Lo sport insegna a combattere per dei valori universali irrinunciabili, che sovente portano tutti noi ad essere migliori di come spesso ci rappresentiamo. Siamo alla vigilia del “Giorno della Memoria” e noi italiani abbiamo molto da farci perdonare, basti pensare, riguardo al calcio, alla persecuzione subita da Erno Erbstein (ovviamente molto caro a noi tifosi del Toro) e, soprattutto, dal grandissimo Arpad Weisz. Sono credente ma, lo confesso, mi riesce ancora oggi difficile perdonare chi macchiò il nostro Paese con l’infamia delle “Leggi Razziali”, gettando nell’oblio storie e biografie di innumerevoli persone. “Fatto sta – scrive Matteo Marani – che di Weisz, a sessant’anni dalla morte, si era perduta ogni traccia. Eppure aveva vinto più di tutti nella sua epoca, un’epoca gloriosa del pallone, aveva conquistato scudetti e coppe. Ben più di tecnici tanto acclamati oggi. Sarebbe immaginabile che qualcuno di loro scomparisse di colpo? A lui è successo”. Il desiderio di far scomparire il diverso da te, e se proprio non lo puoi far scomparire allora prima odialo e poi annientalo nello spirito. Ma quanta tristezza e nichilismo ci può essere a volte nell’animo umano? Dobbiamo riconoscere come purtroppo noi si sia aperti anche alla possibilità dell’orrore, confuso come necessità primaria della nostra esistenza. Mi auguro prima o poi qualcuno realizzi un film su Weisz, che potrebbe essere un’occasione per portare i fenomeni di Udine a vederlo e provare a fargli comprendere una cosa fondamentale: Weisz a causa dell’odio etnico/religioso ha perso la vita, ma noi abbiamo perso lui e il suo immenso genio. Noi lo abbiamo ammazzato per odio, egli è morto per amore. Poteva mettersi in salvo oltre oceano, ma l’amore per il calcio ebbe il sopravvento. Accettò di allenare il Dordrecht, squadra olandese di modesta importanza che solo con lui ebbe il suo momento di gloria. Fu proprio questa gloria ad accendere un faro sulla sua persona, con la conseguenza di condurre lui e la sua famiglia nel drammatico orrore di Auschwitz dove trovarono la morte.
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In un mondo perfetto non sarebbe male che fosse l’Udinese a chiedere dei punti di penalizzazione alla sua classifica per quanto successo nell’ultimo Udinese-Milan, sarebbe una risposta memorabile a tutti coloro afflitti da complesso di superiorità, sarebbe un modo di riaffermare cosa voglia dire essere uomini di sport. Togliersi dei punti per dimostrare come ci siano valori a valere più dei risultati e dei profitti, dando così un netto segnale di controtendenza ad una società sempre più immersa nel nichilismo. Non si deve cercare a tutti i costi l’impunità attraverso dei distinguo a volte davvero risibili (è chiaro come l’Udinese nulla c’entri con questi sciagurati dal bon ton razzista), ma si deve impedire, in ogni modo, la disgregazione di una memoria collettiva e l’affermazione di ogni idea portatrice di subordinazione. Facciamo che i buoni sentimenti e le buone intenzioni non siano proclami ma fatti concreti, operiamo con determinazione sulle tracce della nostra storia, applaudiamo ogni qual volta riusciamo a non essere pregiudizievoli, aiutiamo chi ancora fatica a concentrarsi sulla bellezza preferendo la seduzione mortifera dell’odio. Lo dobbiamo a gente come Jackie Robinson, Erno Erbestein, Arpad Weisz e anche un pò a noi stessi. Non siamo nati solo per resistere, ma anche per provare a modificare il mondo. In bocca a lupo a tutti noi.
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Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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