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Da Juric a Vanoli il Toro non cambia: meno punti e stessa sensazione di staticità

Da Juric a Vanoli il Toro non cambia: meno punti e stessa sensazione di staticità - immagine 1
Il calo rispetto all'anno scorso è solo la punta dell'iceberg: Vanoli eredita un Torino senza slancio né direzione chiara
Enrico Penzo
Enrico Penzo Redattore 

La sconfitta di Lecce ha tolto anche l’ultima illusione: il Torino non raggiungerà quota 50 punti. Un traguardo più simbolico che sostanziale, ma che restituisce bene l’immagine di una stagione priva di slancio, in cui la crescita è rimasta una promessa non mantenuta. Il confronto con il passato recente rende il dato ancora più significativo: un anno fa, Ivan Juric chiudeva il suo triennio con 53 punti e una decima posizione che oggi appare lontana. Paolo Vanoli, alla prima esperienza da allenatore in Serie A, ha ereditato una situazione complicata. Il confronto tra i due tecnici racconta una verità semplice: il Torino, a un anno dalla fine dell’era Juric, si ritrova con più interrogativi che certezze. Non si può parlare di crollo, ma è evidente che non c’è stata crescita. E da troppo tempo, ormai, il club resta fermo nello stesso punto.

Vanoli vs Juric: le fotografie delle due annate a confronto

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Nel 2023/24, con Juric alla guida, il Torino aveva chiuso a 53 punti e al decimo posto, confermandosi tra le squadre più solide del centro classifica. Una squadra sicuramente non brillante, ma quanto meno compatta (vedi dati difensivi ottimali). Dodici mesi dopo, lo scenario è diverso. Con 44 punti all’attivo e una sola partita da giocare (in casa contro la Roma), i granata sono già certi di non eguagliare né il bottino né la posizione dello scorso campionato. Questi numeri raccontano un passo indietro sul piano dei risultati, ma soprattutto la difficoltà nel costruire una squadra solida, caratterizzata da un'identità chiara. Vanoli ha portato professionalità e serietà, ma si è trovato a gestire una rosa rimaneggiata e un contesto senza veri obiettivi dichiarati.

Le attenuanti: una rosa cambiata e penalizzata

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Non si può ignorare come la squadra affidata a Vanoli fosse diversa e sulla carta meno competitiva. In estate sono partiti due pilastri come Alessandro Buongiorno e Raoul Bellanova. Il primo era leader tecnico ed emotivo della difesa; il secondo garantiva gamba, corsa e imprevedibilità. A questi addii si è aggiunta l'aggravante della lunga assenza di Duván Zapata, out per quasi tutta la stagione a causa della rottura del crociato. Durante l’anno sono arrivati Elmas e Casadei, innesti interessanti, ma si sa: gli inserimenti a campionato in corso richiedono tempo e soprattutto cambiamenti progressivi. In questo quadro di anche le responsabilità dell’allenatore vanno lette con lucidità: Vanoli ha lavorato con un organico incompleto e con obiettivi mai chiaramente tracciati.

Il problema di fondo: un progetto senza direzione

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Al di là delle scelte tecniche e di mercato, il problema vero è più profondo. Il Torino da anni galleggia in una zona grigia della Serie A dove la salvezza è garantita, ma nulla sembra costruito per andare oltre. Non si programmano salti di qualità, non si espone mai la società a rischi o ambizioni concrete. Si resta lì, in una comfort zone che alla lunga anestetizza tutto: ambiente, tifo e progetto. Quella che inizialmente poteva sembrare una fase di transizione, oggi assomiglia sempre più a una stagnazione strutturale. E la stagnazione, se protratta, porta inevitabilmente al declino. Il Torino ha bisogno di ritrovare una visione. Vanoli potrà essere parte di un nuovo percorso, ma da solo non basta. Servono decisioni chiare, un'identità forte e il coraggio di affrontare finalmente il rischio del cambiamento. Perché il futuro si costruisce adesso.

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