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Giorgio Ferrini e la lavagna dei cattivi

Giorgio Ferrini (foto wikipedia)

Nel segno del Toro / Torna l'appuntamento con la rubrica di Stefano Budicin: "Il capitano scriveva sulla lavagna i nomi di coloro che a detta di Ferrini erano i cosiddetti giocatori "cattivi""

Stefano Budicin

Che cos'hanno in comune una lavagna e Giorgio Ferrini? Tutto, stando all'abitudine divenuta tradizione che il Campione dei Campioni aveva di utilizzarla per uno scopo piuttosto particolare.

Le lavagne tattiche hanno da sempre ricoperto un ruolo fondamentale nella storia del calcio. Le squadre le utilizzano per decidere schemi di gioco e studiare le disposizioni in campo, provare tattiche precise e capire quali strategie utilizzare per sorprendere l'avversario. Spesso è proprio su quelle piccole tavolette che il genio degli allenatori trova linfa vitale a sufficienza per realizzarsi ed esprimere il proprio potenziale riposto.

Giorgio Ferrini, classe 1939, ha rappresentato per molti uno dei volti più puri e iconici del cuore granata. Complice senza dubbio il numero di partecipazioni tenute con la maglia del Toro, ben 566. Le sue doti atletiche e la sua straordinaria abilità difensiva gli valsero vari soprannomi, dal celebre Diga al Capitano dei Capitani.

Negli anni sessanta, il Capitano dei Capitani aveva cominciato a sfruttare la lavagna di ardesia per un altro scopo, affatto singolare. Quale? Il capitano scriveva sulla lavagna i nomi di coloro che a detta di Ferrini erano i cosiddetti giocatori "cattivi". Si riferiva cioè a quegli avversari che, durante il match di turno disputato al di fuori del coro del Filadelfia, non si erano comportati in maniera sportiva. I loro nomi restavano impressi, marchiati con il gessetto sulla superficie della lavagna fino al giorno in cui si sarebbe giocato il match di ritorno, allorché era ora di restituire pan per focaccia alla squadra avversaria.

E come andava a finire? In genere il Torino si limitava a rimbeccare i giocatori colpevoli con piccoli gesti bruschi: colpi, calcetti, spallate, da intendere come veri e propri ammonimenti da parte di un team che sapeva, aveva visto, non perdonava facilmente gli sgarri subiti e sarebbero stati novanta minuti di pura tensione, da parte degli avversari, perché stavolta la partita si sarebbe giocata a casa dei granata, cinti e asserragliati da un polmone di migliaia di tifosi torinesi fieri e rabbiosi e pronti a tutto.

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La tradizione di segnare i nomi dei cattivi alla lavagna ubbidiva più a uno spirito goliardico che non a una questione di onore ferito da vendicare, scenario che si rifletteva nel gioco della squadra stessa, mai per un momento resasi colpevole di gesti o atteggiamenti antisportivi particolari. Nato come mero divertissement, divenne comunque un modo per "cementare lo spirito di gruppo, di dare compattezza alla squadra, ai suoi intenti", come scrive giustamente Franco Ossola nel suo libro Il Torino dalla A alla Z.

Per undici anni Ferrini guidò la squadra del Torino con un impegno e un'abnegazione esemplari, mettendo a punto un playmaking di proverbiale efficacia. D'indole mite e ritrosa fuori dal campo, era capace di mutare pelle non appena il fischio dell'arbitro segnava l'avvio del match, e allora la sua grinta non conosceva freni o inibizioni di sorta, il suo fiuto per le tattiche vincenti aveva la meglio e il suo polso fermo stimolava la squadra a lottare senza risparmiarsi, proprio come il toro immortalato nello stemma che tutti si facevano vanto di portare. Per tutto il tempo in cui dedicò le sue energie a portare lustro alla squadra, la Diga fu uno dei punti di riferimento più autentici e celebrati dai tifosi, omaggiato in continuazione con tributi, speranze e lodi a non finire.

Angelo Cereser, storico difensore granata degli anni '60-70, lo ricorda con la tipica commozione di chi abbia conosciuto da vicino una persona leggendaria perché umana fino al midollo: “Ferrini era una persona che nel momento del bisogno, di qualsiasi tipo in campo e fuori, te lo trovavi vicino ancor prima che tu te ne potessi accorgere. Era già lì, non c’era bisogno neanche di parlare".

Pochi mesi dopo il suo ritiro dal campo da gioco, Ferrini fu colpito da emorragia cerebrale e l'8 novembre 1976 morì all'età di 37 anni. Non fatichiamo a immaginarcelo, Giorgio, in qualche antro poco noto dell'universo, intento a radunare la squadra degli Invincibili attorno a una lavagna d'ardesia sulla cui superficie saranno impressi i nomi a caratteri cubitali dei cattivi di turno, ai quali far capire che scherzare con il Torino è un po' come attraversare la strada col rosso senza curarsi di guardare né a destra né a sinistra: un gesto di sfida che non porta mai bene.

Laureato in Lingue Straniere, scrivo dall’età di undici anni. Adoro viaggiare e ricercare l’eccellenza nelle cose di tutti i giorni. Capricorno ascendente Toro, calmo e paziente e orientato all’ottimismo, scrivo nel segno di una curiosità che non conosce confini.