Non ha senso perché la società ha dimostrato di non aver fatto grandi passi in avanti nel comprendere la situazione, anzi: si è scelto di non dare fiducia a Massimo Bava e non rivoluzionare la rosa. Il mercato estivo, se non eccessivamente “avaro” è stato soprattutto un mercato sbagliato, concentrato su figure che non servivano, su figurine interessanti, magari anche future plusvalenze, ma del tutto slegato dalle reali necessità di Giampaolo (regista e trequartista? Non pervenuti).
Non ha senso perché, a dispetto delle apparenze, anche le persone che sono state prese per decidere(e il sottoscritto è stato il primo a crederci, quindi facciamo un gigantesco mea culpa), in realtà non possono decidere alcunché, e ci hanno portato quasi a rimpiangere i tempi in cui perlomeno era chiaro e non dissimulato il fatto che a decidere fosse soltanto una, sempre la stessa.
Non ha senso perché le sconfitte, i ribaltoni, le beffe, non hanno generato nei giocatori alcuna cattiveria agonistica, ma solo rassegnazione, quel tipo di rassegnazione che ti fa serenamente uscire dal campo di un gioco con un sorriso, della serie: «Vabbé, ci abbiamo provato ma evidentemente questi sono i nostri limiti».
Non ha senso perché, se i risultati vanno male (e può capitare anche ai “migliori”), non c’è nulla intorno ad essi che vada poi così tanto meglio, e il Torino continua ad avere ritardi imperdonabili più o meno su tutto: sul settore giovanile, sulle strutture, sulla comunicazione, sulla programmazione, sul settore femminile che – anacronisticamente – continua a non esistere.
PERCHÈ IL TORO SIA DI NUOVO TORO
Cosa potrà ridare un senso al Toro, così come lo intendiamo noi?
Questa è una domanda di una complessità incredibile, e non saranno queste mie righe così spontanee, così di pancia, a dare una risposta. Quel che è certo è che servono dei cambiamenti profondi, delle mutazioni assolute, delle mezze rivoluzioni, e non sarà cambiando allenatore (il proverbiale capro espiatorio), spostando qualche pedina a gennaio o imponendo assurdi ritiri punitivi che il Torino si risolleverà.
Certo, la matematica dice che la squadra potrà ancora salvarsi, e non è detto che non ci riesca. Anzi, poniamo anche che questo accada, che cosa avremo risolto, se non ottenere un ciclico e costante ripetersi ad oltranza della “solita vecchia stagione sofferta”?
Perché il Torino torni ad essere “quel” Toro – un Toro che, realisticamente, non potrà ambire ad essere il Real Madrid ma neppure Inter, Juventus e neanche Roma… e chi dice il contrario, mente sapendo di mentire – proviamo a immaginare innanzitutto alcuni passaggi fondamentali:
LA SOCIETÀ PUÒ E VUOLE FARLO?
Può essere questa società a ottenere questo risultato e porre le basi per il Toro del Futuro? Dopo quindici anni di presidenza Cairo è difficile crederci ancora, ma in questo momento la proprietà ha di fronte una sfida molto più grande della posizione in classifica davanti a sé.
Un’eventuale retrocessione, forse, potrebbe accelerare il processo di rifacimento della rosa, ma rischierebbe inevitabilmente di rallentare tutti i restanti aspetti, che paradossalmente sarebbero i più importanti. Non è una sfida impossibile, se lo si vuole davvero, ma il tempo stringe e le occasioni perse iniziano ad essere davvero troppe.
Questa volta l’impresa non è fare quel minimo di punti che basta per non sprofondare, o trovare un giocatore che possa portare quel mezzo goal in più per salvarsi: qui si tratta di trovare un nuovo standard per poter dignitosamente parlare di Toro, e soprattutto dargli un senso. Non è banale, non è semplice, ma è il minimo che si meritino i tifosi. Se non ci si riuscisse, forse sarebbe più sensato riconoscere di non essere all’altezza e passare la mano.
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