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L’anno che verrà

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Torna un nuovo appuntamento con la rubrica "Granata dall'Europa" di Michele Cercone: "Le colpevoli mancanze estive si sono riverberate a tutti i livelli..."

Decimo: come l'anno scorso, questo è il piazzamento del Toro alla fine di questa (tribolata) stagione. Al di là dei tre punti in più non è chiaro se l'asticella si sia davvero alzata. Al massimo potremmo dire che dall'amaro calice del rischio retrocessione siamo passati al più classico dei dilemmi: il calice adesso è mezzo pieno o mezzo vuoto? Se si guarda alla situazione di luglio-agosto, l'analisi sembra essere positiva. Lo scorso anno, nell'arco di sole quattro settimane, la società è stata in grado di dare un'eccellente dimostrazione di come non si gestisce un mercato. A Juric (a cui proprio come quest'anno era stato promesso che non si sarebbe toccata l'ossatura della squadra) sono stati sfilati Belotti, Mandragora, Bremer, Brekalo, Praet, Pobega e Pjaca. Gli acquisti promessi per rimpiazzarli e completare la squadra in vista del ritiro si sono ben presto smaterializzati in fumose trattative al ribasso destinate al fallimento. In Austria Juric si è ritrovato con una decina di Primavera, Verdi, Zaza e Izzo (di cui non sapeva che farsene) e il solo Radonjic come nuovo acquisto.

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Due mesi di lavoro buttato alle ortiche, mentre il silenzio radio della società amplificava i dubbi dell'allenatore. Inevitabile lo scontro (''per disperazione'') tra Juric e Vagnati, che faceva presagire una stagione irta di difficoltà. Il peggio è stato scongiurato assemblando in fretta e furia una squadra piena di buchi e di scommesse. Bravo Juric a vincerle quasi tutte e a tappare gli spifferi, inventandosi soluzioni intelligenti e facendo rendere al meglio anche giocatori in declino (Linetty e Djidji sono i migliori esempi). Come conseguenza di questo modus operandi privo di strategia, la prima parte della stagione, fino al mondiale, è servita di fatto ad assemblare la squadra e a far effettuare a molti giocatori la preparazione saltata in estate. Rimessa in piedi la baracca, Juric si è poi rimboccato le maniche per provare a fare qualcosa in più e ci è riuscito bene. La squadra ha cominciato a digerire schemi e tattiche e i giocatori hanno condiviso appieno il percorso mettendoci fiato, testa e cuore. La maturazione dei giovani è stato l'aspetto più importante: Buongiorno, Ricci, Schuurs, Ilic, Karamoh e Singo sono adesso buoni giocatori da Serie A a pieno titolo. Alla luce dello scenario da tregenda dell'estate, la lotta per l'ottavo posto fino all'ultima giornata potrebbe essere salutata con favore, come testimoniano gli applausi del Grande Torino.

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C'è però un'altra chiave di lettura che tinge meno di rosa le considerazioni sul campionato appena concluso e fa salire l'amaro per le opportunità perdute. Abbiamo assistito ad una stagione strana, segnata dalla pausa mondiale e dai processi alla Juve. Napoli a parte, tutte le altre squadre di vertice hanno fatto segnare il passo e ottenuto risultati altalenanti. Le eventuali sanzioni Uefa consentiranno l'ingresso in Conference con appena 56 punti, mentre in Coppa Italia si era aperta un'autostrada verso la finale che difficilmente si riproporrà. Una squadra meglio assemblata e più pronta avrebbe con tutta probabilità sfruttato queste occasioni. Invece le colpevoli mancanze estive si sono riverberate a tutti i livelli: punti persi ad inizio campionato (soprattutto nei finali) per una condizione fisica non ottimale, giovani ancora da rodare o studiare che - come è normale che sia - hanno compromesso risultati con errori evitabili (Ilkhan, Pellegri, Karamoh ecc…), infortuni muscolari dovuti alla mancanza di preparazione pre-campionato (24 in totale che hanno colpito 14 giocatori nel corso della stagione).

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Alla luce di questi elementi fattuali, è difficile pensare che il bicchiere sia mezzo pieno. È evidente, invece, come questa sia una stagione di rimpianti e di occasioni fallite, così come è evidente da che parte stiano le responsabilità. I tifosi del Toro cominciano ad essere stufi di veder ripetere sempre lo stesso circolo vizioso di mancanza di tempismo, intuizione e voglia di investire per inserirsi in pianta stabile tra le società di vertice della Serie A. I cori allo stadio sono piuttosto chiari, e senza un cambiamento radicale di rotta continueranno ad esprimere la rabbia e la frustrazione di chi vede ripetersi sempre gli stessi errori da cui sembra non si riesca mai ad imparare. Resta, di positivo, il fatto che il calcio offre sempre un'altra occasione. Sarebbe bello se per una volta in vista del prossimo campionato, la società facesse sue le parole di "L'anno che verrà" di Dalla: "Io mi sto preparando, è questa la novità".

Il Toro, il giornalismo e l'Europa da sempre nel cuore. Degli ultimi due ho fatto la mia professione principale; il primo rimane la mia grande passione. Inviato, corrispondente, poi portavoce e manager della comunicazione per Commissione e Parlamento Ue, mi occupo soprattutto di politica e affari europei. Da sempre appassionato di sport, mi sono concesso anche qualche interessante esperienza professionale nel mondo del calcio da responsabile della comunicazione di Casa Azzurri. Osservo con curiosità il mondo da Bruxelles, con il Toro nel cuore.

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