Toro News
I migliori video scelti dal nostro canale

tor toro Quando Berlusconi battezzò il Torino di Cairo: vent’anni dopo

IL TEMA

Quando Berlusconi battezzò il Torino di Cairo: vent’anni dopo

Quando Berlusconi battezzò il Torino di Cairo: vent’anni dopo - immagine 1
Dalla benedizione del Cavaliere al ventennio in sella ai granata: il bilancio di un’epoca incompiuta
Matteo Curreri

“Berlusconi, ormai è guerra all’Udc” titolava un quotidiano il 5 settembre 2005. A Cernobbio, al Forum Ambrosetti, il premier minimizza le crepe nella Casa delle Libertà: "Sì, ci sono delle fibrillazioni nella Casa delle Libertà, ma nascono da vecchi modi di fare politica… c’è qualcuno che vuol mettere in pericolo il bipolarismo, ma noi siamo contrari". Quel “qualcuno” è l’Udc di Pier Ferdinando Casini e Marco Follini, tentata di correre da sola alle politiche dell’aprile 2006. Berlusconi ostenta sicurezza: "Certo che la tentazione di presentarmi da solo ce l’ho", salvo aggiungere con realismo: "Ma con questo sistema elettorale (ndr: il proporzionale) sarebbe sconfitta certa". Rivendica il progetto del “partito unico dei moderati” ("...siamo alla coda che muove il cane") e vira sull’autocelebrazione: "Io sono un presidente del Consiglio da 10 e lode – dice – ho fatto miracoli. In politica estera, dove mi ascoltano perché sono un tycoon e perché ho 15 anni più di loro". Poi riesuma il “contratto con gli italiani”: "Andrò dagli italiani e dirò tutto quello che ho fatto. Se vorranno resterò altri cinque anni. Altrimenti mi manderanno su una bellissima barca, nei Caraibi o a Tahiti. E ringrazierò di aver avuto questa fortuna senza nemmeno dover portare il peso della scelta".

Intanto, a Roma, il governo è attraversato da una tensione palpabile: il ministro dell’Economia Domenico Siniscalco ha di fatto scaricato il governatore di Bankitalia, Antonio Fazio. È questa la domenica di Cernobbio. Il giorno dopo, invece, l’atmosfera cambia del tutto. Lo stesso borgo sul lago di Como accoglie Berlusconi in motoscafo, nelle vesti di padrino del piccolo Jordan Shevchenko, figlio di Andrij e dell’ex modella americana Kristen Pazik. La politica si intreccia allo spettacolo, al calcio, all’immagine. Berlusconi non perde occasione per esibirsi: minimizza la ferita di Istanbul, scherza sul mercato del Milan, smentisce persino interessi su Ronaldinho o su un giovanissimo Messi, che allora spuntava nelle cronache sportive.

La giornata si chiude con una barzelletta. Protagonista il Papa, coprotagonista lui stesso: "Volete l’ultima su Berlusconi? Eccola qui: il Papa mentre attraversa il lago in barca perde il suo copricapo. Berlusconi, camminando sulle acque glielo riporta. Titolo di un giornale di opposizione: Berlusconi non sa neppure nuotare".

Tra gli incontri di quei giorni a Cernobbio c’è anche un volto familiare per Berlusconi: Urbano Cairo. L’ex assistente che aveva appena ufficializzato il debutto da patron del Torino. Dopo aver fatto da padrino al figlio di Shevchenko, il Cavaliere “battezza” anche la nuova avventura del suo ex collaboratore: "Cairo è bravissimo, vedrete che farà benissimo con il suo Toro".

Il loro legame nasce da lontano, da un’ammirazione quasi adolescenziale. Nel 1981, Cairo legge sulla rivista Capital una frase di Berlusconi: "Se qualche giovane ha una buona idea, mi telefoni". Prende quell'annuncio alla lettera, insiste, e alla fine riesce a farsi ricevere. Poco dopo diventa il suo assistente personale. Passa molto tempo ad Arcore, cena con Marina e Piersilvio, accompagna il Cavaliere nei viaggi in America e nei vari incontri.

In Publitalia diventa direttore commerciale, poi vicedirettore generale. Ma la parabola si interrompe a metà Anni Novanta: Tangentopoli travolge l’ambiente, Cairo patteggia per appropriazione indebita e falso in bilancio, viene licenziato da Mondadori e deve reinventarsi. Nasce così la sua avventura da editore indipendente, con Cairo Pubblicità e la concessione per Oggi, Tv Sette, Io Donna. Berlusconi non smette però di guardarlo con simpatia: si complimenta quando si quota in Borsa, lo richiama quando nel 2005 sente il suo nome accostato al Torino. "Dimmi un po’ questa cosa, non vorrei che ci fossero dei problemi...", gli dice al telefono.

E qualche problema, per Cairo, nel prendersi il Torino c’era eccome. Eppure, il 19 agosto – appena due giorni dopo il suo arrivo sulla piazza – parlava già da patron a La Stampa: "Non amo la retorica, ma è anche per mia madre e mio padre che voglio comprare il Toro. Non per visibilità, giuro. Anche se… quando ho sfondato nel mercato dei settimanali popolari con Dipiù, sui giornali mi dedicarono un trafiletto. Mentre è bastato che decidessi di comprare il Torino ed ecco un’intervista di 300 righe".

Erano giorni di proclami. Sullo stadio: "È la chiave del calcio moderno. Deve funzionare sette giorni, non solo uno, gestire il tempo libero e avere un ruolo economico e un’unità sociale". Sul vivaio: "Quanta gente c’è a Torino e dintorni? Due milioni? Vuole che uno ogni diecimila non diventi un giocatore da Toro?". Sull’ambizione: "Un po’ alla volta vorrei portare il Toro a ciò che era negli anni ’70. Negli ultimi trent’anni abbiamo vinto appena uno scudetto in meno dell’Inter...".

La realtà delle trattative con i lodisti, invece, era un’altra: caotica, piena di sospetti e di diffidenze, segnata dal braccio di ferro con Luca Giovannone, imprenditore ciociaro convinto di avere in mano la maggioranza del nuovo Toro. Una telenovela che si chiuse solo il 1° settembre, quando Cairo riuscì a firmare l’accordo e mettere il sigillo sulla società.

Il giorno dopo, l’annuncio: "Il Toro è mio, voglio rifarlo grande anche se non ho i soldi di Della Valle che come me s’è trovato a ripartire da zero. Ho già dimenticato quel che è successo negli ultimi venti giorni. Lasciateci solo lavorare, adesso".

A sintetizzare l’impressione di quei giorni, le parole di Massimo Gramellini su La Stampa: "È il clone di Berlusconi, dicono, ma un clone più tirchio. Un altro Borsano senza le banche di Craxi e il vivaio di Vatta alle spalle. L’omino di burro che ci spingerà nel Paese dei Balocchi, finché una brutta mattina ci risveglieremo tutti asini".

Vent’anni dopo, la domanda resta: Cairo ha davvero fatto “benissimo” con il suo Toro? Berlusconi aveva ragione? "È un periodo lungo, non c’è niente da festeggiare", ha ammesso il patron granata alla vigilia della ricorrenza. Durante Torino-Fiorentina i tifosi lo hanno contestato per novanta minuti, segno di un amore ormai consumato. I numeri sono impietosi: un solo derby vinto in 32 tentativi, due umiliazioni per 0-7 contro Atalanta e Milan, e il 5-0 subito quest’anno al debutto con l’Inter, mai accaduto prima nella storia granata. Appena due apparizioni europee, entrambe per esclusioni altrui, il settimo posto come miglior piazzamento in campionato, i quarti di Coppa Italia come massimo traguardo. Mai - a proposito - una vittoria contro una squadra di Berlusconi, riuscita solo col Monza nel 2022, l’anno che avrebbe preceduto la morte del Cavaliere.

Sul piano imprenditoriale, Cairo si è avvicinato al maestro con l’acquisizione di La7 e di Rcs, entrando stabilmente nell’élite economica. Da anni si rincorrono voci di una sua discesa in campo: sondaggi, ipotesi, sempre smentite ma mai del tutto spente. E proprio il 2 settembre 2025, giorno del ventesimo anniversario della presidenza Cairo, è morto Emilio Fede, volto del berlusconismo televisivo. Una coincidenza che racconta bene il paradosso: un’epoca finisce, l’altra – almeno calcisticamente – non decolla.