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Le complicità createsi in spogliatoi passati, hanno consentito a questi quattro carneadi dell’analisi sportiva di avere con facilità ospitate di ex colleghi della pedata ora diventati importanti allenatori, direttori sportivi o qualsiasi altra diavoleria il calcio moderno si sia inventato o stia per inventare per collocare gli ex calciatori al suo interno dopo la fine di una luminosa carriera(l’ultimo è il caso di Zlatan Ibrahimovic diventato consulente, non si capisce bene di cosa, di Milan e Red Bird). Mi si sottolineerà la libertà dei club di assumere chi gli pare e persino con ruoli inventati ad hoc, come nel caso di Ibra, vista la natura aziendale/affaristico impostasi nel mondo del calcio, ma anche queste sono in tutta evidenza parole buttate nel vento del disordine e dell’arbitrio. “Exigua his tribuenda fides, qui multa loquuntur” (bisogna prestare poca fede a quelli che parlano molto), scrive Marco Porcio Catone, e pare un invito molto attuale a non far diventare la facilità di comunicazione offerta dalla rete preda di irresponsabili narcisi, colpevoli di aver fatto perdere ogni valore al “verbo”. I confini del pudore della parola, incitato dal diabolico “vietato vietare” in voga sin dalla fine del secolo scorso, sono stati spostati sempre di più in avanti fino a polverizzarli. E’ la mancanza di responsabilità, conseguenza del “vietato vietare”, che ora ci sta facendo assistere ad una quasi citazione teatrale goldoniana nel furente Bobo Vieri che in un secondo ha deciso di chiudere un passato di nulla, spacciandolo per il necessario passaggio verso il futuro di altro nulla.
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“Non smettete di seguire Bobo-Tv, abbiamo nuovi format in cantiere”, ha detto l’ex bomber della Nazionale, più adombrato che mai, mostrando di non conoscere la differenza tra “brand” e “format”. La gente che parla non è un format, è l’idea di come decidi di farla parlare e in che contesto semmai lo può diventare(l’esempio di “Quelli del Calcio” di Fabio Fazio ne è uno degli esempi più chiari), altrimenti tutto si basa sulla capacità di un brand, in questo caso la popolarità acquisita su un prato verde da Vieri e compagni, di tenerti incollato o meno davanti ad uno schermo. Vediamo di essere ancora più chiari: se domani mattina raggiungessi un accordo con Urbano Cairo e Gerry Cardinale per avere in un mio canale tutti i tesserati di Torino e Milan a mio piacimento, e ovvio come avrei migliaia di contatti facili e conseguentemente forieri della nascita di “Pennisi-tv”. Saremmo, in questo caso, di fronte ad un nuovo format? Forse sarebbe solo un approfittarsi a strascico della predisposizione di Cairo e Cardinale di farmi favorire della potenza evocativa del “brand” dei loro club e del “brand” dei loro giocatori.
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La popolarità offusca gli intelletti, fa mangiare addirittura i cibi indigesti di certe catene mondiali del fast-food incatenando la ragione alla mistificazione di un traguardo raggiunto(in questo caso nella degustazione del cibo), e impedisce la capacità di scelta che, ripeto, e anche responsabilità. La responsabilità, questa cosa dimenticata in chissà quale recesso, a cui mi ha fatto pensare un film in questi giorni nelle sale (“Tramonto a Nord Ovest”). Un piccolo film sabaudo/piemontese(nelle intenzioni e nell’animo. Ma qui il discorso sarebbe lungo), ma delizioso, immerso nelle vicende di un personaggio atono rispetto alla vita che gli scorre davanti, impossibilitato dal capire il valore di una scelta e quindi giunto alla conclusione come sia meglio non farlo, si definisce nel seguire la corrente solitamente priva di grandi sussulti ma incapace di sgradite sorprese. Un piccolo imprevisto lo spinge a prendere il suo zaino e ad inerpicarsi in un percorso di montagna, l’intenzione è quella di raggiungere una vetta. Qualunque essa sia. Gli incontri e gli imprevisti gli impongono decisioni vere, quelle dove quando si sbaglia o ci si prende chiede un prezzo da pagare, quelle dove la responsabilità è sovrana e non può essere dissolta dallo spegnimento di un supporto digitale. Il film mi ha toccato dentro e tornando a casa dopo la sua visione ho pensato: non possiamo sempre fuggire, non possiamo approfittare di internet per farlo. La vita reale non dipende da un brand o da una popolarità, non può essere ostaggio di un abbonamento a “Streamyard”, non la si riduca ad una triste allegoria del bar o di ciò che un tempo si è stati all’interno di uno spogliatoio.
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Il calcio è un bene comune, e come ogni bene comune va difeso da tutti noi che della comunità facciamo parte, e in questa difesa va inclusa anche l’informazione alla quale decidiamo di accedere. Dobbiamo difendere la qualità e l’anima del calcio, è nostra responsabilità. “A tutti quei maiali, vigliacchi e topi di fogna che la motivazione fosse economica una cosa dico: siete dei falliti.”, davvero a uno capace solo di pensarla una cosa del genere si vuole affidare il nostro tempo e la nostra informazione? “La cattiva notizia è che il tempo vola. La buona notizia è che sei il pilota”, ha scritto qualcuno, nell’intenzione evidente di esortarci finalmente di metterci alla guida dell’automobile delle nostre decisioni: non lasciamole facile prede di irresponsabili narcisisti provvisti di “brand”. Andiamo oltre e disegniamo il nostro futuro. Qualunque esso sia. In bocca al lupo.
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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