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Toro, anche oggi vinciamo domani…

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Dopo la partita col Cagliari per un attimo ho stupidamente accarezzato l'idea di una nuova rivoluzione dei "peones"
Alessandro Costantino
Alessandro Costantino Columnist 

È storia vecchia di anni, ormai: ogni volta che il Toro può fare il "salto di qualità", ogni volta che si presenta un'occasione per dare una piccola/grande svolta alla/e stagioni, ogni volta che c'è la possibilità di portare ad un livello superiore il proprio campionato, ecco, immancabilmente, tutto questo semplicemente non avviene. Non si verifica. Non succede. Mai.

Col Cagliari si poteva centrare la terza vittoria consecutiva, cosa che non accadeva da sei anni e già questo la dice lunga in proposito, e invece, pur essendo andati in vantaggio con Vlasic, non solo non abbiamo vinto la partita, ma siamo anche riusciti anche a perderla. In casa. Eh già, perché l'aggravante è che questo tipo di cose accadono quasi sempre in casa e con lo stesso copione: un paio di vittorie consecutive, un entusiasmo che lentamente si riaccende, prospettive di classifica che cominciano ad essere quasi interessanti, pubblico che accorre numeroso, bambini entusiasti di vedere finalmente un Toro con appeal vincente, adulti nuovamente speranzosi che "finalmente sia la volta buona" e poi, come una sentenza, arriva il solito finale della storia, più scontato di un action movie con Stallone. Non so dire se a fine partita, lasciando la curva, io abbia provato più rabbia, più delusione o, purtroppo, più rassegnazione per questa ennesima prova del nove fallita. La prima cosa che ho pensato, e non mi vergogno a dirlo, è stato l'augurio irrazionale quanto vano che Petrachi a gennaio facesse piazza pulita: una nuova rivoluzione dei peones, un repulisti generale, aria nuova, gente nuova, stimoli nuovi. So che è una reazione di pancia, poco razionale e poco intelligente, in primis perché irrealizzabile, e poi perché non è così che si risolvono i problemi.

Non si può semplicemente tirare un riga sopra e ricominciare da capo. Almeno non a gennaio. La squadra è in linea con una salvezza dignitosa, in fondo basterebbe accettare questo come obbiettivo per vivere serenamente questi alti e bassi di questa prima metà di campionato. Se l'obbiettivo è salvarsi, siamo in bolla per raggiungerlo e pertanto non ha senso rivoluzionare l'organico rischiando di compromettere quei pochi e fragili equilibri che finora hanno permesso di fare anche prestazioni positive (l'ultima a Sassuolo, ad esempio). Ma anche ammettendo che l'obbiettivo sia un altro e superiore (lembi della zona Europa) non è con una rivoluzione a gennaio che si spianerebbe la strada per le Coppe. Per farlo davvero basterebbe programmare con raziocinio a maggio, operare bene sul mercato a luglio e presentarsi ad agosto con la squadra pronta. Semplice a dirsi, assolutamente mai visto fare da questa società in tutti questi anni. Allora non si può pensare ad altro che ad un mercato di gennaio dove Petrachi alleggerirà la rosa di giocatori poco funzionali e prenderà qualche puntello pronto, ma con prospettiva, per iniziare a gettare le basi per la prossima stagione. Prossima stagione che andrà però poi pianificata un po' meglio di questa, cioè andrà pianificata rigorosamente già a maggio e non con affanno a fine agosto inizio settembre in classico Cairo style. Per la cronaca io ripartirei da un mister che non sia Baroni. Nulla contro di lui a livello umano, ma mi pare che il suo calcio non sia adatto a questo ambiente e il suo modo di allenare non sia adatto per caratteristiche caratteriali a questo ambiente. Sentirgli ripetere alla noia che bisogna "lavorare per migliorare i dettagli" mi stimola brutti pensieri e domande "scomode": mister, ma da luglio ad oggi che avete fatto? Non avete lavorato? No, perché io in questa squadra non ci vedo la sua mano, il che potrebbe anche essere un complimento perché sottintendo che se si vedesse la sua mano, avremmo una squadra che gira a mille e lotta per altri obbiettivi di classifica. Invece vedo una squadra lenta e confusionaria, poco cattiva e molto dipendente della giocata del singolo più che dallo spartito collettivo.

Vedo cambi quasi mai azzeccati per tempistiche e per temi tattici. Vedo giocatori che non rendono per quanto dovrebbero e giocatori che giocano anche se non rendono quanto dovrebbero. Petrachi ha chiesto un salto di qualità anche nella guida tecnica e qualche scelta, giusta, di discontinuità si è vista (ad esempio Israel e Casadei in panchina). Ma non si è vista nessuna svolta, non si è visto nessun atteggiamento tattico diverso e, soprattutto, non si è vista una scossa alla squadra e all'ambiente. Vedo solo che ogni volta che tale scossa potrebbe arrivare, e non parlo solo di questa annata con Baroni, si fa il proverbiale passo indietro: una maledizione? Un incantesimo? Sfortuna? Temo che dopo tutti questi anni attaccarsi a elementi irrazionali o sovrannaturali per darsi un certo tipo di spiegazioni sia un'opzione non più percorribile, se si ha ancora un briciolo di onestà intellettuale. La realtà purtroppo è un'altra: a Torino, nel Torino FC, si lavora male perché si scelgono le persone sbagliate (staff e calciatori) e perché anche quando si scelgono quelle giuste non vengono messe nelle giuste condizioni per poter fare bene. Possiamo girarci attorno quanto vogliamo, ma la verità è questa. E allora a gennaio chiediamo a Petrachi di provare a fare al posto della "rivoluzione dei peones" la "rivoluzione dei patrones". Magari funziona e di colpo ci troviamo a smettere di dire "anche oggi vinciamo domani"...

Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.

Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.