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Lo sport è nato, sin dai tempi antichi, per migliorare l’uomo, in un’idea di dare alla competizione solo un senso di ricerca dell’ammirazione generale per uno sforzo compiuto nel tentativo di dare vita a un momento di ricerca della felicità, ponendo gli uomini di fronte ad una speranza da far trasmigrare con un effetto domino in ogni attività quotidiana. È capitato così di vedere, grazie allo sport, figli di minatori ergersi ad icone del riscatto popolare, ribadendo una verità della storia contemporanea prima dell’avvento dei disgraziati tempi attuali, e cioè che non tutti gli uomini possono ovviamente essere uguali per nascita e per possibilità di partenza, ma che uguali possono e devono essere le possibilità di speranza. La politica moderna, fino al suo tramonto alla fine degli settanta del secolo scorso, aveva dato questo orizzonte. Ecco perché il Grande Torino, Fausto Coppi, Tazio Nuvolari, la Ferrari più che un’idea egemonica di una elite tesa a perpetuarsi, erano stati la rappresentazione di una rinascita nazionale. Di una speranza uguale per tutti, che fatalmente migliora.
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Vorrei mettere in guardia il lettore da considerare questi ragionamenti semplicemente un artifizio intellettuale generati con la complicità della calura agostana, quindi noiosi e poco pratici. Definire quale è lo stato attuale del rapporto tra il potere finanziario delle élite e lo sport, è una delle urgenze per individuare la qualità auspicata per il nostro futuro. Forse Andrea Pirlo ha le stimmate del grande allenatore, e di certo il futuro su questo emetterà la sua sentenza, ma la sensazione come Andrea Agnelli abbia scelto uno stile di casta più che una sostanza, rimane forte. Rimane lo sconforto come in Italia, anche nello sport, si continuino a mandare segnali di cattiva gestione del potere che, ricordo, deve essere anche e soprattutto un fatto di responsabilità verso una comunità, esercizio di responsabilità che non può prescindere dall’etica. Tornare a vedere in un prossimo futuro Maurizio Sarri fuori da un completo di Trussardi, è l’unica consolazione rimasta dalla surreale vicenda di un tecnico esonerato dopo aver vinto un campionato; non è poco vedere una persona riappropriarsi della sua identità. Ma bisogna stare attenti a non considerare il tecnico toscano completamente innocente, perché accettando di andare alla Juve, è stato aver messo per un attimo la sua anima in vendita. Confondere questo con il sano professionismo è l’indice di uno sfascio di un tempo pronto sempre a trovare una buona scusa a giustificazione per ogni ambizione. “Darei mille libri per poter correre veloce come te” ha scritto William Shakespeare, e forse a questo moto dell’animo del grande “Bardo” deve aver pensato Pep Guardiola dichiarando: “Questa è la bellezza dello sport. A volte ridi, a volte piangi”. Shakespeare e Guardiola parlano di sentimenti e di empatia, sarebbe interessante individuare, prima o poi, di cosa mai parli Andrea Agnelli. Per il bene del calcio, e non solo.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
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