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La Coppa Italia e l’inizio della fine del Toro

Questa, per il Toro, è serata di Coppa. Nulla di particolarmente esaltante: una sfida contro il Bari che sarà un rapido assaggio di Serie A, ma soprattutto l'occasione per mandare in campo riserve che rispondo ai nomi di Zavagno e...

Redazione Toro News

Questa, per il Toro, è serata di Coppa. Nulla di particolarmente esaltante: una sfida contro il Bari che sarà un rapido assaggio di Serie A, ma soprattutto l'occasione per mandare in campo riserve che rispondo ai nomi di Zavagno e Pellicori. Niente contro questi due seri professionisti, ci mancherebbe; solo, per i granata la Coppa Italia qualche anno fa significava qualcosa di diverso, un trofeo con il quale c'era feeling, tante finali perse e qualcuna pure vinta. L'ultima, il 19 Giugno 1993, fu un match indimenticabile; deciso, oltre che dall'arbitro e dalla follia di una gara incredibile, da una doppietta di Andrea Silenzi.“Pennellone”, ricordi quella Coppa alzata al cielo della “tua” Roma?Certo, come no. Feci due gol, sì, ma in realtà c'era stato tutto un percorso dietro, fatto da tanti giocatori, caratterizzato da molti episodi, che ci portarono lì. Anche la semifinale non fu niente male...Fu una partita incredibile.Sì, ce ne siamo accorti pian piano, nel corso della gara; anche perché in realtà a fine primo tempo eravamo sull1-1. Tornati in campo per la ripresa, pensavamo di averla chiusa; gli ultimi 20' furono durissimi, a loro bastava fare un gol.Avevate avuto sentore già prima della partita, quella sera, che sarebbe stato un match “strano”?No, prima no. Temevamo lo spirito della Roma, sapevamo che avevano grandissima voglia di fare l'impresa; noi eravamo tranquilli, ma consci che sarebbe stata difficile, con lo stadio pieno ed un grande tifo per loro. Dopodiché, tre calci di rigore in una partita così, non li avevo mai visti... Ma alla fine é stato giusto così, che abbiamo vinto noi.L'arbitro Sguizzato era alla sua ultima gara in carriera, prima del ritiro; e l'allora presidente giallorosso, Ciarrapico, in tribuna distribuiva gli inviti per la celebrazione della vittoria che si sarebbe tenuta dopo la partita...Davvero? Questa non la sapevo! Beh, vuol dire che gli abbiamo fatto buttare un po' di soldi per i preparativi della festa...! (ride).Per te, comunque, il Toro non è stato “solo” una Coppa vinta, l'ultima della storia granata.Certo che no. La mia “seconda volta” é stato un discorso a parte, simpatica anche quella sotto certi aspetti, ma purtroppo finita male (anche per me, che mi ruppi un braccio). La prima esperienza, invece, é stata molto particolare. La stagione d'esordio fui impiegato col contagocce, sino al finale in cui giocai sempre più concludendola benissimo, con la Coppa, appunto; nel secondo campionato fui titolare e ci togliemmo delle soddisfazioni, io pure perché arrivai all'esordio con la Nazionale. Nella terza stagione, io rimasi. Quasi solo io, rimasi, in realtà. E affrontai da capitano una sfida difficile, con una squadra tutta nuova.In effetti, Andrea, tu hai vissuto il passaggio dallo status che il Torino aveva rivestito per ottant'anni, quello di squadra tra le prime d'Italia per importanza, a quello che purtroppo avrebbe rivestito da allora in poi, ossia di una formazione più da Serie B che da Serie A.E' vero, già (sospira). Tutto é iniziato con Calleri. Smembrò completamente la squadra, restammo solo io e Pastine; avevo richieste anch'io, come più o meno tutti gli altri compagni, ma decisero di tenere solo me. Fu una bella sfida, come dicevo, e disputammo una stagione dignitosa con Sonetti, cui aggiungere le perle dei due derby vinti. Ma intanto, il settore giovanile veniva abbandonato.E poi?L'anno dopo io andai in Inghilterra, e il Toro andò in B. Non perché io non c'ero più, ovviamente, ma perché si erano perse troppe cose. Cosa? Certe tradizioni erano state abbandonate, il nucleo che ogni squadra deve avere era stato decimato; si era fatta tabula rasa. Era nato un Toro... un Toro senza storia.Sono cose che hai capito ora guardandoti alle spalle, o di cui vi accorgevate già mentre accadevano?Le vedevamo sì. Finisci un anno combattendo, con un buon campionato, e non rimane nessuno; mica é normale. E poi, il vivaio azzerato, l'abbiamo visto. Le giovanili del Toro, le migliori d'Italia, che ogni anno portavano qualcuno alla prima squadra; quell'anno, nessuno.E così le cose sarebbero rimaste anche in futuro, Andrea. Tutti i concetti che hai espresso vengono identificati da molti nell'abbattimento del Filadelfia.Io ho vissuto l'abbandono del Fila. Il passaggio ad Orbassano. Bei campi, pure; però...mah.Manca una tradizione, non c'é una linea continua; allora venivi su, e sentivi delle cose, altre le capivi; anche la location ha la sua importanza...Oggi, segui il Toro? E cosa ne pensi?Lo seguo, specie tramite amici e tramite i tifosi che mi contattano e mi salutano, portandomi il loro affetto, che mi fa un grande piacere. Vedo i flash delle partite, e vedo pure che anche quest'anno é un anno disgraziato, non si riesce mai ad avere continuità. Dà fastidio, perché io credo che la squadra sia potenzialmente da prime posizioni; ma guarda il Novara, é rimasto lo stesso il cuore della squadra, c'é un'idea dietro, e i risultati sono stupefacenti. Poi capisco che gestire il Toro in B sia difficile, devi presentarti con nomi degni; ma a volte sarebbe meglio badare di più al sodo, forse.Oggi, cosa fa Andrea Silenzi?Da quando ho smesso con il calcio ho iniziato una carriera nell'immobiliare, costruisco e rivendo immobili, appunto. Per amicizia con Giorgio Venturin (quando lo chiamiamo, è in sua compagnia, ndr) accettai di prestare i miei servizi per la Cisco Roma di cui lui era diventato direttore generale, prendendomi cura del settore giovanile; poi, cambiò la società e con essa il progetto. Per fortuna la mia attività mi soddisfa molto.Grazie di cuore, Andrea.Grazie a voi!