Era il tempo della misurazione della febbre, della mascherina, del disinfettante. Così vivevamo il 20 maggio 2020, quando Urbano Cairo introdusse alla stampa la nuova figura societaria che prendeva il posto di Massimo Bava: “E vi dico che Davide mi stava un po' sulle palle perché una trattativa con Gomis fu complicatissima per merito suo. E da quel giorno capii che era bravo e abbiamo fatto un po' di cose assieme. Ci siamo conosciuti ed è nato un rapporto positivo. Quest’anno, quando ho pensato che fare per il Toro, ho pensato a lui. È affamato, umile, ancorato alla realtà. Piacerà anche ai nostri tifosi che vogliono fatti e non parole”. Davide Vagnati era un direttore sportivo in rampa di lancio: aveva riportato la SPAL nel grande calcio, in Serie A.

IL TEMA
Vagnati, fine corsa: il Torino volta pagina dopo stagioni altalenanti
Il Toro rappresentava la grande occasione, da non sprecare: «Che emozione entrare al Filadelfia, la prima cosa che ho visto è la vecchia tribuna, ti dà subito grande responsabilità e senso di appartenenza. Sono carico», diceva dopo aver incontrato, con la mascherina a coprirgli la bocca, l’allora tecnico granata Moreno Longo sul campo di allenamento. Fu l’inizio di un percorso interrottosi oggi, dopo oltre 2.000 giorni, con una nota pubblicata sul sito della società che annuncia la separazione da Vagnati e il “back in the days” con Gianluca Petrachi.
Nel mezzo, un rapporto man mano deterioratosi con la piazza, tutt’altro che delusa dalla separazione dal dirigente nativo di Genova. Un riflesso della contestazione annosa verso la proprietà, ma anche un fondato malcontento per una gestione da parte del dt trascinatasi negli anni fino all’epilogo odierno, con Vagnati che lascia il Toro con una squadra senza capo né coda e che flirta con la zona retrocessione.
Vagnati, fin dal suo arrivo a Torino, non ha trovato vita facile. La spending review causa Covid — o causa Verdi, che aveva scottato e non poco la proprietà —, il flop della prima scelta, quel Marco Giampaolo poi rimpiazzato da Davide Nicola e, già al primo anno, il rischio di una clamorosa retrocessione. Poi l’avvento di Juric e varie questioni scomode, su tutte il rapporto con l’allenatore croato: l’uomo scelto per ridare lustro ai granata dopo due annate molto difficili, ma con cui non è mai davvero sbocciato nulla. Già dalla prima estate di lavoro sorsero incomprensioni, fino a quella esageratamente plateale, da mondovisione, del luglio 2022. La rissa, gli epiteti rivolti a chi sta più in alto, ma che non generarono il terremoto che ci si poteva immaginare. Ognuno rimase al proprio posto, pur con diversi errori alle spalle.
Durante la gestione Vagnati arrivò anche l’addio, nel 2022, di Andrea Belotti, che non volle più proseguire il suo percorso con il Torino. E i tanti flop di mercato che genererebbero una lista davvero kitsch e grottesca: dai portieri Popa, agli oggetti misteriosi Bayeye e Haveri. Come scordarsi della maglia numero 10 sulle spalle di Amer Gojak, o di Rolando Vieira. Fino all’attacco, con Uros Kabic, Magnus Warming e Demba Seck. Quest’ultimo, tra l’altro, ex SPAL come molti giocatori arrivati negli ultimi anni e, soprattutto, diversi membri del quadro dirigenziale.
Di Vagnati si possono ricordare le squadre smontate anno dopo anno, i giocatori presi in prestito, divenuti importanti per i vari tecnici e poi tornati alla base: da Brekalo a Praet fino all’ultimo, Eljif Elmas (in attesa di Asllani e Ngonge), su cui non c’è stata la volontà da parte della società di esercitare il diritto di riscatto. La sensazione, anno dopo anno, di essere un cantiere aperto. Il player trading fatto però senza rimpiazzare adeguatamente i grandi partenti. L’emblema: l’estate 2024, quella della cessione di Buongiorno e quella inattesa di Raoul Bellanova. La risposta fu Saul Coco; poi Maripan, Walukiewicz e Marcus Pedersen. Scelte che hanno fatto precipitare definitivamente il consenso della piazza, insieme ad alcune uscite infelici come: «Adams? L’ho preso dicendogli che uno step in Italia può fargli bene per poi eventualmente ritornare nei grandi palcoscenici europei, o in Italia ma nei club importanti», come se l’intenzione di rendere il Toro altrettanto non appartenesse a questa società.
Col tempo, qualcosa si era rotto anche nel rapporto con la proprietà. La scelta di Vanoli portava il nome di Vagnati e Cairo — che avrebbe preferito un altro profilo — non gliel’ha perdonata. Ma se Vanoli “allenava i tifosi”, perché Vagnati non aveva pagato quella scelta? Mistero della fede. In estate, l’ultimo canto del cigno: le due plusvalenze di Ricci, ceduto a 23 milioni, e Vanja Milinkovic Savic, a 6 più 15 di prestito. Negli anni precedenti, Bremer a primeggiare per 46,9 milioni, con dietro Buongiorno a 35. Soltanto Ricci, però, era una pescata di Vagnati: le altre intuizioni erano tutte di Petrachi.
D’altro canto, le cifre più alte spese dall’ormai ex dt non hanno funzionato fino in fondo, anzi. Ivan Ilic, pagato 16,5 milioni dall’Hellas, era praticamente già stato ceduto lo scorso gennaio in Russia, prima di un clamoroso dietrofront. Casadei, pagato 13 milioni dal Chelsea, vive una fase di appannamento importante. Ricci a 11, Vlasic a 10,6 e Zapata a 8,6 sono le note più liete. Ma poi si può storcere il naso per l’acquisto di Schuurs a 9,4 dall’Ajax (con una buona dose di sfortuna), Coco a 8,2 e infine l’ultimo acquisto, specchio dell’attuale flop stagionale: 8 milioni per Zakaria Aboukhlal, fin qui un corpo estraneo dalla difficile collocazione tattica. E oggi è arrivata questa decisione, che porta con sé inevitabili bilanci. Ma doveva essere davvero questa la data giusta?
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