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Lazio-Toro 1-5: l’anteprima di quel che sarà

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Nel 150esimo episodio di Culto Francesco Bugnone ci racconta di come degli assatanati Sala, Pulici e Graziani, nel 1975, vinsero 5-1 a casa della Lazio campione in carica dando un assaggio di cosa sarebbe successo l'anno dopo

Da piccolo uno dei miei passatempi preferiti era sfogliare gli almanacchi del calcio Panini di mio padre, leggere i tabellini delle partite e immaginare gol e azioni. Non è il solito pippone romantico del “si stava meglio quando si stava peggio”, perché avrei pagato oro per avere a disposizione YouTube con i gol da guardare invece di provare a riprodurli nella mia testa, ma tant’è. Uno dei tabellini che catturò maggiormente la mia attenzione fu quello del 6 aprile 1975 che mostrava un roboante Lazio-Torino 1-5 con doppietta di Graziani e tripletta di Pulici inframezzati da una rete di Chinaglia. La Lazio ha lo scudetto sul petto e in quegli anni è fortissima, ma il Toro sa tenerle testa. L’anno precedente siamo stati gli unici a batterli in casa e fuori, all’andata finì 2-2 con non poche polemiche arbitrali e anche alla vigilia della gara siamo convinti di poter dire la nostra, sebbene i campioni in carica abbiano appena espugnato Bologna riavvicinandosi alla Juventus capolista. Quell’avvicinamento è stato favorito proprio dai granata con un derby tambureggiante vinto 3-2 che ha riaperto i giochi per il titolo col Napoli a -2 e Roma e Lazio a -4. Poi ci siamo noi a -5, in piena lotta, se non per lo scudetto, per un posto in Europa. Quella domenica si giocherà proprio lo scontro diretto fra bianconeri e partenopei con la famosa rete di Altafini all’88’ che gli costerà l’epiteto di “core ‘ngrato”, ma quella è un’altra storia. Quello che va in scena nel pomeriggio romano, se ci riferissimo a una serie televisiva, sarebbe un prequel del 1975/76. Nonostante la disposizione tattica sia diversa, Francesco Graziani, Paolo Pulici e Claudio Sala imperversano inarrestabili come faranno nell’anno successivo in cui vinceranno il tricolore. A differenza di quanto farà Radice, il tecnico Edmondo Fabbri schiera i tre gioielli con la cosiddetta forbice: Graziani con il numero sette (e un giorno parleremo della scommessa tra Mondino e Ciccio col tecnico che affermava che con quel numero di maglia l’attaccante sarebbe andato in Nazionale e un tappeto in ballo), Claudio Sala col nove da finto centravanti, Pupi ovviamente con l’undici. L’intesa fra i tre sta crescendo rapidamente e quel pomeriggio diventerà sublime, una specie di prova generale della versione extralusso dei Gemelli e del Poeta l’anno successivo.

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La Lazio entra in campo consapevole che per rimanere in lotta per la conferma dello scudetto deve vincere, ma quel giorno manca il suo condottiero. Tommaso Maestrelli, già sofferente di problemi di stomaco da mesi, dopo la partita di Bologna, nella quale lamentava di patire molto freddo, si è sentito male sulla strada del ritorno ed è stato convinto a farsi ricoverare in clinica. Si sentirà col vice Bob Lovati, portiere del Toro 54/55, tramite collegamento telefonico. Più avanti, però, purtroppo dovremo tornare sulla vicenda del tecnico del sin lì unico titolo biancoceleste. Agli ordini dell’arbitro Lazzaroni di Milano le squadre scendono in campo alle 15:30. La Lazio recupera Frustalupi, in dubbio per qualche linea di febbre, ma non fa lo stesso con Garlaschelli. Il Toro ritrova Cereser a comandare la difesa. La partita si sblocca dopo dodici minuti grazie ai Gemelli che partono larghi, ma arrivano al centro quando serve. Pulici, dalla destra, centra di sinistro con una parabola arcuata che lascia di sasso la difesa di casa e Graziani stacca altissimo per incornare in rete. Il bis arriva al 40’, sempre con Graziani e sempre di testa. Stavolta il pallone arriva da un preciso calcio di punizione di Zaccarelli da sinistra e la conclusione non è la secca frustata dell’1-0, ma una palombella tanto beffarda quanto precisa, di quelle che sembrano far fare una figuraccia al portiere anche quando sono imprendibili come in questo caso. In mezzo alle due reti il Toro ha invocato un rigore (Wilson su Zaccarelli) e così ha fatto la Lazio per un mani di Mozzini parso involontario, ma che ha scatenato la tifoseria di casa autrice di un tentativo di invasione di campo prima e di un fitto lancio di oggetti poi. Nell’intervallo Lovati non ha il coraggio di telefonare a Maestrelli per comunicare il risultato, ma la Lazio entra in campo determinata a ritornare in partita e butta in campo gli ultimi residui di orgoglio per dire agli avversari, e soprattutto a se stessa, che non è ancora finita. È Chinaglia, che nella prima frazione aveva sfiorato la rete in rovesciata, a riaprire la gara quando Castellini respinge un po’ goffamente la conclusione maligna di Badiani e Giorgione non si può esimere dallo scaraventare la palla in rete. Sulle ali dell’entusiasmo è ancora Chinaglia a cercare il pareggio in diagonale, ma Castellini torna Giaguaro e nega la rete. Siamo di fronte all’ultimo squillo, perché Claudio Sala torna in cattedra.

"Si è burlato di tutti, ha giocato il novanta per cento dei palloni che la difesa e Mascetti e Zaccarelli conquistavano, ha dettato passaggi da antologia, ha pure trovato l'umiltà e la forza per arretrare a respingere di testa in area, come libero aggiunto, qualche pallone nei rari minuti di disperato rush della Lazio. Mattatore assoluto", così La Stampa parla del Poeta nel pezzo di commento alla partita e rende decisamente l’idea di che assoluto fuoriclasse sia, ben lontano da qualche discontinuità dei suoi primissimi tempi granata. Sala lancia in profondità Pulici che impegna il suo omonimo Felice fra i pali. È il segnale. Al 73’, con gli avversari tutti avanti, Zaccarelli lancia il nostro Ciclone che si ritrova una prateria davanti a sé. L’avversario più ostico, con la difesa della Lazio lasciata indietro dal suo scatto bruciante, sembra il terreno con dei rimbalzi irregolari che provano a mettere in difficoltà Pupi, ma il numero undici, sull’uscita del portiere, rompe gli indugi e con un gran pallonetto scavalca l’estremo avversario e chiude la gara. La Lazio crolla, il Toro dilaga nel finale. Su lancio di Mascetti, Pulici incrocia con un diagonale di sinistro leggermente sporco, ma angolatissimo, per il poker. Poco dopo sempre Mascetti si ripete con una bella verticalizzazione e Pupi ha tutto il tempo per pensare cosa fare. Dalla posizione del corpo sembra lasciar partire una gran botta, invece supera Felice Pulici con un dolce pallonetto di destro. Guarda Italia, guarda quali demoni si sono scatenati all’Olimpico. Il prossimo anno faranno ancora di più, ancora meglio, arrivando a conquistare l’inatteso, l’indicibile, lo scudetto. Per quell’anno, invece, dopo la goleada romana non ci sarà la qualificazione alle coppe perché nelle ultime cinque gare ne pareggeremo quattro e ne perderemo una. L’amaro 0-0 del Sant’Elia di Cagliari all’ultima giornata sarà un passaggio di consegne molto significativo: sulla panchina dei sardi, infatti, siede Gigi Radice che, di lì a qualche settimana, sostituirà Edmondo Fabbri dando vita a una splendida epopea. La delusione diventerà gioia unica. Abbiamo visto nell’anteprima di quello che sarà.

Post Scriptum:

Consentitemi una breve divagazione extra-Toro. Come detto precedentemente, in quel pomeriggio trionfale per i colori granata la Lazio non aveva il suo condottiero perché ricoverato in clinica. Tommaso Maestrelli è stato uno dei personaggi più straordinari del calcio italiano anni settanta, uno impossibile da non amare. Intelligente, calmo, capacissimo tatticamente e con doti da psicologo non indifferenti. Senza queste qualità, infatti, sarebbe stato impossibile riuscire a guidare quella Lazio per cui si sono spesi fiumi di inchiostro tra botte, pistole e fazioni agguerrite fra loro che la domenica diventavano misteriosamente una cosa sola. Per capire l’amore che i giocatori avevano per il loro tecnico basti guardare alcune interviste successive di Pino Wilson e Vincenzo D’Amico e come si commuovono parlandone, tanto da dover interrompere momentaneamente le riprese. Il difensore biancoceleste dirà che nemmeno al funerale di suo padre ha pianto, ma per quello del suo mister sì. I primi esami clinici sono spietati per Maestrelli: tumore allo stomaco, un paio di mesi di vita. Non si capisce quanto sapessero i giocatori delle condizioni del loro mentore. C’è chi dice che qualcuno sa e altri no, c’è chi afferma che abbiano conosciuto la verità nell’intervallo e questo forse spiegherebbe la ripresa con una furia decisa nella prima fase e il crollo totale al terzo gol granata. Sicuramente quel pomeriggio il cuore laziale era preda di nuvole e pensieri e questo va detto non per sminuire la prestazione granata, ma per amore di verità.

La vicenda di Tommaso Maestrelli ha un illusorio colpo di coda. Le cure sperimentali di un immunologo sembrano invertire il corso della malattia. Il mister lascia la panchina della Lazio al giovane tecnico Corsini, che si scontra spesso con Chinaglia, ma a fine novembre 1975 il presidente Lenzini esonera il nuovo allenatore e riprende Maestrelli, incredibilmente tornato alla vita. I biancocelesti sono impelagati nella lotta per non retrocedere e allora Tommaso ha la geniale idea di buttare nella mischia due primavera come Bruno Giordano e Lionello Manfredonia. In un’altra giornata di aprile (il 25, Festa della Liberazione) il Toro è ancora di mezzo. La Lazio gioca con la forza della disperazione, ci mette sotto e passa in vantaggio, ma un tiro di Santin deviato da Re Cecconi all’89’ ci regala un punto tanto fortunato quanto prezioso nella strada verso il tricolore. Al termine di quella gara Chinaglia lascia la squadra per andare ai Cosmos, ma la forza calma di Maestrelli mantiene la barra dritta. Ci si gioca tutto all’ultima giornata contro il Como dove, rimontando da 0-2, Giordano e compagni evitano la beffa della B. Sembra un lieto fine, ma non lo è. Maestrelli, che nel frattempo è diventato general manager lasciando la panchina a Vinicio, deve affrontare il ritorno della malattia, stavolta con un epilogo terribile.  Il 2 dicembre 1976 il “Maestro” lascia in lacrime i suoi ragazzi, che in un triennio ha portato dalla B allo scudetto, e tutto il mondo del calcio. Muore una persona straordinaria che sarebbe stato bello avere con noi ancora a lungo.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l’eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e…Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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