Al 91’ Aronica passa il pallone all’indietro senza accorgersi che, alle sue spalle, c’è proprio Sansone, che si fionda con rabbia su quella palla, voglioso di riscattare in un colpo solo il non facile avvio di stagione. De Sanctis esce alla disperata, ma l’ex neroverde è bravissimo a scartarlo con un movimento secco, quasi inusuale, visto che, nel calcio moderno, il dribbling sul portiere sembra un’azione desueta. A questo punto la porta è spalancata, Sansone ritrova in fretta l’equilibrio ed è poco fuori dall’area piccola. In quei pochi centesimi di secondo, capita un fenomeno strano, lo racconterà proprio il numero ventiquattro a fine partita: la porta sembra diventare sembra più piccola. Quel fenomeno non succede solo a lui, ma anche a tutti noi che guardiamo. Ricordo che, appena eseguito il dribbling, mi sono nascosto dietro gli amici che la stavano guardando con me, non volevo vedere l’eventuale errore, volevo solo aspettare l’urlo liberatorio dei miei compagni di tifo che sembrava non arrivare mai. Il silenzio sarà durato un secondo e mezzo, ma sembrava ne fossero passati trenta. Poi l’urlo è arrivato, ho alzato la testa e ho visto Sansone esultare per averla appoggiata col sinistro dopo aver avuto la lucidità di fermarla col destro, con la maglia in testa e Cerci che cerca di aggrapparsi a lui per abbracciarlo. C’è pareggio e pareggio. Contro una squadra forte come il Napoli, in rimonta, a tempo scaduto, con quel tipo di gol lì fa godere più di certe vittorie grigie.
Sembra il momento giusto per Sansone per spiccare il volo, ma non è così. Da lì in poi, soltanto tre gare da titolare, qualche scampolo e, a gennaio, con l’inizio di Barreto, la consapevolezza di dover andare altrove per continuare a seguire il suo sogno. L’altrove si chiama Sampdoria e l’inizio è da urlo. Mentre il Toro perde a Udine, Sansone ha il suo momento di gloria in una partita pazzesca, contro la Roma dell’esordiente Andreazzoli in panchina, in cui accade di tutto fra gol buoni annullati, il rigore scippato (e sbagliato) da Osvaldo a Totti e il dito medio di Delio Rossi nel finale. L’ex granata subentra a inizio ripresa a Soriano, serve un assist d’oro a Estigarribia per l’1-0, raddoppia con una gran punizione dal limite e, per buon peso, batte perfettamente l’angolo che Icardi inzuccherà in rete per il 3-1. Anche sotto la Lanterna, però, non va proprio come si penserebbe, i gol in due stagioni saranno cinque in campionato e uno dei quali, ovviamente, sarà contro il Toro, quello di Cerci e Immobile, con una rasoiata di sinistro da fuori ad aprire le marcature di un combattutissimo e polemico 2-2. Quel giorno è anche quello del primo gol granata in campionato di Ciro, ma questa è un’altra storia. Dopo la Samp per Sansone non ci sarà più serie A, neanche quando la conquisterà sul campo con la maglia del Bologna, nonostante due reti decisive nei playoff.
Gianluca Sansone lascia il sapore del rimpianto, perché fa sempre arrabbiare quando la storia di chi dà del tu al pallone non finisce come dovrebbe, soprattutto se ha la tua maglia addosso e ci butti delle aspettative, così come sicuramente ce le aveva buttate lui. Però, nonostante questo, anche lui ha scritto un paragrafo del nostro libro, perché se pensi al gol di Sansone è un attimo ritornare con la testa al San Paolo, alla porta che sembra rimpicciolirsi dopo il dribbling su De Sanctis, a quei secondi infiniti e a quel pallone che finisce dentro facendoci passare un bel pomeriggio e una bella sera in quella domenica di inizio novembre 2012.
Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentinie…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.
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