Il derby delle bollicine e la fusione contro il primo Real
—È il 25 dicembre 1910 e si disputa una stracittadina valevole per la “Palla d’Oro Moët & Chandon”, torneo che prendeva il nome proprio dalla casa transalpina di champagne, la quale sfruttò il progresso industriale del XX secolo per ampliare il proprio mercato, in uno dei primissimi casi di sponsorizzazione nel panorama italiano. Un migliaio di persone assistette all’incontro: numeri importanti per l’epoca, favoriti anche da un avanguardistico tram che collegava Porta Nuova al campo juventino di corso Sebastopoli. Su un terreno pesantissimo, con un vero pantano a centrocampo, vinsero i granata 0-1 grazie a un autogol. Il risultato venne però ribaltato dal Consiglio Federale, secondo una prassi non inusuale per le competizioni non ufficiali del tempo. Così la Juventus rimase detentrice del trofeo e poté rimetterlo in palio nell’edizione successiva. Se non fosse chiaro, il Natale in tinte granata sarebbe un viaggio nella storia. Quello del 1920 si colloca in un periodo fortemente tumultuoso. Gli strascichi della Prima guerra mondiale si riversano in una grave incertezza, in rivendicazioni violente come il cosiddetto “Natale di sangue”, epilogo dell’Impresa di Fiume, con gli scontri tra i legionari di Gabriele D’Annunzio e il Regio Esercito italiano successivi al Trattato di Rapallo, che rendeva Fiume stato indipendente dall’Italia. In tale contesto, in una giornata di splendido sole, scendeva in campo una formazione mista tra Torino e Juventus che ospitava una squadra spagnola: il Royal A.C. Madrid. Sì, avete capito: si tratta del Real, che in realtà era Real da pochissimo. Soltanto il 29 giugno 1920 il re Alfonso XIII concesse al Madrid il titolo monarchico che lo avrebbe reso il brand più forte dell’intero panorama calcistico. Quella formazione bianconerogranata ebbe agevolmente la meglio sulla “mediocre esibizione degli spagnuoli”, in tournée in Italia, come commentava la stampa dell’epoca. Un netto 4-1.
Toro in salsa viennese
—L’anno seguente, il 1921, le due squadre torinesi tornarono a incrociarsi in una gara di beneficenza, valida per la Coppa dell’Associazione Nazionale Mutilati. La Grande Guerra restava ancora presente, così come i mutilati, visibili in tutte le città italiane. Il derby natalizio era volto a raccogliere fondi, in una cornice patriottica. Di fronte a un’ottima affluenza di pubblico, il Toro vinse di misura 1-0. Il Natale del 1922 vide i granata affrontare una squadra straniera: la Wiener Association di Vienna, in un’amichevole conclusa senza reti. Ah sì, qualche mese prima era avvenuta una cosuccia da niente come la Marcia su Roma. L’anno seguente arrivò un altro incontro con una “Wiener”, ma il Wiener Sport Club: “Wiener” stava infatti a indicare, in modo generico, i club della capitale austriaca. Per il Toro giunse una sconfitta per 1-2: non bastò la rete di Schoenfeld. La cronaca dell’epoca venne seguita da Vittorio Pozzo che, nonostante i tempi nazionalistici, colse nell’incontro con una squadra estera l’utilità del confronto con scuole diverse, invocando aperture e scambi per l’accrescimento dell’intero movimento europeo. Un’idea destinata a fare strada. A chiudere il trittico di gare con le viennesi, quella del 1924 contro il Rapid: netta la sconfitta, 2-5.
Natale delle meraviglie
—Dopo tre anni senza appuntamenti natalizi, ecco il primo incontro che rientra a pieno titolo negli almanacchi. È il 25 dicembre 1927 e il Toro è ospite della Cremonese. Finisce 2-2 ed uno dei marcatori porta il nome di Julio Libonatti, componente del “Trio delle meraviglie” che, insieme a Baloncieri e Rossetti, condurrà al termine di quella stagione al primo storico scudetto granata, arrivato dopo quello revocato dell’anno precedente. Facendo un salto di undici anni, troviamo un mondo cambiato, in cui si avverte l’odore di un’altra guerra mondiale. Nel 1938 si leggono titoli come “Natale di vittoria per le armi di Franco”, nella fase crepuscolare della guerra civile spagnola. Quel giorno si giocò al Filadelfia una gara di Coppa Italia contro l’Imperia. Pochissima gente sugli spalti, il freddo pungente. I granata ebbero la meglio dei liguri per 2-1.
La guerra, il derby, il Grande Torino
—Sei anni dopo ci si ritrova immersi nella guerra totale. Torino, il 25 dicembre 1944, era sotto il controllo della Repubblica Sociale Italiana, stremata dai bombardamenti di un conflitto ormai ampiamente deficitario. Anche lo sport viveva un periodo particolare. Si disputò un altro derby, tra Torino FIAT e Juventus Cisitalia, chiamate così per i legami industriali che ne permettevano la sopravvivenza. Quel Torino FIAT era già, nei fatti, il Grande Torino, che stava prendendo forma prima di monopolizzare il panorama nazionale con cinque tricolori consecutivi. 2-5 il finale, con le doppiette di Loik e Gabetto e il timbro di Ossola, in un match allo stadio Mussolini (l’attuale Grande Torino) volto a raccogliere fondi da destinare agli sfollati dei bombardamenti.
Il Toro del boom
—La guerra era alle spalle, Superga iniziava a esserlo un poco di più il 25 dicembre 1955, quando i granata ospitavano la Roma al Filadelfia. Era un Toro tornato a una sorta di normalità e intento a ritagliarsi uno spazio nel campionato. In una giornata freddissima, avvolta da una fitta nebbia, arrivò una vittoria per 2-1. Dall’Italia e da un Toro della ricostruzione si passa al Paese del boom economico, con cui si conclude questa carrellata natalizia. Nel 1960 il Toro era ospite del Bologna, in un incontro tutt’altro che all’insegna dei buoni sentimenti, anzi piuttosto spigoloso. I granata andarono sotto dopo undici minuti per un gol di Perani, ma pareggiarono alla mezz’ora con Tomeazzi. I padroni di casa chiusero la prima frazione avanti grazie a Cervellati, ma fu nella ripresa che si verificò l’episodio destinato a compromettere la serenità natalizia: l’arbitro fischiò un rigore in favore del Bologna per un fallo di mano discutibile. Ne scaturì un parapiglia, a cui fece le spese “Il Vecio”, Enzo Bearzot, che stava invece provando a rasserenare gli animi. Finì 3-1 e da quel momento non vi fu più una replica nel giorno di Natale. Alla fine, il calcio ha lasciato il Natale dove l’avevamo trovato: a tavola, tra una discussione e l’altra. Forse è giusto così. Per il pallone restano gli altri 364 giorni dell’anno.
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