Toro News
I migliori video scelti dal nostro canale

tor toro Toro, quella notte da comparsa nella Grande Bellezza di Totti

toro

Toro, quella notte da comparsa nella Grande Bellezza di Totti

Toro, quella notte da comparsa nella Grande Bellezza di Totti - immagine 1
Forse, per una notte soltanto, è stato corretto ritrovarsi dalla parte sbagliata della storia. Ma riscrivere la propria non deve essere utopia
Matteo Curreri

È il minuto 92 di una partita non particolarmente entusiasmante, ma che proprio negli attimi conclusivi trova il suo punto di svolta. Sul rettangolo verde del Dall’Ara il giocatore ad andare più vicino al gol è Emanuele Giaccherini, in maglia Bologna, ma il palo gli nega la gioia. Il Toro resta così in partita, fino a che si arriva alla scena madre: Bruno Peres inventa un filtrante per Belotti, che si muove in profondità e viene agganciato in area da Luca Rossettini. Per Abisso, nonostante le proteste, non ci sono dubbi: è calcio di rigore.

Il Gallo dagli undici metri è glaciale, batte Antonio Mirante e firma la terza vittoria consecutiva dei granata. La festa per il successo giunto in extremis si sposta sotto il settore ospiti. Gioisce anche Gian Piero Ventura che, preso dall’entusiasmo, imita l’esultanza della sua giovane speranza, lasciando da parte l’aplomb e mostrando il gesto della cresta. “Sono contento per Belotti, che sta facendo bene, ma anche per le sue parole: ha voglia di crescere e imparare ancora”, dice nel post-partita.

Il Toro dà così un po’ di luce a una stagione 2015-2016 segnata da alti e bassi e dal rischio di crisi, con il futuro di Ventura messo in discussione nonostante i tre anni in cui aveva riportato la squadra dalla Serie B fino all’Europa League. L’allenatore prova a smorzare le tensioni: "Resto solo se i tifosi sono d’accordo. Abbiamo commesso errori, io per primo, ma dobbiamo saperne fare tesoro". Pochi giorni dopo arriva anche la voce del presidente Cairo, che ribadisce la sua fiducia: "Vorrei che restasse con noi, è il mio obiettivo", tagliando corto sulle voci di un possibile approdo in Nazionale.

La vittoria esterna, però, andrà subito dimenticata: i granata sono infatti chiamati a scendere nuovamente in campo in settimana, nella cornice dello Stadio Olimpico. Ventura, per la sfida contro la Roma guidata dal suo ex allievo Luciano Spalletti, spera di recuperare Ciro Immobile, tornato sotto la Mole dopo le due sfortunate esperienze a Dortmund e Siviglia, ma fermato da una lesione muscolare.

Ventura dovrà presentarsi nella Capitale senza l'attaccante di Torre Annunziata e senza Maxi Lopez, ancora alle prese con l’influenza. Salta così il piano di un ampio turnover, costringendo il tecnico a riproporre Belotti e l’altro attaccante disponibile, Josef Martinez. Alla vigilia, però, l’allenatore granata non parla solo di campo, ma anche dell’ambiente che lo accoglierà: “A Roma non ho trovato un ambiente semplice, perché dicono che sono filo-juventino – spiega –. La Roma ha una grande squadra, con tanti giocatori forti, ma questo non è un nostro problema. Quello che conta sono le ambizioni: il primo passo è averne, il secondo è capire cosa fare per soddisfarle. Dal momento che ho l’umiltà di pormi queste domande, il problema diventa trovare le risposte. Partite come questa ti offrono proprio la possibilità di cercarle e, magari, trovarle”.

Gian Piero Ventura la sera del 20 aprile 2016, sotto i riflettori dell’Olimpico, sorride vedendo Luciano Spalletti negli attimi che precedono il fischio d’inizio. Una stretta di mano, un abbraccio con pacche sulla schiena e Spalletti che, liberandosi, scoppia in una risata fragorosa. Davanti ai cinque arbitri guidati da Calvarese, Glik e Florenzi si scambiano i gagliardetti. In tribuna vengono inquadrati alcuni ragazzi con la bandiera dell’Egitto: in campo, nella Roma, c’è Momo Salah.

Il primo squillo è granata. Bruno Peres ruba palla a Florenzi, accende il turbo e si lancia in progressione: supera con facilità Emerson Palmieri e costringe i difensori giallorossi a rincorrere all’indietro. Accentrandosi da destra trova un delizioso tocco sotto per Josef Martinez. Il venezuelano controlla di petto, scavalca Manolas con un sombrero elegante e, una volta in area da posizione centrale, prova la battuta al volo. Ma perde l’equilibrio e spreca tutto, spedendo il pallone ben oltre la porta difesa da Szczesny.

Pochi minuti dopo è Belotti a infiammare la gara: riceve indisturbato a centrocampo, avanza e carica il destro da lontanissimo. La palla diventa un missile che si stampa sul palo, a salvare l’estremo difensore giallorosso. Il Gallo è protagonista anche poco dopo: su un cross da sinistra, viene trattenuto vistosamente da Manolas. Calvarese non ha dubbi e indica il dischetto.

Il primo piano stringe sul volto di Belotti, 22 anni, ciuffo laterale e un accenno di barba sotto il mento. Muove la lingua da un lato all’altro per stemperare la tensione, fa qualche saltello di rincorsa mentre l’Olimpico lo sommerge di fischi. Poi il destro piazzato, Szczesny si tuffa dall’altra parte: gol. Esplode la cresta, il salto con braccio al cielo, l’abbraccio dei compagni. È l’undicesimo centro in campionato. Siamo al 35’.

La Roma prova a reagire, sfruttando un errore in uscita del Torino. Gazzi serve centralmente Baselli, che però si fa anticipare da Seydou Keita. Il maliano appoggia a Nainggolan, che controlla e si accentra, liberando un destro violento da fuori. Padelli è reattivo, si allunga in tuffo e devia in angolo. Il portiere esulta, mentre il belga mastica amaro.

Si va alla ripresa. Fischio di Calvarese, subito dopo l’inquadratura su Ventura che, toccandosi la testa, invita i suoi a usarla al meglio. Ma al 65’ Manolas svetta su Moretti e trasforma in rete l’angolo di Perotti battuto da destra. Il greco corre come un forsennato in direzione della panchina, urlando, prima di essere travolto dai compagni. Tutto da rifare per i granata.

Il Toro però non si arrende. Al 81’, Obi gioca centralmente per Martinez, che protegge palla di spalle e restituisce. L’ex interista sbaglia misura, ma la sfera finisce comunque a Bruno Peres, largo a sinistra. Il brasiliano se la aggiusta, approfitta dello spazio lasciato da Florenzi e crossa rasoterra. Al centro, Martinez sfugge a Maicon e in spaccata spinge in rete, approfittando della porzione di porta lasciata scoperta da Szczesny. Il venezuelano esplode in un’esultanza liberatoria: scivolata lungo la linea laterale, poi l’abbraccio di Molinaro e, a cascata, di tutta la squadra. È il suo primo gol in campionato.

Minuto 81: il Toro è avanti 2-1 e sogna un altro colpo esterno dopo quello di San Siro contro l’Inter, firmato Molinaro e Belotti. Restano nove minuti da soffrire, ma il colpaccio sembra a portata di mano. Da casa, conoscendo lo storico di sofferenze e traumi granata, in molti temono ancora una rimonta romanista. Ma con il punteggio sull’1-2 a nove dalla fine, non è impossibile illudersi di potercela fare davvero e di battere finalmente la Roma dopo 9 anni. Per qualche minuto, sembrò di avere il destino nelle proprie mani.

Luciano Spalletti, dopo aver giocato le carte Pjanic e Dzeko, non ha più alternative: gli resta il jolly, quello capace da solo, al semplice annuncio dello speaker o alzandosi dalla panchina, di ravvivare un Olimpico ammutolito.

“Calciomercato Roma, Totti: stavolta è finita. Pallotta non ci ripensa” titolava il Corriere dello Sport il 16 aprile 2016. Il contratto del capitano giallorosso, in scadenza a fine giugno, non sarebbe stato più rinnovato. Totti era ormai in rotta con la dirigenza guidata da James Pallotta – lo stesso che mesi prima gli aveva detto “Decidi tu quando smettere” – e aveva già confidato agli amici di andare allo stadio per le ultime gare casalinghe: “Perché saranno le mie ultime con la maglia della Roma”.

Il giorno seguente i giallorossi erano attesi a Bergamo. Per mezz’ora fila tutto liscio: Digne e Nainggolan firmano il doppio vantaggio, ma D’Alessandro accorcia, prima che Borriello, ex di turno, completi la rimonta con una doppietta.

Roma in frantumi, fino al 33’ della ripresa, quando Spalletti getta nella mischia Francesco Totti. A cinque dalla fine il capitano risolve la partita con un destro a fil di palo. Esultano tutti, tranne Spalletti, che a tre minuti dal termine viene espulso per proteste. Negli spogliatoi esplode invece un acceso diverbio con il numero 10: “Sono dieci anni che fate figure di m…, e tu giochi a carte fino alle 2 di notte”, avrebbe detto l’allenatore. Poi, in conferenza, l’attacco frontale: “Totti non ha salvato niente, la partita l’ha salvata la squadra. Gliel’hanno preparata bene, lui ha questi tiri e ha fatto un gran gol e ci ha dato la possibilità di pareggiare la partita. Fa parte della squadra e fa il lavoro che deve fare tutta la squadra”. Quindi l’affondo: “Quel gol Totti lo fa anche fra 3 anni, ma sono altre le cose che non vengono portate alla luce. Se ci lavorate un po’, vedrete che usciranno”.

Era la conferma di un rapporto logorato. “Grazie di tutto Luciano, mi sarebbe piaciuto chiudere con te la mia carriera”, aveva scritto Totti nel 2009, al momento dell’esonero del tecnico toscano, che chiudeva la sua prima esperienza a Trigoria. Così sarà, ma non come se lo aspettava. La miccia era esplosa il 20 febbraio, prima di Roma-Palermo: Spalletti annunciava in conferenza l’impiego del capitano, mentre Totti alla Rai dichiarava che il rapporto con il tecnico si limitava a un “buongiorno e buonasera”. La mattina dopo fu escluso dal ritiro.

Alla vigilia del match con il Torino, Spalletti rincarò: “Io ho un capitano, ma ho anche una squadra. Non ho né padre, né madre, né parenti, né sentimenti quando faccio la formazione. Io penso solo a far vincere la Roma e penso a tutti i miei calciatori, e se Totti interpreta queste mie scelte diversamente è un problema suo, non mio. Abbiamo vinto delle partite anche senza di lui, io sono qui per far rispettare delle regole e per vincere”. E ancora: “È corretto dire che Totti salva la Roma, ma non che è la Roma. Ci sono tanti calciatori. Perché quando parlate del gol di Francesco non parlate dell’azione di Perotti, del movimento di Dzeko, dei contrasti spaccagambe di El Shaarawy? Io devo pensare a tutti, intervenire e moderare quando si dice che la Roma dipende solo da questo o quel calciatore".

Tutto questo precede quel mercoledì in cui Totti non fu chiamato soltanto a risolvere le grane della sua Roma, ma a compiere un vero e proprio atto di resistenza. Al 41’ della ripresa Seydou Keita lascia il posto al numero 10, accolto da un Olimpico in delirio. C’è una punizione dalla trequarti destra, incaricato della battuta Pjanic. “Manolas allunga la traiettoria e io, entrando da sinistra in spaccata, riesco a metterla in porta. Sotto la Curva Sud. Impazzisco”, racconterà lo stesso Totti nell’autobiografia scritta con Paolo Condò Un capitano (Rizzoli). Appena 23 secondi dopo il suo ingresso, il capitano giallorosso si avventa sul pallone con la ferocia di un ventenne, e non di un calciatore ormai prossimo ai quarant’anni. Spalletti, in piedi, sorride e applaude il gesto tecnico. Passano tre minuti e l’arbitro Calvarese ci regala un rigore, il fallo di mano di Maksimovic su cross di Perotti proprio non c’è”.

Dal dischetto, naturalmente, va ancora Totti: “Il campo è pesante perché ha piovuto, valuto il solito collo destro ma non calcio un buon rigore, non abbastanza angolato né violento. Almeno è rasoterra, però: Padelli lo tocca senza riuscire a bloccarlo, e finisce in gloria”. Due gol in due minuti e mezzo: l’Olimpico è una bolgia.

Totti viene travolto dagli abbracci dei compagni, mentre sugli spalti c’è chi piange filmando l’ennesima impresa con lo smartphone. È delirio puro e “Perfino Spalletti non riesce a fare a meno di assestarmi una pacca complice. È semplicemente una conclusione incredibile”.

Sul fronte Toro domina l’amarezza. Ventura è comprensibilmente furioso: “Perché se non facciamo risultato in una partita come questa a Roma non lo faremo mai più. Ho grande rispetto per Totti ma in generale abbiamo preso tre gol su calcio da fermo”. Parole che lasciano trasparire il rammarico, ma anche la consapevolezza di aver assistito a una pagina di storia del calcio. Daniele Baselli, in zona mista, sintetizza così: “Siamo venuti qui con grande personalità, abbiamo messo sotto la Roma per 80 minuti ma il calcio è questo, entra Totti e fa una doppietta…”.

Nei minuti iniziali del film premio Oscar La Grande Bellezza (2013), una signora anziana tiene una sigaretta tra le labbra. Indossa una collana di perle, un abito a fantasia floreale e, alla sua sinistra, si staglia un busto in marmo di un uomo con baffi e sguardo severo. Stringe tra le mani La Gazzetta dello Sport, dove campeggia il titolo: “Allarme per Totti”. Poco dopo, un turista giapponese, al Belvedere del Gianicolo, immortala con la sua macchina fotografica l’incommensurabile panorama della città eterna. In sottofondo risuona un coro solenne. Il turista si asciuga la fronte con le nocche della mano sinistra, ma un attimo dopo crolla a terra, privo di sensi. Lo vediamo disteso, prono, sui sampietrini. Una delle più riuscite rappresentazioni cinematografiche della sindrome di Stendhal: reazione psicosomatica che può scatenarsi davanti a opere di straordinaria bellezza o a un eccesso di stimoli estetici.

Forse qualcosa di simile accadde anche a quel Toro di Ventura. Se Roma è La Grande Bellezza, nel bene e nel male, Francesco Totti non può che esserne il sinonimo più autentico, trasferito su un terreno di gioco popolare come quello del calcio. E forse, a distanza di quasi un decennio da quella notte, è stato giusto trovarsi dalla parte più sfortunata della storia. Non che al Torino non sia capitato in 119 anni di soffrire simili dolori, ma in quel caso testimoni privilegiati dell’elevazione di un campione già leggendario a redivivo, nella scrittura in diretta di una pagina di storia, è valsa comunque la pena.  Quasi spettatori necessari: non il protagonista, ma il contraltare che ha permesso a Totti di vivere il suo momento più epico negli ultimi anni di carriera.

In attesa che, un giorno – chissà quando – anche i tifosi del Toro possano vivere un rapporto passionale come quello dei romanisti con il loro figlio, amico, fratello e idolo generazionale. Per chi è nato dagli anni ’90 in poi, in un periodo avaro di gioie e punti di riferimento, qualche spiraglio c’è stato: Rolando Bianchi, Andrea Belotti. Ma con Alessandro Buongiorno sarebbe stato diverso. Un torinese, tifoso granata, con le qualità per restare a un livello eccelso per anni e anni.

Chi non ha provato un pizzico di malinconia guardando in tv il commiato che l’Olimpico, il 28 maggio 2017, aveva riservato a Totti? Come si poteva non invidiare un legame così profondo, quasi mistico, tra un uomo e la sua gente? Per molti si chiudeva un’epoca, ma anche un amore irripetibile. Utopia pensare che a Torino possa accadere qualcosa di simile. Nostro figlio, amico e fratello è dovuto andare altrove per ritagliarsi ciò che gli spettava, ciò che casa sua non riusciva a offrirgli. E come biasimarlo.

E allora forse il Toro è come Jep Gambardella, il protagonista del film di Sorrentino interpretato da Toni Servillo: un uomo che insegue per tutta la vita la sua grande bellezza senza mai afferrarla, costretto a contemplarla negli altri. Così, mentre l’Olimpico incoronava Totti in uno dei suoi ultimi atti di gloria, i granata restano ancora nel limbo, spettatori di un capolavoro che ferisce e nobilita allo stesso tempo. Ma il Toro non può più permettersi di vivere soltanto di rimpianti e nostalgie, né di accontentarsi del ruolo di comparsa nei ricordi degli altri. L’identità granata, deve trasformarsi in coraggio e ambizione. È tempo che qualcuno scelga di restituire alla squadra e ai suoi tifosi la possibilità di essere davvero protagonisti. Perché anche il popolo granata merita la propria Grande Bellezza.