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Nessuno ebbe il coraggio, in quel momento di sconforto, di rammentargli come Venezia sia italiana e come anche dalla “Laguna” tardasse ad arrivare il sospirato parto del campione tanto atteso. Nel mio mestiere la cosa più interessante e affascinante è l’incessante propensione a sapere il più possibile degli altri e di come hanno vissuto i loro fatti, è una pratica quotidiana alla stessa stregua del mangiare, del bere e del dormire. Ti immergi in biografie e notizie e cerchi di capire o almeno di ipotizzare in modo credibile, e non vuoi lasciare nulla al caso in questo tentativo consuetudinario. Scrivere non è semplicemente fare parlare un altro, ma è farlo parlare attraverso di te. A volte vorrei avere davanti Paolo Canè, Andrea Gaudenzi, Stefano Pescosolido, Gianni Ocleppo e tanti altri tennisti italiani scorsi davanti ai miei occhi e non vorrei sentirli parlare, ma vorrei interpretare i loro pensieri e spiegare il loro “fallimento”, relativo ovviamente, come se a parlare fossero loro. Cercherei di capire cosa non abbia funzionato nella testa di ponte di uno sport con quasi 700.000 tesserati. Una enormità. Saranno mancate le giuste motivazioni? Nel tennis, si sa, la questione psicologica conta il 50% nel percorso verso la vittoria. Clerici si rammaricava molto di non aver avuto per tempo la sufficiente autostima per considerarsi romanziere, e una volta si seccò molto perché era riuscito a vendere, in uno stand di una delle tante fiere dedicate al libro, cinque copie della sua ultima fatica narrativa solo perché alcune persone lo avevano riconosciuto come personaggio televisivo: “la mia identificazione pubblica è con uno che parla alla televisione. Quindi è un po’ scoraggiante. Forse no, magari dovevo fare il televisivo, Ma è colpa mia. Uno deve prendere delle decisioni”. Prendo queste parole dello “Scriba” e le sovrappongo alla determinazione dei nostri dieci tennisti/e al momento ben classificati nel ranking, e allora un malevolo pensiero alla Marshall McLuhan mi attraversa la mente: sarà la visibilità conquistata dal tennis nelle piattaforme tv ad aver fatto trovare le giuste motivazioni ai nostri tennisti per coltivare il talento nel modo giusto? E’ quindi il narcisismo la chiave di tutto nell’Italia contemporanea? Abbiamo voglia di essere protagonisti solo perché siamo visti? Quanto c’entra questo con il tennis e lo spirito dei suoi dei? Poco, direi.
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La Svizzera padre e madre di Roger Federer è chiaramente un colpo di fortuna(o di culo, tanto per rendere omaggio a Trilussa), ma se guardi Sinner sai come lui sia il terminale di un lungo percorso compiuto dal tennis italiano, spesso non baciato dalla gloria ma sostenuto da una passione proveniente dai circoli di tutta Italia. Lo guardi e gli occhi ti si illuminano di speranza come quando lo “Scriba” si trovò davanti un sedicenne Nicola Pietrangeli in un torneo di “Seconda Categoria”, che per lui poteva valere un accesso alla tanto agognata “Prima Categoria”: “non potei fare a meno di guardarlo. Come avevo fatto con oggetti di autentica meraviglia, il San Giovanni Battista di Caravaggio, la frase di Proust sulla Marchesa di Guermantes, lo stop al volo di uno ormai decrepito Meazza. Lo guardai con gli occhi di chi già capiva di essere uno spettatore”. Lo “Scriba” si risvegliò da quell’incanto quando fu trafitto da un passante sublime, che ancora i più anziani soci del Tennis Club Parioli ricordano. Ho sempre amato il tennis come la donna perfetta da sempre cercata, ne ho intuito i sospiri prima che questi arrivassero, mi sono fatto accarezzare dai suoi colpi leggeri e dal suono delle sue corde tese. Solo su un campo da tennis ho avuto la sensazione di essere una persona compiuta e padrona del suo destino. Amo questo gioco come non potrei mai spiegare, scorre nelle mie vene e racconta la mia vita, e sospiro e spero che da questa nidiata di giocatori, a partire da Jannick Sinner, possa finalmente giungere il sogno sportivo più grande e ambizioso che sto aspettando da quando ero solo un bambino, ovvero che un italiano/a possa finalmente riempire di azzurro il prato di Wimbledon e alzare il “The Gentlemen’s Singles Trophy” o il “The Rosewater Dish” verso il cielo di Londra. E sapete una cosa? In fondo non mi importa dei motivi per cui fino ad ora non lo abbiamo mai vinto, so solo che il mio bellissimo Paese merita questa gioia. E sono sicuro che, da qualche angolo di cielo, in questo momento lo “Scriba” sia assolutamente d’accordo con me.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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