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Dopo essersi fatto le ossa con il Piemonte, lascia per la Pro Vercelli, un tempo capace di competere con i club più forti a livello nazionale. La decisione viene accolta con un sentimento di stupore, da un lato, e di scandalo, dall'altro. Lice, dopo tutto, è uno "straniero", essendo nato a Torino. Quale club sano di mente potrebbe mai accettare di condividere il campo da gioco con un torinese? Se non fosse che Lice era già considerato un grande campione, aveva presenziato in Nazionale in qualità di mezzala, e la Pro Vercelli era in dovere di valutare l'acquisto con serietà.
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I puristi continuarono a reputare Lice uno straniero, motivando la scelta con le seguenti illuministiche ragioni: " il nostro sangue non si mescola con quello degli altri". Gli altri, un po' più saggi, ribadivano però essere Lice un piemontese come loro, un atleta che "ragiona con il nostro cervello, che ha gli stessi nostri sentimenti. È, inoltre, un magnifico giocatore. Perché ce lo dobbiamo far scappare?".
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Il dibattito durò per giorni, e si risolse con la decisione finale: Berardo, lo straniero, poteva giocare nella Pro Vercelli. E con il club portò a casa due scudetti in tre anni. Il Genoa, rapito dalla sua bravura, volle a tutti i costi ingaggiarlo, sicché Lice nel 1914 abbandonò la Pro per sbarcare in Liguria, dove ebbe modo di guadagnare l'ultimo scudetto, conquistato nel 1915, perché il campionato fu interrotto dall'intervento italiano nella Prima Guerra Mondiale.
Il Toro vide tra le sue fila Felice solo quando costui era ormai ridotto a essere l'ombra del campione che fu. Nonostante i bei tempi fossero già passati, Lice si integrò bene nella squadra e seppe regalare autentici momenti di meraviglia alla platea.
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