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Se Torino fosse una piccola Croazia…

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Torna l'appuntamento con la rubrica di Alessandro Costantino: "Il paese di Vlasic sforna talenti a ripetizione: ma anche al Toro certi modelli si potrebbero replicare…"

Alessandro Costantino

È stata molto interessante la doppia intervista letta qua su TN a Vlasic e al suo agente. Dal ritiro della sua nazionale, il forte giocatore croato ha spiegato, sostanzialmente confermato con gli stessi concetti dal suo procuratore, che a Torino ha ritrovato la gioia e soprattutto la continuità nel giocare, fondamentale per ogni calciatore. Vlasic ha scelto il Toro perché Juric lo ha messo al centro del suo progetto tattico e in parte anche perché Brekalo, suo connazionale, gli aveva parlato bene di tecnico e club. Al di là di ogni riflessione sul fatto che ormai il Torino, ma in generale la Seria A, sia visto come un posto di passaggio per rigenerarsi o per rilanciarsi verso squadre e campionati di livello superiore, soffermarsi sulla Croazia in sé, una piccola nazione che sforna talenti a ripetizione in tanti sport, non solo nel calcio, può dare uno spunto interessante per alcune considerazioni sul Torino e il suo approccio ai ragazzi che crescono sul suo territorio.

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La Croazia è un paese abitato da circa 4 milioni di persone, cioè più o meno lo stesso numero di quelle che vivono in Piemonte. Calcio, basket, pallavolo, pallanuoto, pallamano, tennis, atletica leggera sono tutti sport dove gli atleti croati emergono frequentemente raggiungendo livelli molto alti. Facendo un parallelo con il Piemonte, pur considerando che sono numerosi gli atleti piemontesi che hanno raggiunto il professionismo, notiamo che la proporzione non regge ed è nettamente sbilanciata verso il piccolo Paese una volta parte della Jugoslavia. Nel calcio stesso, per circoscrivere l'ambito della discussione, in serie A giocano pochi calciatori cresciuti qua in Piemonte: Buongiorno, ad esempio, o Miretti nella Juve. Qualche anno fa era uscita una interessante "classifica" per regioni dei calciatori di Serie A e il Piemonte era molto indietro in questa graduatoria. Perché?

Premesso che non ne sto facendo una questione "politica", giusto per sgombrare il campo da ogni dubbio che potesse sorgere nel lettore, il senso della mia domanda è questo: il Torino sfrutta al massimo il suo territorio di "competenza" per crescere i talenti che questo propone? C'è un esempio clamoroso a livello mondiale di società che sa trarre il meglio dal proprio territorio, quello dell'Athletic Bilbao che fa giocare solo baschi nelle sue fila e riesce a stare sempre  a medio-alti livelli in Spagna, in un campionato, La Liga, per nulla facile. Senza infilarsi in questioni politiche io credo che la Croazia o i Paesi Baschi non "producano" in media più talenti di regioni come il Piemonte, ma semplicemente che in quei contesti ci sia un sistema in parte pubblico (strutture, sistema scolastico, ecc) e in parte privato (le società sportive) che sa fare crescere meglio i talenti espressi da quei territori. Il Torino ha un passato glorioso in fatto di talenti maturati nel proprio vivaio, talenti ovviamente non solo piemontesi, ma che arrivavano da tutta Italia e trovavano nel club granata le condizioni per esplodere e approdare al calcio professionistico. Negli ultimi vent'anni questa capacità del club granata di "allevare" giovani in casa si è di molto ridotta per due fattori concomitanti: una perdita di know how e strutture legata a minori investimenti da parte della proprietà e una maggiore concorrenza in questo ambito da parte delle altre società calcistiche. La Juventus, ad esempio, fino a qualche lustro fa non aveva un interesse prioritario ad investire sul settore giovanile, ma da quando ha incominciato a farlo, e pure massicciamente, ha drenato sul territorio piemontese una buona parte di quei bambini che dimostrano un certo talento. Come la Juventus anche nel resto d'Italia molti club hanno investito parecchio nei vivai arrivando oggi al paradosso di avere metodologie e strutture spesso eccellenti per le giovanili, ma una filiera che sbocca in campionati, dalla A alla C, dove i giovani non vengono lanciati in maniera massiccia, limitando di molto il ricambio generazionale nel calcio italiano.

È chiaro che, tornando al Toro, un ritorno ad investire pesantemente nell'attività di base permetterebbe di trovarsi nelle categorie dalla Under 15 in su con una base eccellente di ragazzi espressione del territorio senza la necessità di dover attingere troppo nel resto di Italia (nel settore giovanile i trasferimenti da regione diversa da quella di residenza sono autorizzati dalla FIGC solo dopo il compimento del quattordicesimo anno di vita). Ora, non dico che trasformeremmo il Torino in una piccola Croazia o in un nuovo Athletic Bilbao, ma certamente con i giusti investimenti già nella scuola calcio, il club si ritroverebbe nel settore giovanile (dai 14 anni in su)  in una posizione di maggior vantaggio rispetto ai competitor. Senza considerare che se cresci dall'età di 6 anni con la maglia granata addosso il senso di appartenenza che maturi è superiore a quello che puoi assorbire se al Toro ci arrivi alle porte della Primavera. A volte sembra di essere dei dischi rotti a ripetere gli stessi concetti, ma l'amore per il Toro ci porta ad essere increduli verso chi potrebbe agire diversamente e più proficuamente (visto che questo aspetto è molto a cuore ad un certo editore…) ed invece non fa nulla che non sia il navigare a vista. Siamo stati per decenni un esempio in Italia ed in Europa: oggi abbiamo sotto gli occhi esempi di come potremmo tornare ad esserlo. Il vecchio detto "volere è potere" sembra calzare a pennello per descrivere ciò che (non) succede al Torino…

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

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