Le attenuanti: una rosa cambiata e penalizzata
—Non si può ignorare come la squadra affidata a Vanoli fosse diversa e sulla carta meno competitiva. In estate sono partiti due pilastri come Alessandro Buongiorno e Raoul Bellanova. Il primo era leader tecnico ed emotivo della difesa; il secondo garantiva gamba, corsa e imprevedibilità. A questi addii si è aggiunta l'aggravante della lunga assenza di Duván Zapata, out per quasi tutta la stagione a causa della rottura del crociato. Durante l’anno sono arrivati Elmas e Casadei, innesti interessanti, ma si sa: gli inserimenti a campionato in corso richiedono tempo e soprattutto cambiamenti progressivi. In questo quadro di anche le responsabilità dell’allenatore vanno lette con lucidità: Vanoli ha lavorato con un organico incompleto e con obiettivi mai chiaramente tracciati.
Il problema di fondo: un progetto senza direzione
—Al di là delle scelte tecniche e di mercato, il problema vero è più profondo. Il Torino da anni galleggia in una zona grigia della Serie A dove la salvezza è garantita, ma nulla sembra costruito per andare oltre. Non si programmano salti di qualità, non si espone mai la società a rischi o ambizioni concrete. Si resta lì, in una comfort zone che alla lunga anestetizza tutto: ambiente, tifo e progetto. Quella che inizialmente poteva sembrare una fase di transizione, oggi assomiglia sempre più a una stagnazione strutturale. E la stagnazione, se protratta, porta inevitabilmente al declino. Il Torino ha bisogno di ritrovare una visione. Vanoli potrà essere parte di un nuovo percorso, ma da solo non basta. Servono decisioni chiare, un'identità forte e il coraggio di affrontare finalmente il rischio del cambiamento. Perché il futuro si costruisce adesso.
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