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Buonanotte suonatori

LECCE, ITALY - FEBRUARY 02: Simone Edera and Andrea Belotti of Torino FC stand disappointed after the Serie A match between US Lecce and  Torino FC at Stadio Via del Mare on February 02, 2020 in Lecce, Italy. (Photo by Francesco Pecoraro/Getty Images)

Sotto le granate / Torna la rubrica di Maria Grazia Nemour con il seguente quesito: ora arriva Longo e subito sfiora note che ci sono care, come le porte del Fila aperte, pronte ad accogliere. Basterà, per cambiare musica?

Maria Grazia Nemour

L’allenatore è un direttore d’orchestra, alza la bacchetta e imprime la sua interpretazione allo spartito, i giocatori suonano. Il calcio è musica. Perché un maestro riesca a far eseguire la medesima opera in modo più emozionante di un altro, è complesso da interpretare. Non inventa regole e non aggiunge note, piuttosto assimila e restituisce in modo personale la polifonia di innumerevoli elementi. Interpreta il gioco dell’avversario, il prato verde e soprattutto pregi e limiti dei propri giocatori. Io credo che gli investimenti umani abbiano bisogno di tempo per dare frutti e credo che chi ha diretto l’orchestra negli ultimi due anni non sia uno sprovveduto. Non ho mai amato particolarmente il nostro pragmatico direttore d’orchestra, ma credo sia un professionista. Prendo atto che non ha saputo far vibrare armoniosamente gli strumenti, lasciando alzare suoni inascoltabili.

Forse l’impresario, il padrone del teatro dove il Toro fa musica, ha smesso di credere nella bontà del palinsesto e vuole disinvestire. Che i giocatori debbano essere musicisti virtuosi per suonare in un’orchestra è chiaro, diversamente è bene che si dedichino ad altre nobili attività come impastare la farina, pulire le strade o insegnare l’alfabeto ai bambini. Che i giocatori coltivino velleità da solisti o supponenza da vice-direttori, è quanto di peggio possa capitare a un’orchestra. C’è umiltà nella grandezza e grandezza dei singoli nella coralità.

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No, invece che i giocatori abbiano preso stecche volutamente non lo posso pensare, si firmerebbero davvero come piccoli uomini, irrispettosi dei colori vestiti e ottusi, incapaci di comprendere quale grande onore sia rappresentare qualcun altro. Che siano presenti troppi strumentisti di mediocre talento o motivazione? Troppi elementi incapaci di padroneggiare le proprie doti, alternando armonia e stecche a seconda della digestione? Che gli accordi e disaccordi pro-Europa di quest’estate siano stati unti di avidità dalla mano della Società o di alcuni giocatori, innescando viscidi scivoloni su quanto atteso o disatteso? Non so. Quello che so è che neanche al requiem del nostro funerale abbiamo tenuto il tempo. E non so darmi un perché. Ce le hanno proprio suonate, l’Atalanta come il Lecce. Completamente suonati siamo rimasti. Non sono state sconfitte, ma disfatte pregne di umiliazione. È stato umiliante che il Toro fosse talmente concentrato a fissare il proprio ombelico da non salutare a Lecce un bambino con il cinque sventolante sopra la testolina. Che stridore quel miope nervosismo, lenito un poco dal granata di Millico e Lyanco. Perché tanta irritabilità prima di Lecce-Toro?

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Lecce, proprio quella terra salentina che nell’89, srotolando lo striscione: “caro granata ti aspetta Licata”, ci aveva dato l’ultima spinta giù, nel burrone della serie B. Dicono che a Lecce al termine della partita di domenica, dagli spogliatoi ospiti, siano fuoriuscite urla che neanche il più satanico rock black metal saprebbe riprodurre. Noi tifosi non eravamo in quello spogliatoio. Una squadra di serie A è un giocattolo che fa girare molti soldi, noi tifosi non sapremo mai chi, cosa e perché ha stonato il Toro, creando cotanta disarmonia.

Cairo. Mazzarri. Dirigenza. Giocatori.

Noi siamo solo quelli che hanno dovuto tappare gli occhi per non vedere e le orecchie per non ascoltare, la bocca aperta, annichilita, ormai neanche più capace di urlare. Io non ho alcuna dote musicale, però so che ogni mattina tento di fare il mio lavoro con responsabilità e se proprio mi venisse voglia di fare la rivoluzione e far saltare il capo, dovrei essere certa di saper fare meglio di lui in quel ruolo. Diversamente, meglio mettere in conto di comprare un organetto e mettermi a suonare all’angolo di via Roma, con un cartello: disoccupata. Il Toro può essere gioia e può essere sofferenza, ma sicuramente non è Toro se manca la musica. Ora arriva Longo e subito sfiora note che ci sono care, come le porte del Fila aperte, pronte ad accogliere. Basterà, per cambiare musica?

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicargli un po’ la vita.

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