Sir Claudio ha l’incredibile tendenza a scegliere l’impasto del bene, e lo fa con quella naturale tranquillità e serietà di intenti da lasciare ogni interlocutore inadeguato, spiazzato dal suo non essere mai fuori posto, alla stessa stregua di un romanzo d’avventura a lieto fine ben scritto. Ci sono momenti in cui la vita si fa prepotente, sono quella sequela di istanti quotidiani in cui nessuno, ma proprio nessuno, vuole riconoscere il valore delle cose che hai fatto. È una corrente bastarda e apparentemente incontrastabile, talmente tenace da farti credere di essere la certificazione della tua morte. Per Ranieri questo momento arriva nel 2014, quando accetta il ruolo di Commissario Tecnico della Grecia e il suo bilancio sarà solo una sequela di risultati negativi. Ecco, allora, ripartire la litania di chi non vede l’ora di mettere in croce colui sprovvisto di quarti di nobiltà, un bravo figliolo è vero, ma alla fine un perdente con il sorriso. “Sembra anzi che la vita giri tutto tondo”, dice Don Chisciotte, e anche a sir Claudio deve essere parso così, quando undici anni dopo il Chelsea, l’Inghilterra lo richiama alla guida del Leicester, semplicemente perché il vecchio allenatore è stato licenziato per uno scandalo sessuale in cui sono stati coinvolti quattro giocatori, di cui uno è il figlio.
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La sensazione è di essere sempre considerato una ruota di scorta, quello chiamato all’ultimo secondo per cercare di mettere una toppa sopra un buco uscito davvero male. Sbarca in Inghilterra e gli arriva una bordata dall’Italia pubblicata su “Il Foglio” da Jack O’Malley: “una sola verità resta intatta. Nel calcio inglese, italiano o francese, qualunque sia la squadra che alleni, Ranieri arriva secondo”. Il dubbio continuo è un sentimento pagano, direbbe Lord Byron, e ciò contrasta con una cosa che sta alla base del calcio, come della religione: la fede. “Un allenatore è come un paracadutista – dice un giorno Ranieri in una onirica conferenza stampa al Valencia -: non sa mai davvero se il paracadute si aprirà”. Il calcio è nemico dello scetticismo. È vita che esplode più o meno come quando il Bing bang diede inizio alla storia infinita del palcoscenico sul quale ogni giorno saliamo. Ranieri chiude gli occhi, magari rincorre qualche preghiera, e poi si butta dall’aereo mandando a quel paese Jack O’Malley e l’ipotesi del paracadute che non si apre.
Parma, Sampdoria, Roma sono i suoi ceri accessi alla dea eupalla, ma è con il Leicester che compie il miracolo da tutti conosciuto. Vince la Premier League, destando una sorpresa simile più o meno come quando Gesù prese a camminare sulle acque davanti agli Apostoli davvero sbigottiti. A quel punto tutti i suoi più feroci detrattori devono arrendersi all’evidenza, perché non si può vincere il campionato più prestigioso del mondo, e con il roster tra i più sgangherati e originali di sempre, con l’aurea dell’eterno secondo. Vale una delle frasi più vere mai scritte da Aleksej Tolstoj: “se sulla gabbia di un elefante vedi scritto bufalo, i tuoi occhi non ci credono”. Sei nella terra di Charles Darwin e della Chiesa Anglicana dove, secondo Oscar Wilde, “un uomo ottiene successo non per la sua capacità di credere, ma per la sua capacità di non credere”. Nel regno dei Windsor i miracoli non hanno cittadinanza, tutto si deve sostentare sui sensi, ed è normale come in un contesto simile il Leicester di Ranieri venga catalogato come un insondabile, ed irripetibile, buco nero. Il tecnico romano da sempre l’idea di essere quell’atavico ad indicare il pensiero giusto, poiché anche nel calcio c’è bisogno di un senso di giustizia che perpetui la sua verità, senza la quale sarebbe ridotto solo ad una espressione di spettacolo (e so bene come ci siano forze che vorrebbero solo questo).
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Quando ho visto l’altra sera Ranieri piangere a dirotto per l’ennesimo traguardo raggiunto, mi è istantaneamente sovvenuta una frase della fede alla quale appartengo, a me molto cara: “siate pronti sempre a rendere ragione della speranza che è in voi”. L’altra sera, al fischio finale dell’arbitro Marco Guida, nella “terra dei lunghi silenzi” è partito un boato di felicità, un senso di gratitudine per un una persona che non ha perso aplomb e ottimismo nemmeno davanti all’ennesima domanda maliziosa sulla sua fama di essere solo un aggiustatore: “Io aggiustatore? Ognuno di noi ha un karma, evidentemente io ho questo”. Fantastico sir Claudio, ti sei caduto e rialzato tante di quelle infinite volte da accettare ogni vanità verbale con il sorriso. forse molti si dimenticheranno subito di te quando ti ritirerai dal calcio, ma non le tue isole. Esse sono circondate dal mare, e sanno essere grate agli uomini che per loro conto lo hanno sfidato e vinto.
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