Nel 2019-2020 hai conosciuto Paolo Vanoli, il tuo attuale allenatore all’Inter. Ricordi quell’esperienza con lui? È cambiato rispetto ad allora? "Sì, l’ho ritrovato. È sempre lui. Ovviamente, ora ha compiti diversi, essendo primo allenatore, quindi deve prestare attenzione a tutti gli aspetti della squadra. Quell’anno ho lavorato molto con lui perché seguiva la fase difensiva e spesso si dedicava ai cinque difensori più il centrocampista. Caratterialmente è sempre stato un allenatore molto esigente, pretende tanto dai suoi giocatori e richiede grande impegno. Per me, questi sono i principi fondamentali per fare bene. La sua mentalità è molto simile alla mia, quindi ci siamo trovati bene all’Inter e sono sicuro che sarà così anche adesso".
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All’Inter avevi un piccolo rito: un bicchiere di vino rosso con Barella. Adesso sei nel posto giusto per conoscere ottimi vini! Hai già trovato un nuovo compagno di bevuta? "A Milano mi ero legato molto a Nico, lo chiamo fratello e lui fa lo stesso con me. Siamo una cosa sola, come se fossimo fratelli di sangue. Condividevamo la passione per il vino e la portiamo avanti ancora oggi. A volte ci beviamo un bicchiere insieme in videochiamata, per non sentire troppo la mancanza. Per ora, qui a Torino, non ho ancora avuto modo di uscire a cena con i miei nuovi compagni. È stata una settimana impegnativa dal punto di vista organizzativo, ma ci sarà modo. Spero di trovare un compagno di bevuta".
Sei considerato un uomo spogliatoio, un calciatore che sa fare gruppo. Nella tua carriera, quali sono stati gli esempi più importanti? "Ho avuto la fortuna di giocare in squadre con grandi capitani, con la C maiuscola. Ai miei inizi all’Inter c’era Zanetti, poi, nella mia seconda esperienza, Handanovic. Nella mia prima esperienza all’Inter, Zanetti era il capitano, ma in quello spogliatoio c’erano tanti leader: Materazzi, Stankovic, Milito, Samuel, Cambiasso… tutti giocatori con una personalità e un carisma che sarebbero stati capitani in qualsiasi squadra del mondo".
Un altro grande capitano è stato Davide Astori. Hai un tatuaggio dedicato a lui. Vuoi parlarcene? "Parlare di Davide è sempre toccante. È stato il mio capitano, lo considero il mio capitano per eccellenza. La sua perdita è stata enorme. Lo porto sempre con me, non solo nel tatuaggio, ma nel cuore. È difficile parlarne perché i ricordi e le emozioni sono tante, la ferita è ancora aperta. Quando si parla di lui, almeno dal mio punto di vista, non mi viene da soffermarmi sul calcio. Per me era un capitano di vita, non solo di una squadra. Era una persona speciale, unica. E non lo dico solo perché non c’è più: lo dicevo anche quando era con noi. Chiunque l’abbia conosciuto ha lo stesso pensiero su di lui".
Hai tanti tatuaggi. Quali sono quelli a cui sei più legato? "Quelli che rappresentano la mia famiglia sono i più importanti. Ogni tatuaggio ha un significato, ma sono tutti legati alla famiglia o al mio modo di vedere la vita. Per me, i tatuaggi devono rappresentare qualcosa di profondo, come gli obiettivi che ci si pone e il modo in cui si affrontano le sfide".
Ora entri in un nuovo gruppo come ultimo arrivato e senza fascia. Pensi comunque di trasmettere la tua esperienza ai compagni? "Sicuramente. Il mio obiettivo è mettere a disposizione della squadra non solo il mio bagaglio tecnico e tattico, ma anche la mia esperienza. Ho giocato tanti anni, ho vissuto momenti importanti, sono stato capitano a Firenze… Cercherò di trasmettere ai compagni il giusto atteggiamento e la mentalità vincente".
Ti senti un calciatore "da Toro" come diceva Mondonico? "Questa settimana ho capito davvero cosa significhi giocare nel Torino. L’ho sempre immaginato, ma ora ne ho avuto la conferma. Non è da tutti giocare qui e non deve esserlo. Non voglio dire subito se sarò un giocatore “da Toro”, ma so che farò di tutto per esserlo. Se tutti adottiamo questa mentalità, possiamo costruire qualcosa di importante".
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