fece notare come centrocampista abile nelle corse. Prima ancora che possa davvero dimostrare appieno il talento che lo contraddistingue, Radice subì un infortunio pesantissimo al ginocchio, e fu costretto a ritirarsi da professionista. Ma a nulla possono le avversità, contro il cuore di un fuoriclasse. E Radice fuoriclasse lo era tanto di gambe quanto di testa. Infatti fu proprio la testa, e la sua conoscenza del gioco, che spinse il Tedesco di Brianza a seguire la strada dell'allenatore. Cominciò con la Brianza, in serie C, ma gli ci volle poco per accedere alla categoria successiva. Finì al Treviso e al Monza e poi al Cesena. Quando Orfeo Pianelli, presidente del Torino durante la metà degli anni '70, volle ricreare il mito granata, non ci pensò due volte a chiamare Radice al comando della squadra.
E l'allenatore si dimostrò subito un grandissimo stacanovista: metodi duri di allenamento, costanti e massacranti, che si rivelarono efficaci. Radice badò tantissimo a che si creasse uno spirito di squadra compatto e uniforme, plasmato sotto il segno di un reciproco rispetto. Puntare tutti a un unico obiettivo, concentrarsi e dare il massimo per raggiungerlo, non importa quali siano le circostanze in ballo: una massima che Radice ricavò senz’altro dal celebre “palla avanti e pedalare” dell’indimenticato Mario Sperone. E che si rivelò vincente sopra ogni dire.