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È la mancanza di un ideale dietro al modo di portare avanti la quotidianità del Toro che annulla tutta la poesia e la passione che c'è nel tifare questa squadra. È nella mancanza di ragazzi che crescano con il sogno di giocare nel Toro piuttosto che nel Real Madrid o nel PSG che uccide “in culla” ogni diversità che meticolosamente era stata creata nel corso della storia impiantando migliaia di semi di tremendismo in chi faceva il percorso delle giovanili, così come tramandando milioni di sequenze di DNA granata nel sangue di tutte le generazioni di tifosi che dagli anni Venti del secolo scorso passando per l'epopea del Grande Torino fino al Torino del ‘76 e a quello del ‘92 avevano alimentato e si erano alimentati dell'unicità di un club che sapeva trasmettere emozioni spesso contrastanti, ma sempre uniche. Cos'è rimasto di tutto questo nel nuovo millennio? Cosa si è fatto per proseguire su questo solco da fine anni Novanta ad oggi? Spesso si dice che non tutte le colpe siano di Cairo perché da Calleri in avanti il declino del Toro era già cominciato prima che arrivasse il patron alessandrino: vero, ma 18 anni su 27 sono due terzi di questo periodo “buio” e soprattutto il peccato originale della presidenza Cairo è stato proprio quello di aver scelto volutamente di tagliare i ponti con il passato ignorando le vecchie glorie ed eliminando qualsiasi elemento “sentimentale” nella gestione della società a partire dal settore giovanile.
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Ho scritto mille volte che se Cairo avesse fatto delle cose “da Toro” gli si sarebbero perdonati molti degli errori che ha fatto, ma da questo orecchio il presidente non ha mai voluto sentirci, tirando dritto con le sue convenzioni e “distaccandosi” completamente da quello che la stragrande maggioranza dei tifosi gli ha sempre chiesto: non successi, ma un Toro che fosse Toro. Avesse almeno portato i primi probabilmente qualcuno avrebbe anche fatto buon viso a cattivo gioco (il mondo gira così, purtroppo…), ma oggi, dopo 18 anni, non abbiamo né gli uni né l'altro: né un Toro senz'anima, ma vincente e neppure un Toro “perdente”, ma con un'anima. Abbiamo il Toro visto a Monza. Una squadra che di “Toro” ha pochissimo, che naviga a vista tra alti e bassi e che vivacchia in quel mare magnum impersonale che è la medio bassa serie A, un mondo dove se si cambiano le magliette ai giocatori si fa fatica a capire qual era la loro precedente squadra perché è tutto così uguale e massificato che non vi è più alcun tratto distintivo in chi scende in campo in associazione alla maglia che indossa. La favoletta che è colpa del calcio che è cambiato regge fino ad un certo punto: ditelo a quelli dell'Athletic Bilbao che fedeli alla loro storia hanno oggi la propria squadra orgogliosamente quinta nella Liga senza un giocatore che arrivi da fuori del proprio territorio.
1, 10, 100, 1000 Zaccarelli ci vorrebbero in questo momento per scuotere le coscienze e non accettare che ci venga tolto un sogno: pareggiare a Monza, ma con un Toro che sia davvero Toro…
Da tempo opinionista di Toro News, do voce al tifoso della porta accanto che c’è in ognuno di noi. Laureato in Economia, scrivere è sempre stata la mia passione anche se non è mai diventato il mio lavoro. Tifoso del Toro fino al midollo, ottimista ad oltranza, nella vita meglio un tackle di un colpo di tacco. Motto: non è finita finché non è finita.
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