Culto

Primi nel mondo – La saga completa

Francesco Bugnone

La strada che porta a Madrid è attraversata anche dalla Nazionale. Il 25 marzo, infatti, gli azzurri di Sacchi giocano al “Delle Alpi” contro la Germania una non memorabile amichevole con le due curve che più che tifare per gli azzurri pensano all’imminente derby e se le cantano a distanza. Risolve Baggio su rigore procurato da Lentini, entrato a gara in corso con ottimi risultati, sul quale le voci di mercato sono ormai fuori controllo.

Anticipiamo di un giorno la sfida in campionato contro l’Inter di Suarez proprio in vista del nostro appuntamento con la storia, ma a Milano si presenta un Toro lungi dall’essere distratto. Le cose si mettono in salita quando al 40’ un’uscita di pugno di Marchegiani, valutata fuori area da Stafoggia, viene punita col cartellino rosso. Luca salterà il derby e in campo entra Raffaele Di Fusco.

Raffaele Di Fusco, storico dodicesimo del Napoli, è principalmente noto per essere stato schierato centravanti da Ottavio Bianchi nel finale di una partita contro l’Ascoli nel 1988/89. Episodio che si prestò a interpretazioni plurime, in primis il rapporto ormai al capolinea fra tecnico e alcuni giocatori. A Torino ha sempre atteso il suo momento con professionalità coprendo le spalle all’inamovibile Marchegiani e il fato l’ha premiato con l’esordio dal 1’ nella stracittadina accolto da un “Per me Juve o Ascoli pari sono” che fa capire come la porta potesse essere in buone mani anche senza Luca (spoiler: lo sarà).

Nella ripresa rischiamo per un palo di Dino Baggio, ma non sembriamo tutto fuorché in dieci. Lentini è scatenato e solo un intervento falloso di Brehme in area riesce a fermarlo, anche se l’arbitro non concede incredibilmente il rigore, come farà, poco dopo, per un contatto meno netto tra Mussi e Klinsmann. Gigi è inarrestabile e Abate, sostituto di Zenga squalificato, lo deve atterrare fuori area guadagnando la seconda espulsione di giornata per un portiere. Il primavera Cecotti viene impegnato da tutte le posizioni da Policano e compagni, ma la partita non si schioda dallo 0-0 complice una rete misteriosamente annullata a Scifo nel finale. Non c’è tempo per recriminare, si vola a Madrid.

“Al Bernabeu novanta minuti possono essere molto lunghi”, così diceva Juanito, centrocampista del Real anni ottanta che, per un tragico scherzo del destino, morirà in un incidente stradale al termine della partita. Ne sanno qualcosa molte squadre, vittime, nel decennio precedente, di incredibili rimonte dopo aver creduto di essersi assicurate il passaggio del turno dopo un’andata vittoriosa con discreto margine. Ne sa qualcosa soprattutto l’Inter della prima parte degli anni ottanta che si è vista spesso beffata in modi leciti e meno, come quando Bergomi venne colpito in testa da una biglia proveniente dagli spalti senza che l’Uefa intervenisse per concedere il successo a tavolino. Ne sapremo qualcosa anche noi, ma ci faremo trovare prontissimi.

Novanta minuti sono lunghi e a volte cominciano prima. Tutte le trappole preparate dal Real (lo sminuirci, il parlare di noi come squadra che distrugge il gioco) non fanno che caricarci. Il lancio di oggetti sul pullman che sta raggiungendo lo stadio, con tanto di vetro rotto e Parretti ferito, non fa certo piacere, ma non ci intimidisce tanto che, durante il riscaldamento, Bruno e Policano rispondono per le rime al pubblico che fischiava e insultava. I tifosi granata, invece, sono stati confinati in un’oscena “gabbia” e caricati dalla Guardia Civil. “Lì in mezzo c’è mia figlia, se le capita qualcosa non presentarti a Torino” sibila Mondonico in faccia al presidente madridista Mendoza e, per sua fortuna, all’amata Clara non accadrà nulla. Nonostante la prosopopea ostentata dalla dirigenza, dallo spocchioso tecnico Beenhakker e da Ricardo Rocha, difensore esagitato che finirà con l’essere involontario alleato al ritorno, fra i “blancos”, sotto sotto, inizia a insinuarsi il dubbio di avere scherzato con quelli sbagliati.

L’austriaco Forstinger fischia l’inizio e la partita è tanto calda quanto equilibrata. Martin Vazquez sembra non sentite i fischi del suo ex pubblico, Scifo resiste alle botte di Milla, Ricardo Rocha va a urlare in faccia qualcosa a Policano pensando di intimidirlo e si prende in risposta una risata in faccia e il gesto “questo è matto” da parte del nostro numero undici. Col passare dei minuti troviamo convinzione a al 59’ arriva un momento di gioia unica.

Lentini apre a Scifo che allarga a sinistra per Policano, in posizione ottima per il cross. Ma Roberto non vuole crossare, da come si coordina dopo il controllo si capisce che, come contro il Foggia in campionato, sta per tirare. E’ una rasoiata rasoterra, carica di effetto, fatta apposta per regalare una brutta figura ai portieri. Buyo è costretto a tuffarsi all’indietro per togliere il pallone dalla porta in un modo che non può che essere goffo. La palla resta lì, nei pressi della linea. Casagrande la tocca segnando un gol tanto facile quando immortale e poi inizia a correre urlando, inseguito da Mussi. Il Toro, splendidamente tutto granata, è passato in vantaggio al Santiago Bernabeu.

Mai stuzzicare il can che dorme, però, e il Real si sveglia. Hierro approfitta di un mancato intervento di scivolata per un filtrante a mettere Hagi davanti a Marchegiani: pareggio dopo 3’. E’ ancora Hierro, vero fuoriclasse di quel Real, a punirci al 65’, quando siamo poco attenti su uno schema da calcio piazzato consentendogli un facile colpo di testa. Partita ribaltata, ma il Toro sa adeguarsi. Non siamo riusciti a tenere il vantaggio, non dobbiamo imbarcare dato che c’è sempre un ritorno. La partita si fa gazzarra: un fallaccio di Hagi ferisce al ginocchio Cravero che deve lasciare il campo urlando, roba da rimetterci la carriera. Ci saltano i nervi per un attimo e Policano ci lascia in dieci dopo un intervento duro su Michel. In inferiorità numerica non solo non rischiamo più niente, ma è Buyo che evita il 2-2 con un miracolo sulla conclusione volante di Lentini. Finisce 2-1, ottime prospettive per il ritorno, ma anche coglioni giustamente fumanti.

Al termine della gara Mondo e i suoi parlano più dello squallido trattamento subito fuori dal campo che della partita e, quando lo fanno, pongono l’attenzione su come si sia tenuto, sull’atteggiamento e sul fatto che, coi dovuti accorgimenti, sia tutto ribaltabile sotto la Maratona. Di alcune esperienze si dice “sono entrato bambino, sono uscito uomo”. Quella sera il Toro, che uomo era già da parecchio, è entrato ottima squadra ed è uscito Grande. Sì, Grande, come quelle che si contendono coppe e scudetti e da lì a fine stagione giocheremo sempre come una grande squadra. Peccato che durerà troppo poco.

La domenica successiva c’è il derby. Non ce ne accorgiamo quasi, troppo distratti da cose “più alte”, ma ce l’abbiamo sotto la pelle, ugualmente. Forse un pochino offesi per essere stati snobbati, i bianconeri vanno al tiro subito anche per testare Di Fusco che mantiene l’intento della vigilia (“Ascoli o Juve per me pari sono”) e alza in angolo la conclusione di Casiraghi. Bruno si becca subito un’ammonizione per fallo su Schillaci che sa tanto di intimidazione (l’ammonizione, non il fallo), ma saprà gestirsi alla grande per i restanti minuti. A metà tempo abbiamo un’occasione clamorosa, con Policano che, arrivato come un treno su suggerimento di Lentini, umilia Marocchi con un tunnel e si presenta davanti a Tacconi che salva in uscita. Poli va a dare un calcio alla rete mentre la Maratona urla “Nuooooo” alle sue spalle. A Marocchi, tra l’altro, viene risparmiata un’espulsione da Baldas per doppia ammonizione, mentre Baggio e Carrera hanno parecchio da recriminare per due grosse opportunità fallite da distanza ravvicinata. Nell’intervallo Kissinger, ospite di Agnelli, dice che Baggio e Schillaci, totalmente annullati da Annoni e Bruno, gli sono piaciuti più di tutti. Forse aveva perso gli occhiali nel bagno, come nella famosa puntata dei Simpson.

Nella ripresa ci si aspetta che il Toro paghi le fatiche di Madrid e invece, eliminate le poche sbavature del primo tempo, i granata prendono progressivamente campo. Altrettanto progressivamente, la Juve si fa piccola piccola. I primi pericoli per Tacconi arrivano da lontano: una legnata di Martin Vazquez respinta a mani aperte dal portiere bianconero, seguita da una di Annoni poco dopo rintuzzata in tuffo. All’ora di gioco Casagrande segna, ma a gioco fermo per un presunto fuorigioco di Benedetti. Si rifarà. Nel frattempo Di Fusco deve solo intervenire su una conclusione di Baggio da dentro l’area.

Al 67’ Bruno interviene in maniera pulita sul Codino in area. Il numero dieci va a terra e Pasquale, con una mossa che diventerà iconica, gli fa segno di alzarsi e lo stesso fa Di Fusco. Se fossimo nel 2000 sentiremmo “Please stand up” da “The real Slim Shady” di Eminem in sottofondo, ma mancano ancora otto anni. Il Toro nel frattempo è ripartito. Vazquez, che con Lentini sta guidando la ripresa garibaldina dei nostri e che, come già detto precedentemente, nei derby diventa una belva, fa quello che vuole sulla destra, va sul fondo, alza la testa e vede Casagrande nell’area piccola. Il cross è di una morbidezza commovente, Tacconi lo guarda passare, troppo alto per intervenire, troppo preciso per tentare l’impossibile. Walter deve solo alzarsi, colpire di testa ed esultare quando la rete si gonfia. Casao corre verso la panchina, Lentini sullo slancio salta i cartelloni che lo separano dalla Maratona. Toro in vantaggio, l’espressione più bella del mondo.

Passano sei minuti e Lentini, da sinistra, lascia partire un cross velenoso la cui traiettoria maligna rimbalza sula traversa e sembra andare fuori. Sembra. Gli unici due che pensano il contrario sono Tacconi, che fa cenno ai compagni di andare sulla palla quasi incredulo che nessuno lo faccia, e Martin Vazquez che ravviva un’azione spenta salvando la sfera dal fallo di fondo e riportandola in gioco da destra. Sul cross radente dello spagnolo, Tacconi tenta un intervento disperato, ma la difesa della Juve è ferma e Casagrande, come a Madrid, ormai ha la calamita per arpionare simili palloni vaganti. Tocco facile e raddoppio. Bruno corre ad abbracciare Mondonico, entrato in campo con le braccia alzate, mentre, sugli spalti, ormai è delirio.

Walter Casagrande, io ti amo. Sappilo, ti amo. Anche se a Torino, all’inizio, volevano farti passare da oggetto misterioso o da bidone o da rotto. Peccato che, quando contava, tu c’eri, col tuo fisico imponente e i piedi magici, mix difficilmente riscontrabile in un calciatore. Mai banale, come quando eri membro di spicco della Democrazia Corinthiana, come quando, pur di giocare in Italia, hai deciso di andare ad Ascoli diventando leggenda. La doppietta a Madrid, i gol nei derby e con l’Ajax. In quella magica primavera sei stato il Toro, ci hai rubato il cuore e te lo sei preso. E pensare che, a un certo punto, non vedevi l’ora di andare via. Dopo la fine dei giochi è stato difficile per te, ma adesso sembra alle spalle, quando pubblichi una foto su Facebook sembri felice, un uomo pieno di interessi e di gioia. A Riccardo Bisti, nell’intervista che gli hai concesso per “Il Toro di Amsterdam”, alla domanda su cosa sognassi per la tua vita, gli hai detto “Restare così. Non voglio niente di più, la mia vita va bene, soprattutto dopo i problemi che ho avuto” E’ la frase più bella, è l’augurio più grande.

La traversa di Casiraghi a tempo scaduto è l’ultimo sberleffo che la sorte fa ai bianconeri, costretti a vedere sui tabelloni i continui aggiornamenti sulla goleada del Milan contro la Sampdoria, in un ipotetico passaggio di consegne fra campioni d’Italia, coi rossoneri di Capello a cui ormai manca solo la matematica per dirsi campioni. Negli spogliatoi c’è gioia, ma anche voglia di togliersi qualche macigno dalle scarpe. Casagrande, per esempio. Lo si immagina raggiante, invece parla del fatto che a Torino non si è ancora inserito e vorrebbe cambiare aria, proprio nella settimana in cui è entrato nella leggenda granata, lamentandosi anche dei giornalisti che ora lo osannano e prima lo avevano timbrato in maniera negativa. Poi entra in campo Mondonico, col ghigno dei giorni migliori. “Dedico questa vittoria a quei tifosi che hanno scritto domandandomi se non ci vergogniamo ad andare in Europa a giocare così male. Forse l’aver dato anche a loro per una sera, per due giorni, il motivo di essere orgogliosi, di essere tifosi del Toro, ecco diciamo che così è la cosa che in questo momento ci sentiamo di dedicare, anche se sappiamo che come le cose andranno diversamente, magari…non dico che saranno i primi, però certamente non saranno dalla nostra parte”. Forse la cosa più bella del dopo gara è come tutti dicano di essere felici, ma che c’è da pensare al Real. E lo fanno col sorriso, godendosi il momento, ma pensando a qualcosa di ancora più alto. Il tutto mentre Borsano, chissà se trainato da questo successo, entra in Parlamento fra le file del Psi con una marea di preferenze. Sì, perché questo derby stupendo si è giocato il giorno delle elezioni.

La settimana successiva, mentre filtrano notizie poco rassicuranti dalla Covisoc che ipotizza il Toro in terza fascia insieme alla Roma (tradotto: costretto a fare un mercato in attivo), c’è chi promette di andare a Superga in bici in caso di coppa Uefa vinta, come Annoni, chi si prepara a rientrare a tempo di record come Cravero dopo il fallaccio di Hagi e chi, come Mondonico, chiede a tutti di rimanere sul pezzo: chi pensa al Real lo dica, così col Verona sarà in panchina. Il Toro, come detto, si è scoperto Grande e non ha bisogno di stimoli o altro e si vince anche al Bentegodi: nonostante ci manchi ancora la capacità di chiudere le partite in fretta, giochiamo meglio e le portiamo a casa, anche quando Bazzoli non vede almeno due rigori per noi. Un gran destro di Scifo dal limite, solo sfiorato da Gregori, apre la marcature al 32’, Raducioiu, che ci segna sempre anche in annate da Mai dire Gol, pareggia di testa in tuffo a fine tempo e Lentini, al 77’, scatta sul filo del fuorigioco su geniale filtrante di Martin Vazquez e supera Gregori con un delizioso pallonetto. Ora sì che possiamo pensare al ritorno col Real.

Non sono mai stato così convinto di qualcosa nella mia vita come del passaggio del turno contro il Real Madrid e come me tutti. Convinzione e non supponenza. Doveva andare così, non c’era altro modo. D’altronde la risposta che mi ha dato Giorgio Venturin quando gli ho chiesto cosa avesse provato dopo aver visto lo stadio pieno fu “che non avevano scampo”. “A Madrid come a Licata, fieri di essere granata” resta uno degli striscioni più belli della nostra storia.

Gli olè del pubblico alla lettura delle formazioni, quando la Rai si collega, fanno tremare lo stadio. L’arbitro Galler ordina l’inizio della gara, i fischi sotterrano i madridisti mentre fanno girare il pallone e la scivolata di Fusi a interrompere la trama di gioco è accolta con un boato degno di un gol. Cravero sembra bloccato più dall’emozione che dai postumi dell’infortunio, Bruno inizia a duellare con Butragueno facendo intuire chi avrà la meglio, si lotta su ogni palla, anche quelle apparentemente innocue possono diventare improvvisamente buone. Come quando un lungo cross di Annoni non viene addomesticato a dovere da Mussi che, però, riesce a recuperare e a rigiocare per Vazquez il quale, con un brivido, tiene palla e la ridà al rosso che sostituisce Policano sulla fascia e centra nuovamente lungo. La sfera sembra di nuovo perduta, ma Lentini la recupera a destra e crossa tesissimo per Casagrande che non segna solo perché Ricardo Rocha, probabilmente pagando gli improperi che gli abbiamo lanciato all’andata, lo infila nella propria porta in spaccata. GUUUUUUOOOOOL urla lo stadio, un suono gutturale che viene dal profondo, da dentro di noi, da un posto che non riusciamo a trovare, ma sappiamo tutti che c’è. Un suono che non mi stanco di risentire tutte le volte che rivedo quella rete. Sette minuti e siamo avanti, potenzialmente in finale, ma manca un’eternità. Lentini e Vazquez, checchè se ne dica, sono in serata. Scifo lo stesso. Spesso si fanno trovare anche in difesa, pronti a prendere palla e far ripartire l’azione. E’ il Toro degli uomini ovunque, dove ognuno mette il suo mattone.

Il Real non sembra particolarmente in palla, ma ogni tanto qualche spavento arriva, però c’è sempre la gamba di qualcuno che dice no. La Maratona è letteralmente il dodicesimo in campo, arriva quasi a chiamare “uomo” a Cravero in un’occasione. Bruno si permette di beffare Michel con una finta. Mussi recupera e riparte in slalom. Successivamente avvia la nostra azione più bella del primo tempo toccando per Scifo che appoggia a Casagrande, il quale supera due avversari in dribbling e lascia ancora al belga. Palla a destra per Vazquez, cross radente, tacco di Lentini e Casao a colpo sicuro trova il piede di Buyo che gli nega il due a zero. Il tempo finisce con l’ennesimo bell’intervento difensivo di Annoni a mantenerci a 45’ dalla finale.

La ripresa parte con Scifo a spiegare il gioco del calcio, ma Lentini di testa mette alto da buona posizione e Casagrande fallisce un controllo non da lui. Cravero si scrolla il timore del primo tempo e compie un grande intervento in scivolata su Llorente. Lo stesso capitano salva dopo un intervento di Marchegiani su centro ancora di Llorente. Si soffre, Casagrande, di testa, avrebbe una buona chance su corner, ma stacca troppo centralmente. Il tiro a lato di un soffio di Milla ci spaventa, quello al volo di Michel che finisce sopra la traversa anche, ma sono gli ultimi palpiti di ansia prima del raddoppio.

La bellezza di quel Toro è che quando Vazquez perde palla, non aspetta che un mediano vada a recuperarla, ma lo fa direttamente lui. Sporca la giocata del Real e la sfera arriva a Venturin. Giorgio, anche lui in grandissima serata, serve Scifo che porge indietro a Rafa il cui tocco di prima, stavolta, illumina Torino. La palla va a Lentini che parte a sinistra, punta Chendo, lo salta, non si accorge nemmeno che il difensore stia provando ad abbatterlo in scivolata, va sul fondo e centra basso. Tutti guardano. Chi speranzoso che arrivi qualcuno con la maglia granata, chi timoroso che una maglia bianca spazzi via. Arriva la maglia granata, è di Luca Fusi. Gol.

Fusi vorrebbe correre sotto la Maratona poi si ricorda di essere sotto diffida e non vuole perdere la finale di andata. Beffa delle beffe, prenderà il giallo di lì a poco. Luca viene abbracciato da tutti, compagni e raccattapalle. Poco distante Vazquez e Scifo sorridono e si abbracciano anche loro, ridono di tutto, del 2-0, del presunto dualismo che, di fatto, non esiste e di altre mille cose. Non è ancora finita, però. Un gol e si andrebbe ai supplementari. Mondonico sostituisce Casarande con Benedetti. A parte un colpo di testa di Luis Enrique che finisce alto, non ci sono altri brividi veri. L’unico è quello di gioia che ci pervade quando Galler fischia la fine. Siamo in finale, strameritatamente. La prima finale europea della nostra storia. Il tifoso del Toro, come dirà Mondonico con una splendida frase, ha capito che può andare sulla Luna. Succede quella sera e se guardiamo il cielo possiamo intuire che qualcuno ha piazzato una bandierina granata nel mare della tranquillità.

(7-continua)

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