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Colantuono: “Nel 2010 l’ambiente era saturo per troppi: la rivoluzione ci ricompattò”

TURIN, ITALY - OCTOBER 23:  Torino FC head coach Stefano Colantuono looks on during the Serie B match between Torino FC and Reggina Calcio at Olimpico Stadium on October 23, 2009 in Turin, Italy.  (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)

Esclusiva / Le parole dell'ex tecnico granata che fu il co-autore della rivoluzione dei peones nell'inverno 2009/2010

Andrea Calderoni

Stanno venendo tutti i nodi al pettine in questi giorni in casa Torino. Il retroscena di ieri che parlava di una bozza di rivoluzione a marzo, poi non attuata, testimonia come i problemi in casa granata siano evidenti ed irrisolti. “Servirebbe a gennaio un’altra rivoluzione dei peones” è il titolo dell’ultimo Editoriale di Toro News. Protagonista di quella prima rivoluzione fu Stefano Colantuono, allenatore in quei mesi appassionanti a cavallo tra 2009 e 2010 del Torino. Colantuono fu il co-autore di quel radicale cambiamento nel corso del mercato di gennaio. Venne richiamato dopo l’esonero dal nuovo direttore sportivo Gianluca Petrachi e insieme i due posero le basi per un girone di ritorno molto convincente. La situazione del Torino undici anni dopo non è dissimile per svariate ragioni. In esclusiva a Toro News torna a parlare della “rivoluzione dei peones” proprio Colantuono.

Buongiorno mister, secondo lei servirebbe una nuova “rivoluzione dei peones” in casa granata?

“È difficile dirlo dall’esterno ed è soprattutto difficile creare dei parallelismi tra quanto vivemmo noi ad inizio 2010 e quando sta vivendo oggi il Torino. Posso soltanto dire che mi spiace molto per un carissimo amico come Marco Giampaolo. Spero che i granata si risollevino il prima possibile”.

Ci può offrire, però, un termine di paragone interessante grazie alla sua esperienza al Torino. Ognuno, poi, potrà trarne assonanze e differenze rispetto a questi travagliati giorni. Partiamo dalle motivazioni che vi spinsero nel 2010 a scuotere l’ambiente ribaltando come un calzino la rosa.

“La squadra veniva da una retrocessione l’anno prima. Nei confronti di alcuni giocatori rimasti in rosa aleggiava un certo malumore. A gennaio, dunque, si decise di compiere un taglio drastico. Decidemmo di far uscire alcuni calciatori protagonisti della nefasta stagione precedente. La decisione non fu presa per una questione tecnica, bensì per una questione di motivazione. L’ambiente era saturo per troppi e serviva la scossa”.

In effetti, furono mandati via giocatori di primissimo piano dal punto di vista tecnico per un campionato di Serie B come quello che stavate affrontando.

“Assolutamente sì, ma fu un passo necessario per provare a svoltare. Scegliemmo tanti giocatori che in altri club facevano panchina e addirittura pescammo dalla Serie C. Nonostante il radicale cambiamento degli interpreti, avemmo un merito straordinario: ci ricompattammo. Gli acquisti si rivelarono giusti e la squadra terminò il girone di ritorno al primo posto. Ovviamente tutti conoscono come finì quella cavalcata, purtroppo in maniera amara nella finale dei play-off contro il Brescia. Restano, comunque, a distanza di anni ricordi splendidi di quei mesi. Ci tengo a sottolineare, tuttavia, un aspetto. Anche il nostro girone d’andata non fu terribile. Eravamo comunque quinti o sesti. Dunque, eravamo più o meno in linea con le aspettative, a differenza del Torino d’oggi che si trova in una posizione deficitaria della graduatoria. La rivoluzione a gennaio fu, però, inevitabile perché l’approccio della squadra intorno a novembre cambiò radicalmente e i problemi furono accentuati da momenti di vera tensione tra alcuni giocatori e l’ambiente granata. Si rischiò seriamente di arrivare al contatto fisico. C’era bisogno, quindi, necessariamente di un cambiamento”.

E il cambiamento si materializzò in un concitato mese di gennaio.

“Uscirono molti giocatori bravi ma non più idonei a quel tipo di discorso. C’era bisogno di una ventata fresca e allora spazio a chi non aveva mai conosciuto l’ambiente granata. Fummo bravi a pescare giocatori validi dalle categorie inferiori come Arma e soprattutto D’Ambrosio, che oggi è ai massimi livelli del calcio italiano ma al tempo militava nella terza serie. Fummo veramente i peones, perché al tempo molti nuovi volti erano sconosciuti o semi-conosciuti”.

Parla naturalmente al plurale perché non fu l’unico a strutturare quella rivoluzione. Lavorò a stretto contatto con il direttore sportivo Petrachi. Come vi interfacciaste in quelle settimane?

“In modo molto semplice. Fu un lavoro di concerto. Gianluca mi presentò delle proposte. Insieme le visionammo e con il benestare di Cairo andammo avanti tra cessioni e acquisti”.