LEGGI ANCHE: "Riti di passaggio"
Ad Avellino arriva un successo per 2-0 nonostante gli infortuni continuino a fioccare: Volpati dà forfait prima della gara, Pecci è costretto a lasciare il campo al 41’ al giovane Paganelli. Linea verde, cuore Toro e gemelli del gol che tornano a segnare insieme. Apre Graziani con un colpo di testa parabolico su traversone di Vullo, chiude Pupi di rapina su centro rasoterra di Ciccio mancato da Piotti. In mezzo un Avellino generoso e poco più, anche se a dar retta al servizio dell’epoca di Domenica Sprint, palesemente opera di un tifoso irpino sotto mentite spoglie, sembra che i padroni di casa abbiano giocato come l’Olanda del 1974. Un commento così di parte e falso da suscitare le proteste dei tifosi e della stessa società nei confronti della Rai. Negli spogliatoi più che ai due punti si pensa alla squadra rattoppata, dove i giovani stanno dando una grande mano, preludio a quello che succederà nel biennio successivo, e, ovviamente, allo Stoccarda, distante solamente tre giorni.
LEGGI ANCHE: Le rimonte nicoliane
Pecci non ce la fa, ma rientra Danova e così Radice schiera Terraneo, Mandorlini, Vullo, Pat Sala, Danova, Salvadori, Claudio Sala, Pileggi, Graziani, Greco e Pulici. Il Comunale, nelle serate di coppa, è stupendo in un modo che fa quasi sentire in colpa per avergli regalato meno notti europee di quanto meritasse. Se lo guardi dal basso gli spalti sembrano non finire mai, volando verso l’alto a toccare un meraviglioso cielo notturno. Anche il colore granata, illuminato dai riflettori, sembra più intenso, più sanguigno. Della curva Maratona non è neanche il caso di parlare, pare fatta apposta per vivere notti simili. Il Toro è chiamato all’impresa, sa che superare i tedeschi è qualcosa che può andare ancora più in là del mero passaggio del turno. Allora non c’è tempo per rimpiangere gli assenti: veterani e giovani possono solo giocare una grande partita quando il sovietico Azim Zare fischierà il calcio d’inizio.
LEGGI ANCHE: "Una notte a Brescia"
I dettami di Radice consigliano al Toro di attaccare con calma, mentre Buchmann chiede allo Stoccarda di non rinunciare al gioco, di occupare il campo e di non perdere la testa. Le intenzioni sono un’ottima cosa, ma reggono pochi minuti: la voglia di farcela granata e il desiderio di mantenere il vantaggio tedesco portano ben presto a una gara molto fisica di duelli, botte e mezze risse dove nessuno si tira indietro. Graziani è il trascinatore: sua la prima conclusione pericolosa al volo di sinistro, dopo una punizione di Pulici rimpallata, con Roleder che mette in angolo. Pupi, da buon gemello, fa eco al compagno di reparto con un colpo di testa fuori di un soffio. Graziani ha l’argento vivo addosso, reclama invano un rigore, si crea dal nulla, in palleggio, una buona opportunità da fuori, ma la palla non entra.
LEGGI ANCHE: "Toro-Lazio 1-0: Del rimpianto"
Chiuso il primo tempo a reti inviolate, nella ripresa il Toro si riversa all’attacco e il pressing tedesco che aveva sporcato parecchie azioni dei nostri nei primi 45’ si fa inefficace col passare dei minuti. Al 68’, finalmente, la sbocchiamo. Grande merito va a Vullo che, lanciato in profondità, vola a sinistra incurante del fatto che un avversario sia in anticipo e stia coprendo la sfera per ottenere una rimessa o il rinvio dal fondo. Per Totò quell’avversario, semplicemente, non esiste, quindi corsa che non si ferma, duello fisico senza timore, pallone sradicato con forza e ingresso in area nei pressi del fondo. Testa alta per vedere chi c’è al centro e, al limite dell’area piccola, sbuca Claudio Sala, uno che in genere i gol come quelli li fa fare, ma stavolta rovescia lo spartito e segna lui. Colpo di testa senza nemmeno saltare e pallone nel sacco con lo stadio che viene giù. Pochi minuti prima il capitano sembrava dover pagare anch’egli l’ennesimo debito agli infortuni dopo essere rimasto ko qualche minuto per uno scontro di gioco, adesso corre festante con le energie decuplicate dall’aver raddrizzato la situazione. Il primo a fermarlo è il suo omonimo Pat che lo abbraccia e lo solleva. Ci siamo guadagnati almeno i supplementari, anche se continuiamo a premere senza però trovare il gol della qualificazione.
Nel primo tempo supplementare Graziani è pura onnipotenza: salva sulla linea dopo una mischia furibonda in area granata e un attimo dopo fa paura ai tedeschi calciando alto di poco. Poi, dopo un’occasione fallita da Pulici, al 104’ il raddoppio. Claudio Sala rientra sul sinistro da destra e crossa, Pulici stacca e imitato da due difensori, ma la palla passa e finisce a Graziani solissimo sul secondo palo. Ciccio controlla e lascia partire un bolide che colpisce il montante più vicino e gonfia la rete. La Maratona esplode, il numero nove, dopo un secondo per realizzare cos’ha fatto, inizia a correre sotto la curva, raggiunto dai compagni e abbracciato da gente in borghese. La qualificazione si tinge di granata, adesso bisogna tenere.
La grande parata di Terraneo sul neo-entrato Schmider sembra il suggello della vittoria, il centoventesimo passa, ma l’arbitro non fischia. Forse sta recuperando il tempo perso quando Graziani, colpito proditoriamente a inizio frazione, è rimasto a terra qualche secondo prima di riprendere il suo posto, dolorante e inscalfibile al tempo stesso. I tedeschi si sentono incoraggiati a buttare dentro l’ultimo pallone, quello della disperazione. Terraneo decide di uscire e colpisce di pugno attorniato da un nugolo di uomini. In un mondo ideale ci sarebbe un fischio. Triplice per suggellare il successo o singolo per punire una carica al portiere, concedendo allo stadio quel boato di quando conquisti un calcio di punizione che ti permette di trascorrere in pace gli ultimi secondi prima del trionfo. Invece no, Ohlicher colpisce al volo dal limite e il pallone deviato, secondo qualcuno con un braccio da un tedesco, termina nella porta ormai sguarnita. Non oso pensare cosa si sia visto dalla Maratona di quell’azione: la speranza, l’ansia, il timore e poi, mentre la sfera finiva inesorabilmente in rete, il vuoto dentro.
Un gol subito così dopo una partita simile è un insulto, non si accetta, è peggio di perdere 4-0, perché ti fa capire come non ci sia redenzione, come non basti nemmeno superare i propri limiti, dare tutto incuranti delle assenze e della sorte avversa per farcela. Anche il sempre austero Almanacco Panini, che se segnavi a tempo scaduto annotava sempre 90’, farà un’eccezione per quella gara scrivendo 121 vicino alla rete subita, quasi per far capire quanto fosse impossibile e ingestibile un simile fatto. Chi c’era racconta di tifosi granata anziani in lacrime, come se tutti avessimo capito che, dopo uno scudetto perso 51 punti a 50, dopo infortuni nei momenti cardine delle stagioni successive, avevamo sbattuto contro un altro palo messo lì dal destino in modo atroce. Io stesso, mentre ho scritto, mentre ho rivisto il video che so a memoria, spero sempre che quel pallone non entri, che non segnino, in una sorta di delirio irrazionale davanti a qualcosa di ingiusto.
Esplode la rabbia con una mini-invasione e scontri fra le forze dell’ordine che sparano lacrimogeni che nulla c’entrano con gli occhi lucidi dei granata negli spogliatoi. Graziani è tra i primi a denunciare un tocco di mano nell’episodio decisivo e poi chiude con una frase che è una coltellata: “La vita è piena di sorprese, ma chissà perché quelle negative toccano sempre a noi”. L’amarezza è totale, si inerpica come l’edera nelle anime dei nostri e quello che avrebbe potuto essere lo slancio per proporsi con convinzione nella corsa scudetto diventa un macigno che inizia a travolgere tutto o quasi. Quella squadra non lo meritava. D’altronde questa è la storia di un’ingiustizia.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
/www.toronews.net/assets/uploads/202304/475c0ecafff548ff33e475aee02499f0.jpg)
/www.toronews.net/assets/uploads/202508/2152c6c126af25c35c27d73b09ee4301.jpg)