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Il Milan ad Arnault e il Napoli ad Al Thani?

Loquor / Torna l'appuntamento con la rubrica di Anthony Weatherill: "Il potere politico italiano sta permettendo ai poteri economici di impossessarsi del calcio per farne quel che principalmente vuole, ossia profitti sempre più ingenti"

Anthony Weatherill

 

"“c’è un solo modo di dimenticare

"                                                               il tempo: impiegarlo”.

"Charles Baudelaire

Gaetano Miccichè, attualmente, ricopre le cariche di presidente di “Banca Imi”, di presidente della  “Lega Serie A”, di Vice presidente della “FIGC”, di membro del consiglio di amministrazione di “RCS Media Group” (un vero e proprio impero editoriale). Provando a raccontare in alcuni luoghi del mondo dell’esistenza di una persona cumulatore di tali cariche, temo si penserebbe alla descrizione di una burla. Sfuggirebbe alla comprensione di ogni ordine costituito con criterio, in genere posto ad impedire come un possibile “controllato” possa essere anche, nello stesso tempo, un possibile “controllore”. Si chiamano regole di democrazia e buon governo. Perché una banale domanda, nel caso di Miccichè, potrebbe sorgere spontanea: nell’ipotesi di una vertenza tra FGCI e Lega di Serie A, da quale parte starebbe il cavaliere del lavoro di origini palermitane? Quali interessi difenderebbe? Credo starebbe dalla parte di chi lo ha messo lì (il sistema oligarchico nazionale) a dirigere il traffico di interessi. Mi scuso con Gaetano Miccichè se l’ho preso ad esempio per indicare come qualcosa decisamente non va in Italia nel rapporto tra potere economico e controllo democratico; anche perché non può essere certo ascritta a lui la colpa di essere stato scelto per un cumulo di cariche segno evidente di un  conflitto d’interessi grande come una casa. La responsabilità di questo andamento scellerato è di un sistema dello sport italiano ormai abbandonato, dalla politica, agli appetiti di importanti interessi economici. Il potere economico dovrebbe essere arginato, dai suoi possibili abusi, da quella straordinaria invenzione che è la democrazia politica, nata, secondo Aristotele, per difendere i più poveri o i più deboli. Una democrazia che si sviluppa e fortifica all’interno di uno Stato, definito dal grande pensatore greco “l’insieme dei villaggi”, che “esiste per rendere possibile la vita felice”. Non essendo nati per restare da soli, quindi, ci ritroviamo insieme per la necessità di relazionarci: prima nella famiglia, poi nei villaggi (città, nella modernità), infine nello Stato. La democrazia, dando vita ad un sicuro potere politico elevato a garante di tutti gli interessi presenti in uno stato, delinea un percorso che dota la comunità di una visione condivisa. Nessuno, all’interno della comunità, può pretendere di elevare interessi soggettivi a discapito dell’interesse generale.

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Ecco perché la Costituzione Italiana, nell’articolo 42, sottolinea come la proprietà privata sia garantita dalla legge, determinandone però “i modi d’acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti”. Questo articolo costituzionale, a mio parere, è fondamentale per comprendere la vera natura giuridico/morale di una società di calcio. Essa è importante non solo per il proprietario che vi investe denaro e proprio tempo lavorativo, ma anche per tutto il contesto sociale  su cui le vicende di una società di calcio, sia con i ricaschi di natura economica che con i ricaschi di natura psicologica, si ramificano. Perché, come appunto ricorda Aristotele nel suo “La Politica”, la tendenza alla ricerca della felicità del popolo dovrebbe essere la principale costante del potere politico. Ma il potere politico italiano sembra essersi dimenticato del saggio consiglio del pensatore greco, e sta commettendo verso il calcio tutte le omissioni possibili e immaginabili. Tradendo di fatto l’articolo 42 della Costituzione il potere politico italiano sta permettendo ai poteri economici di impossessarsi del calcio per farne quel che principalmente vuole, ossia profitti sempre più ingenti; disinteressandosi completamente di quella funzione di “raffinamento dell’anima”, di cui parla sempre Aristotele, che le attività ricreative dovrebbero necessariamente avere. Ormai, nella vulgata europea degli intellettuali e opinionisti, questa ricerca di un’anima sempre più presente a se stessa sembra essere diventata un’oziosa e retorica questione. I nuovi temi socio/esistenziali provenienti dalla Cina e dagli Stati Uniti sembrano, come per una strana magia distopica, aver fatto dimenticare al potere politico europeo come la storia culturale moderna del Vecchio Continente, piaccia o meno, dipenda dal Cristianesimo e dalle idee socialiste, presentatesi sotto varie forme, che l’hanno animata. Queste idee hanno dato forma e sostanza a tutte le cose vissute e conosciute da noi europei, hanno dato forma e sostanza a tutti quegli sport, per la maggior parte inventati e sviluppatesi in Europa, che oggi sono oggetto degli appetiti famelici del potere economico. Lo sport, per sua natura, è sempre stato portatore di valori, vitali, per esempio, per varie conquiste sindacali: il rispetto del più debole, la possibilità per tutti di competere con pari dignità, la conservazione dignitosa del presente per creare ottime occasioni di futuro, il giusto e l’equo compenso per ciò che si fa per se stessi e per la comunità a cui si appartiene, la feroce applicazioni di regole uguali per tutti. La “giusta mercede” di cui parla Leone XIII nell’enciclica “Rerum Novarum” e il problema posto da Karl Marx sulla porzione di salario espropriato alla classe proletaria dai padroni di mezzi di produzione, non sono vecchi e stantii orpelli culturali della storia europea. Sono l’apogeo delle idee in cui sono venuti a stabilirsi diritti inalienabili (o almeno così illusoriamente sembravano) per un continente, oggi dimentico di  se stesso.

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Il potere politico lo ha dimenticato. La democrazia italiana, diventata ormai una inquietante oligarchia, ha permesso alla comunicazione di presentare come una nuova “eldorado” tutti quei flussi economici provenienti dall’estero acquirenti di importanti asset dell’economia italiana, e totalmente sprovvisti di qualsiasi intenzione di attenersi all’articolo 42 della Costituzione. E la gente ci ha creduto e ci sta credendo, e basta una notizia, pubblicata dal Daily Mail, di un presunto interessamento della famiglia Al Thani per l’acquisizione della proprietà del Napoli Calcio, per scatenare l’entusiasmo dei tifosi azzurri. Non è che non capisca l’entusiasmo dei tifosi (sono tifoso anch’io), ma a preoccuparmi c’è l’oblio ormai sceso sulla riflessione necessaria sulle conseguenze di alcuni atti, ad impedire delle conseguenti domande. Perché una famiglia come gli Al Thani, intrisa di cultura arcaica e di idee da potere assoluto è entrata, con forti investimenti, nel calcio e nello sport in generale? Perché la Cina sta facendo lo stesso nel calcio europeo? Perché gli Stati Uniti, dopo aver snobbato il calcio per più di un secolo, oggi sono presenti con diversi loro tycoon nelle proprietà dei club calcistici europei? E soprattutto, il potere politico, si è posto queste domande? Sono soggetti economici, questi che si stanno accaparrando il calcio del Vecchio Continente, che fanno parte di quelle 188 su 201 principali imprese al mondo presenti almeno in un paradiso fiscale. Tra queste principali imprese del mondo, ci sono anche quelle dei marchi sportivi globali, spesso elementi decisionali risolutivi se campioni come Cristiano Ronaldo debbano giocare al Real Madrid o alla Juventus. E tutto questo non in nome di un’attenzione alla felicità di una comunità, ma bensì al suo sfruttamento economico selvaggio. E il potere politico italiano, ed europeo, in tutto questo cosa fa? Niente. Dalle nostre parti siamo in vendita perenne, con modalità da rinnegamento di tutto ciò che rendeva specifica l’Europa. Dobbiamo accettare il neo liberismo iper competitivo imposto dalla Cina e dagli Stati Uniti. Un neo liberismo dove non c’è posto per i più deboli, che devono soccombere, per buona pace di Leone XIII e Karl Marx. Un neo liberismo dove lo sport, e in particolar modo il calcio, viene utilizzato per i grandi movimenti di geopolitica economica che stanno caratterizzando questo tempo. Se Bernard Arnault acquisterà il Milan, e fonti autorevoli dalla Francia mi confermano che, nonostante le ripetute smentite di Arnault, l’affare è prossimo a farsi, lo farà perché fa parte del disegno strategico francese di un’Italia prefigurata colonia economica transalpina ante movimento risorgimentale. In questa desolante situazione il potere politico italiano brilla per la sua assenza, lasciando lo sport in balia del denaro. Stendiamo un velo pietoso sull’apparato istituzionale dello sport, dove il presidente del Coni, Giovanni Malagò, si fa sentire solo quando si parla di olimpiadi da organizzare, e di possibili prebende da distribuire. E’ un potere politico e istituzionale impresentabile, quello italiano odierno, conscio solo degli onori più che degli oneri a cui dovrebbe dedicarsi con responsabilità. Charles Baudelaire scrive che “Satana è l’unica entità spirituale che spera che non si creda in lui”. Ecco perché, forse, ogni critica portata avanti contro l’eccessiva invadenza del potere economico sul potere della democrazia viene definita complottismo dal mainstream. La lezione del Satana di Baudelaire è servita: meglio contare, che farsi notare.

Di Anthony Weatherill

(ha collaborato Carmelo Pennisi)

Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.

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