Essendo l’unico sport veramente planetario, ovvio come il suo “numero uno” attiri molte attenzioni e interessi, e faccia confluire con molta facilità sentimenti di empatia nei suoi confronti. Vedere una finale del torneo di “Wimbledon” suscita uguali empatie da Shanghai a Roma, passando per Melbourne. Il “Centrale” più iconico del mondo crea messaggi che giungono dritti al cuore da quell’esperanto che è il tennis, e rendono i campioni di questo sport patrimoni nazionali inestimabili. Non hanno praticamente prezzo a livello di immagine. Divenuto all’improvviso un brand appetibile, al campione bisogna subito accoppiare degli ideali ridondanti di modelli di vita. Compiuto l’accoppiamento, a questo punto la potenza del marketing, con tutte le sue sineddoche e metonimie, comincia a martellare senza sosta il cervello e il cuore di colui divenuto tifoso del campione. Occorre creare il legame, che verrà sfruttato per compiere qualsiasi cosa si ritenga necessaria, fosse il business o l’accentuazione dell’amor patrio. Rubare un sorriso, una lacrima, un ricordo o una speranza, questa è la mission di chi occupa di dare eternità ad ogni gesto del campione. Il legame, quando si salda, è difficile da mettere in crisi e quasi impossibile addirittura slegarlo, ecco il motivo per cui il “legato” non accetta minimamente che il suo idolo possa essere attraversato dall’ambra della critica.
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Il “legato” si costituisce come guardiano della rivoluzione del campione, che non ha una “maglia” da difendere come negli sport di squadra, ma esclusivamente lo sciovinismo e l’anima contradaiola di una Nazione. In tale contesto esistenziale, è perfettamente logico considerare normale l’assenza di Jannik Sinner all’incontro al “Quirinale” tra il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e il tennis italiano. Qualcuno arriva a scrivere o a dire come il tennista altotesino conti di più del Presidente, e quindi è giusto che riposi le sue stanche membra dopo aver vinto davanti alle “Porte Scee” degli “Australian Open” il suo ennesimo duello contro l’ennesimo “Ettore”. C’è da chiedersi a volte dove sia finito il discernimento dalle nostre parti, stiamo teorizzando un curioso lasciapassare per fare qualsiasi cosa ai nostri idoli; è forse questa la conseguenza principale della società dello spettacolo? C’è della mistificazione, a mio parere, su come stiamo gestendo le emozioni dei successi, preziosi, di Jannik Sinner. Li interiorizziamo galvanizzandoli, li amiamo senza comprenderne fino in fondo il senso, li abbracciamo esonerando il tennista dall’obbligo di passare attraverso il “confessionale” della vita. Lo si è praticamente battezzato come persona senza peccato originale e incapace di macchiarsi di qualsiasi colpa. Elevare uno sportivo al di sopra di un Presidente di una Repubblica o di un re, simboli di unità nazionale, dovrebbe preoccupare sullo stato di salute esistenziale di una comunità. E invece niente: leggi i commenti sui social, e tutto pare perfettamente normale e auspicabile. Un Presidente della Repubblica, in questa disgraziata nazione, pare contare meno del numero uno del mondo del tennis. In un importante festival internazionale di cinema avevo fatto amicizia con un attore danese, divenuto all’istante sodale quotidiano di quei giorni festivalieri. Era una persona ironica e dedita al cazzeggio, e ci siamo molto divertiti cercando di prendere tutto non molto seriosamente.
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Dopo aver ritirato il premio come migliore attore protagonista, ci dedicammo ai bagordi fino a quasi l’alba. Eravamo un pò assonnati il giorno dopo a pranzo, ma ad un certo punto l’amico danese ricevette una telefonata, e qualche attimo dopo scattò in piedi come se avesse avuto incorporata una molla nel deretano. Era la Regina di Danimarca che chiamava per fargli i complimenti, a nome di tutto il Paese, per il premio ricevuto. Pur se ovviamente la Sovrana non poteva vederlo, l’attore danese rimase sull’attenti per tutto il tempo della telefonata. Si chiama senso dell’onore e rispetto per una figura che rappresenta l’unità di una Nazione. Quando ci si rapporta con questa autorità, non si omaggia o si mostra deferenza alla persona che la incarna, ma si va a fare un incontro doveroso con un Paese intero. “Sta vivendo una situazione di stress al limite dell’umano- ha provato a giustificarlo Angelo Binaghi-… tutti vogliono batterlo… non può più prendere una Coca Cola al bar o chiedere dove è il bagno… e poi lui è troppo disponibile con tutti”. Non so come catalogare queste esternazioni del Presidente della “FederTennis”, non so come rapportarla a chi vive lo stress di una catena di montaggio o di una profondità di una miniera, non capisco che modalità di difesa sia. Si tratta semplicemente di stabilire una cosa: posto che uno sportivo o chiunque altro è libero di fare quel che vuole, e ci mancherebbe altro, è lecito, eticamente e moralmente, ignorare l’invito della più alta carica di uno Stato? A chi passa tra queste righe affido l’ardua risposta. Ma con la dovuta calma, e tenendo presente come andare ad omaggiare il Re o la Regina nel suo castello sia il lieto fine di parecchie favole.
Di Carmelo Pennisi
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