interviste

Piedone, il solito guascone

Eraldo Pecci:Nato a San Giovanni Marignano (FO) il 12/04/1955. Fantasista dal senso geometrico del centrocampo. Cresciuto nel Bologna, ha militato, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, nel Torino di...

Redazione Toro News

Eraldo Pecci: Nato a San Giovanni Marignano (FO) il 12/04/1955. Fantasista dal senso geometrico del centrocampo. Cresciuto nel Bologna, ha militato, tra gli anni Settanta e gli anni Ottanta, nel Torino di Radice vincendo lo Scudetto del 1976, nella Fiorentina di De Sisti che sfiorò un tricolore negato dai soliti noti nel 1982, nel Napoli al fianco di Maradona per una stagione, poi a Vicenza per finire la carriera nel Bologna di un sacco di allenatori. Gioca solo 6 partite in Nazionale A con 0 reti chiuso dal blocco dei “corridori bianconeri” formato da Tardelli e Benetti. Beppe Viola lo ha reso celebre riportando un aneddoto colto a bordo campo durante un allenamento del Toro. Radice urla: "Fuori i coglioni!". Eraldo, rivolgendosi a Patrizio Sala, lo invita ad uscire. Pecci ha un carattere allegro e guascone, che lo spinge a dire battutacce a raffica durante gli allenamenti e in campo ad arbitri e avversari. Dopo tre stagioni ad altissimo livello, Pecci pagò più di tutti il lento declino del gruppo storico dello scudetto. Nel 1978 se ne andarono i suoi amiconi Castellini e Caporale (il libero friulano che era giunto nella trattativa tra Bologna e Torino dell’estate del ’75), negli anni successivi arrivarono altre partenze dolorose, fino a che, complici le esigenze di bilancio, lo stesso Pecci, assieme a Ciccio Graziani, venne ceduto alla Fiorentina dei Conti Pontello per risanare un bilancio in cronico deficit.

Pecci cresce nel vivaio del Bologna esordisce in Serie A contro la Juve a 18 anni a Torino (insieme a Franco Colomba), ma è tutt'altro che intimorito. Dapprima causa il rigore per la Juve con un intervento su Bettega, poi si riscatta subendo fallo da Salvadore e procurandosi il rigore del pareggio. Oltre ad essere il protagonista dei momenti decisivi della partita, Pecci si prende anche un cartellino giallo dall'arbitro Casarin per una delle sue “osservazioni” che lo renderanno proverbiale. Un buon biglietto da visita per uno che poi arriva al Toro nell’estate del ‘75, pagato anche 800 milioni cifra record per gli anni 80.

"In effetti…all’epoca facevo il militare e stavo bene a Bologna. Quell’estate andai a giocare in Canada mi pare con l’Under 23. Allora non c’era il consenso del giocatore al trasferimento e tanto meno i cellulari. Quando tornai dalla tournee con l’Under andai a trovare una mia –diciamo- fidanzata e mentre l’aspettavo sotto casa dalla macchina sentì da una finestra il telegiornale che diceva che Pecci era passato dal Bologna al Torino per la “modica” cifra di 800 milioni di lire. E così venni al Toro…".

Un vero e proprio complotto di mercato o meglio un colpo “gobbo”, dietro il suo trasferimento…

"Doveva essere il regista della Fiorentina Claudio Merlo l’uomo d’ordine del centrocampo granata in arrivo nel mercato del 1975, ma il general manager Beppe Bonetto si mosse in direzione diversa. L’ex allenatore del Torino (ed ex ct azzurro) Mondino Fabbri mi segnalò al Toro visto che avevo sostituito addirittura Bulgarelli e Bonetto mandò all’aria l’affare Merlo e rilanciò di 800 milioni al Bologna che non potette rifiutare. Visto che portavo il 44 di scarpe, per tutti fui subito “piedone”…".

Il giovane Eraldo, guascone e scanzonato come lo sanno essere i romagnoli era un elemento di grande qualità. Il commendator Pianelli sborsò gli 800 milioni, ma l’investimento si rivelò azzeccatissimo. Eraldo divenne l’uomo che dettava i tempi dell’azione granata. Non aveva la genialità del “poeta” nè la limpidezza di tocco e lo stile di “Lord” Zaccarelli, ma era uomo d’ordine che non sbagliava un passaggio, con un lancio lungo molto preciso e dotato di un grande senso tattico. Poi lì davanti Pulici e Graziani ai quali era sufficiente far giungere la palla dentro i sedici metri…quindi arriva al Toro ed entra nel Tempio del Filadelfia…l’impatto…

"A vent’anni non pensi a niente. Nel senso che a me piaceva giocare al calcio. Real Madrid o Canicattì era lo stesso. Ero orgoglioso di venire al Toro, figuriamoci. Ma il primo impatto fu “doloroso”. La tournee in Canada, l’estate di gozzoviglie mi avevano fatto ingrassare un poco… quando mi presentai al campo per il raduno estivo mi chiamarono la Signora Maria, per via del pancione che avevo messo su…a parte gli scherzi, sebbene vivessi il calcio come un gioco e lo sdrammatizzassi molto, devo ammettere che quando entravo al Filadelfia, negli spogliatoi in cui si erano cambiati Loik, Maroso e Valentino…attraversare lo stesso sottopassaggio dove rimbombava il trombettiere…e beh socme…che orgoglio e che brividi… e quindi ti sentivi motivato a fare sempre meglio perché tu facevi parte di qualcosa. Cioè del Toro".

La Maratona.

"Allora, io sono del Toro. Nel senso che ancora adesso se mi chiedono che squadra tengo e qual è stato il momento più glorioso e importante della mia carriera dico il Toro- ed io non sono uno che sputa nel piatto in cui mangia- e so quello che ti hanno detto Pupi o Castellini sulla Maratona. Lo condivido, ma per me che sono uno che le cose sue se le tiene dentro, pudicamente, parlo dei sentimenti non delle fesserie che si dicono per ridere, anche quando giocavo non sentivo il pubblico. Potevano essere centomila ad osannarmi o a fischiarmi per me era lo stesso. Certo che la Maratona è unica…ci mancherebbe…tragedie, disgrazie, sfiga, passione, storia, senso di appartenenza…".

Ha giocato anche a Firenze e Napoli, con Antognoni e Maradona eppure…

"Eppure per quello che ne so io quei due che hai nominato sono due assi assoluti che rappresenteranno per sempre le città di Firenze e di Napoli nel mondo e ciò che è l’essenza del gioco del calcio. Ma un solo giocatore rappresenta una squadra, un ideale e un sentimento e quel giocatore si chiama Paolo Pulici… Paolo Pulici è il Toro. Paolo Pulici era un animale particolare. Sentiva il peso di quella maglia, di quella storia, di quella curva sulle sue spalle e quando entrava in campo lo vedevi scalpitare come entrasse nell’arena…unico e inarrivabile".

Pecci era un guascone, dal “fuori i coglioni”preteso da Radice come esortazione al gioco maschio e da lei rivolto al buon Patrizio Sala invitandolo a uscire, alle diatribe con Petisso Pesaola che lo definì “estronso”. Inoltre Pecci non la mandava mai a dire, e forse la sua carriera trovò ostacoli proprio per questo in un mondo del calcio un poco ipocrita e bacchettone. Magari in nazionale avrebbe potuto apparire di più che le 6 presenze con 0 reti…

"Avevo un ottimo rapporto con Bearzot. Diciamo che se fossi stato più bravo avrei giocato di più in nazionale. Ero nel giro. Poi Enzo decise prima dei mondiali in Argentina di cambiare modulo, forse anche perché la Juve aveva dato via Capello preferendo Tardelli e Benetti a centrocampo. Il C.T. fu costretto ad inserire giocatori più muscolari e fisici, dotati di corsa e temperamento, per il “lentopede” Piedone non vi era più spazio. Ma fu colpa delle mie caratteristiche non di preclusioni o preferenze politiche…fossi stato più bravo avrei giocato. Giuro".

Il 17 maggio del 1976. La festa, la partecipazione popolare, i ricordi della splendida cavalcata del 1976…

"Io ho vissuto il Toro come la mia famiglia. Quel Toro aveva un Presidente unico, che amavo e ci amava come un padre. Orfeo Pianelli rimarrà per sempre il Presidente, così come ti dicevo di Pupi che sarà per sempre il Toro. Eravamo una famiglia con fratelli maggiori e minori. Una squadra di persone intelligenti. Che potevano anche discutere e scazzare, ma che remavano in un'unica direzione. E così vincemmo quello scudetto. Con il Giaguaro, con Pupi, con Ciccio, con Radix e tutti gli altri grandi uomini di quella squadra. Ma sopra tutti, con quel grande padre che si illuminava solo quando vedeva i suoi figli indossare quella maglia…".

Iil 4 maggio del 2005. il sogno di uno stadio inesistente ricostruito dalle persone, dal cosiddetto popolo granata…

"Odio la retorica e la demagogia che ogni tanto si fa sulle cose. Il discorso è molto semplice. Tutte le cose uniche e importanti hanno una casa. Un luogo proprio. Il Toro è una cosa importante e come tale ha un’unica casa, un unico luogo e quel luogo si chiama Filadelfia. Punto e basta. Adesso che quella casa non c’è quasi più è una cosa inammissibile e il Toro senza il Filadelfia è un’ingiustizia della storia…".

"Di ingiustizia in ingiustizia. L’estate rovente, il fallimento, l’avvento di Cairo, il nuovo corso…

"Non conosco Cairo. Non ho visto neanche spesso il Toro giocare quest’anno. Quando finisce qualcosa rimane l’amarezza. Il nuovo corso deve capire come costruire il nuovo Toro. Deve capire su chi investire, sui giocatori e sui tecnici. Ma è ancora troppo presto, non si può giudicare. Bisognerà aspettare e avere fiducia e sostenere. Cose per i tifosi del Toro fanno parte del codice genetico. Fra un pò faremo i conti, ma per ora crediamoci…".

Il simbolo, l’aneddoto o il ricordo che possa sintetizzare il Centenario del Toro e il senso di appartenenza a questa maglia. Per Giaguaro un pezzo di traversa del Fila, per Agroppi la notte di Meroni e il pomeriggio di Superga, per Pupi la Maratona. Per Piedone?

"Il senso di appartenenza al Toro me lo danno molte cose, francamente. Però mi ricordo quando Pianelli si ritirò dalla vita pubblica e dalla carica e andò a passare gli ultimi anni della sua vita in una residenza in montagna. Non dimenticherò mai il suo volto anziano illuminarsi raggiante solo quando vedeva noi e il suo Toro giocare…quella è l’idea di questi Cento anni. Un vecchio tifoso innamorato del suo figliolo con indosso una maglia granata…".

Pecci oggi.

"Oggi Pecci costruisce case e ogni tanto fa la marchetta in televisione…".

Beh marchetta non direi…si è dilettato anche come commentatore televisivo, facendo da seconda voce a Bruno Pizzul nelle telecronache della nazionale. Naturalmente non un opinionista classico, ma godibile per ironia e la capacità di sdrammatizzare. Eppoi quella famosa paura degli aerei che nel 1999 lo ha portato a sciropparsi 2000 chilometri in auto per arrivare fino a Minsk, per un Bielorussia-Italia…

"Bellino, io da giovane ho girato tutto il mondo in aereo, ma poi una volta nel 1983 stavo venendo giù e allora ho smesso di metterci piede e poi sappi che quella partita della nazionale è stata da record degli sbadigli a ostacoli, e l’unica cosa da fare era scherzarci sopra in diretta tv".

E del calcio di oggi?

"Quando ero giovane mi stavano sui maroni quelli che dicevano “ai miei tempi”…quindi dei miei tempi non rimpiango nulla…però una cosa nel calcio si. Il rispetto fra uomini prima e colleghi poi che c’era e che adesso mi sembra venuto meno. Anzi, a farmi pensare bene una roba dei miei tempi che rimpiango c’è, eccome…le fidanzate della Signora Maria".

Domenico Mungo