LEGGI: Cairo si è perso il Toro
L’ufficialità recita come una scuola calcio, dotata di volenterosi e prodighi tecnici, può far nascere un campione. L’ufficiosità, ovvero il verosimile più simile al vero, racconta di campioni che continuano a nascere tra la “favelas” brasiliane, tra i “Barrios Olvidados” argentini, nelle “Banlieue” francesi. Ma, come detto, non si può tornare indietro, e l’Italia dovrebbe seriamente porsi il problema di come trovare una vera via per far tornare la sua scuola calcistica nei piani alti del mondo. Le istituzioni e tutti gli apparati calcistici, dovrebbero trovare una chiave per riattivare un feeling con la gente, in modo da ritrovare una loro partecipazione. Il calcio è della gente, che non sono un sinonimo di “consumatori”. E voglio fare, anzi, gridare alcune domande: è ancora possibile seguire il calcio senza essere consumatori? C’è spazio per seguire le meraviglie del mondo senza qualcuno lì a chiedere di mettere prima mani al portafoglio? Possibile come non sia più rimasta una possibilità di scelta? Bisogna per forza “trovare l’uomo da corrompere”, altrimenti non ci si sente sicuri? Per qualcuno queste saranno domande eccessivamente retoriche, ed è comprensibile. In una contemporaneità dove ormai si è confusa l’utilità con il bisogno, l’affermazione personale con l’affermazione di un contesto generale, tutto ormai è così meccanicistico da essere diventato estraneo, se non nel momento effimero del soddisfacimento di un bisogno.
L’attaccamento alla “maglia”, il vecchio stadio dove giocavano i campioni sopravvissuti per anni nei racconti orali, la squadra avversaria a cui mostrare la propria diversità, sono orpelli ingoiati dalla fascinazione di qualche “logo” planetario, avido più di fatturato che di storia. E forse erano orpelli da sostituire, ma non certo con un logo. A distanza di anni riesco quasi a comprendere l’amoralità di quella importante azienda italiana che cercava l’uomo da corrompere. In fondo ciò che non si vede, si potrebbe pensare, a chi male può fare? Meglio far funzionare le cose, che vederle arrancare nella fatica di voler cercare a tutti i costi armonia. Meglio la funzionalità certa della soddisfazione di un bisogno, che l’incerto percorso di provare a fare le cose per bene, per poi vedere se si riesce a vincere. Forse andare oltre l’ufficialità potrebbe far riscoprire il senso delle cose e riscoprire antichi profumi, rischiando anche di trovarsi di fronte a sgradite sorprese. Ma almeno sarebbe vita vera, smettendo di confondere il bisogno con l’utilità. Per comprendere questa differenza, potrebbero venire in soccorso le parole felliniane del “Matto” a “Gelsomina”: “tutto è utile, anche questo sasso. Se questo sasso è inutile, allora tutto è inutile. Anche le stelle”. Le splendide note di Ennio Morricone suonate prima dell’inizio delle partite dell’ultima giornata di campionato, dicono come le stelle stiano sempre lì a nostra disposizione. Basta alzare gli occhi al cielo e guardarle.
(ha collaborato Carmelo Pennisi)
Anthony Weatherhill, originario di Manchester e nipote dello storico coach Matt Busby, si occupa da tempo di politica sportiva. E’ il vero ideatore della Tessera del Tifoso, poi arrivata in Italia sulla base di tutt’altri presupposti e intendimenti.
Disclaimer: gli opinionisti ospitati da Toro News esprimono il loro pensiero indipendentemente dalla linea editoriale seguita dalla Redazione del giornale online, il quale da sempre fa del pluralismo e della libera condivisione delle opinioni un proprio tratto distintivo.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
/www.toronews.net/assets/uploads/202508/2152c6c126af25c35c27d73b09ee4301.jpg)