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IL RACCONTO

L’estate del mezzo miliardo: Meroni, l’oggetto dei desideri del Napoli

Matteo Curreri
Nel 1966 Gigi fu a un passo dal trasferirsi sotto il Vesuvio, ma il destino lo volle granata per sempre

Cinquantotto anni sono trascorsi da quel tragico incidente che privò Torino e il calcio italiano di un personaggio irripetibile. Eppure, il suo nome, Gigi Meroni, continua ancora a far parlare di sé come simbolo di talento puro e anticonformismo. La sua giovanissima vita, spezzata a soli 24 anni, somiglia più a una sceneggiatura che a una carriera di calciatore. Pagine di un romanzo figlie degli anni ’60 e di un’epoca di piena rivoluzione culturale. Meroni seppe cavalcare il nuovo che avanzava senza cercare di essere diverso: lo era e basta. Non sapeva di essere “Meroni” e forse anche per questo faceva scalpore. Sapeva far rumore persino quando di quel rumore non aveva alcuna colpa. Come accadde nel giugno 1966, al termine della sua seconda stagione in granata, quando il suo destino sembrava dovesse già imboccare una strada lontana da Torino.

1966: l'offerta che sconvolse il calcio italiano

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“Meroni, calciatore capellone già venduto per mezzo miliardo?”, titolava Stampa Sera il 1° giugno 1966. Sulle tracce di Gigi si era messo il Napoli, deciso a portare ai piedi del Vesuvio non solo il talento granata, ma anche l’attaccante Orlando. L’offerta era qualcosa che il calcio italiano non aver mai visto prima: 550 milioni di lire. Una cifra capace di trasformare Gigi nel fiore all’occhiello di un progetto partenopeo ambizioso e rivoluzionario. Il Napoli aveva già piazzato due colpi clamorosi: Omar Sivori, in rotta con la Juventus, e José Altafini, l’asso brasiliano ex Milan. Mancava solo “La Farfalla Granata”. “Nel Nord avete ormai tutto, in fatto di calcio. Inoltre, il vostro livello medio è ormai tale che molti hanno l’automobile – spiegava il presidente azzurro, Roberto Fiore, attribuendo alla trattativa un significato quasi sociopolitico. – A Napoli la ‘500’ è ancora un sogno per molti… in fatto di calcio siamo come gli assetati cui anche soltanto un bicchier d’acqua sembra una gran cosa. I napoletani vanno allo stadio, e noi dobbiamo dar loro campioni e spettacolo”. Non era solo un trasferimento: era un’idea di riscatto per un Sud affamato di gloria. Un progetto visionario che, a distanza di vent’anni, avrebbe trovato il suo compimento con l’arrivo di un altro genio ribelle destinato a cambiare la storia: Diego Armando Maradona.

Il caso Meroni infiamma Torino

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La notizia corre veloce e a Torino si moltiplicano le voci. Serve chiarezza e la prima arriva da una fonte più che diretta e affidabile: “Non credo che mio marito abbia ceduto Meroni. Da lunedì è impegnato all’estero, non può aver concluso l’affare”, dichiara alla stampa Cecilia Pianelli, moglie del presidente granata. E infatti è così. Solo a mezzanotte, all’aeroporto di Caselle, Orfeo Pianelli atterra da Parigi e rompe finalmente il silenzio. “Abbiamo un gruppo di atleti considerati invendibili come principio”, spiega, prima di aggiungere: “Alcuni non lo sarebbero più se la cifra offertaci per uno di loro ci permettesse di rafforzare la squadra.” Nei giorni seguenti Corso Vittorio Emanuele diventa il centro di un piccolo assedio: fischietti, bandiere, striscioni di protesta e cori contro il presidente. Tra la trentina di giovani manifestanti c’è anche chi supera il limite, e Pianelli riceve lettere minatorie indirizzate a lui e alla sua famiglia.

E Meroni? Dal ritiro con la Nazionale osserva tutto da lontano, come sospeso tra stupore e ironia. “Che effetto le fa sapere di valere tanto?”, gli chiede un cronista. La risposta è una battuta elegante e pungente: “Se due anni fa valevo trecento milioni, si vede che sono come il vino: invecchiando aumento di valore. Ma su certe cifre – aggiunge subito – non mi sento di scherzare. Naturalmente sono stato sorpreso e, allo stesso tempo, orgoglioso.”

Il giorno della verità: Meroni resta, Rosato va al Milan

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L’11 giugno 1966 è la giornata che può cambiare per sempre la storia tra il Torino e Gigi Meroni. Dopo settimane di tira e molla, va in scena l’incontro tanto atteso. Per Orfeo Pianelli una giornata quasi teatrale, che comincia già al mattino. Nei suoi uffici di Cascine Vica riceve la delegazione del Milan, guidata dal giovane presidente Franco Carraro, decisa a portare via da Torino il difensore Roberto Rosato. I rossoneri temono che il pressing del Napoli su Meroni possa far saltare ogni trattativa e provano a inserirsi anche nella corsa all’ala, mettendo sul piatto uno scambio alla pari con il brasiliano Amarildo. Il colloquio si chiude senza accordo, ma Pianelli sa che il vero confronto deve ancora arrivare. Nel pomeriggio, infatti, a Villa “L’Ulivo” di Rivoli, la residenza del presidente granata, arriva in auto da Milano il dottor Roberto Fiore. Con lui avrebbe dovuto esserci anche l’ex presidente partenopeo Achille Lauro, trattenuto però a Genova da impegni personali.

L’incontro dura ore, ma alle 17.30 la scena è eloquente: Fiore lascia la villa con il volto tirato, senza pronunciare una parola. Risale in macchina e scompare verso Milano.

Tre giorni più tardi, il 14 giugno 1966, il verdetto arriva. Il Torino cede sì un suo gioiello, ma non è Meroni a partire: Roberto Rosato vola al Milan per 400 milioni di lire più il difensore Mario Trebbi. “Rinunciare a un forte difensore a certe condizioni vantaggiose era meglio che privarsi di un forte attaccante, meno facile da reperire sul mercato e quindi più difficile da rimpiazzare”, spiegherà Pianelli. “La Farfalla Granata” avrebbe ancora incantato sul verde del Comunale.

Meroni: "Sono lo stesso di prima"

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Lo stesso giorno in cui si chiude la telenovela di mercato, a Bologna, l’Italia affronta la Bulgaria in un test che precede il Mondiale. Meroni parte dalla panchina, ma quando entra in campo sigla un gol capolavoro: sombrero già al primo controllo, progressione elegante verso l’area e conclusione precisa di destro. “Meroni ha segnato un gol che vale decine di milioni”, titola il giorno dopo La Stampa. “Molti dicono che io sia un tipo strano, ma in fondo non è vero. Non poso da Beatle, sono così per natura…” racconta qualche giorno più tardi. Prima di diventare professionista disegnava cravatte e foulard a Como, intrecciando fili di seta sulla carta come oggi intreccia dribbling sul campo. “Sinceramente, come pittore valgo pochino. Come calciatore, lascio giudicare a voi. Non mi sono montato la testa per il mezzo miliardo richiesto dal Napoli per il mio trasferimento. E poi, in fondo, mi pagano meno di una ballerina di classe".

Il 18 giugno a San Siro, contro l’Austria, sbaglia due occasioni, ma la sua leggerezza resta intatta. A Appiano Gentile, dove la Nazionale prepara il Mondiale, viene intervistato da Enzo Tortora:

Come si sente con una valutazione da 500 milioni?

– “Io sono rimasto lo stesso di prima. Il problema è di chi mi valuta così.”

Il prezzo della diversità: Gigi bersaglio dopo la Corea

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Il 22 giugno, davanti al suo pubblico dello stadio Comunale di Torino, Meroni incanta ancora: parte dalla trequarti e conclude con un morbido lob che si spegne all’incrocio dei pali. Esulta correndo verso la pista d’atletica, come a voler abbracciare i suoi tifosi. Ora tutti lo vogliono titolare per la sfida mondiale con il Cile. Ma l’avventura inglese prende una piega diversa. Il 13 luglio, a Sunderland, Meroni resta in panchina. L’Italia vince 2-0, ma nella seconda partita contro l’Unione Sovietica torna titolare, offrendo “una prova coraggiosa contro difensori possenti” (Corriere della Sera). Non basta. La qualificazione si decide contro la Corea del Nord, avversario considerato dilettante. “Una squadra di Ridolini”, dice il vice-ct Valcareggi.

Sarà una Caporetto. Dalla panchina, Meroni assiste impotente al gol di Pak Doo Ik. “Con lui in campo avremmo vinto”, ammetterà il ct Fabbri. Al ritorno in Italia, i pomodori lanciatigli contro a Genova diventano il simbolo della vergogna. Fabbri viene licenziato in tronco e Meroni, nonostante abbia giocato poco, diventa il bersaglio facile: troppo costo so come calciatore, troppo diverso come persona.  Dopo l’estate più turbolenta della sua carriera, Gigi torna a casa: “A Torino sono apprezzato, finalmente, partirò da lì".