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Il calcio, è molto di più che il calcio

Sotto le granate / Torna l'appuntamento con la rubrica di Maria Grazia Nemour: "Io preferisco pensare che il calcio sarebbe ben poca cosa, se fosse solo calcio"

Maria Grazia Nemour

È iniziata la scuola, l’altra settimana aspettavo pazientemente mia figlia che vagava da oltre un’ora in uno smisurato negozio di cancelleria alla ricerca di album da disegno, gomme, pennarelli. Annoiata, mi cade lo sguardo su una serie di matite a fascette bianche e azzurre, carine… ne prendo in mano una e mi accorgo del logo idraulico stampato sopra, quello dal doppio tubo, in quel momento ci faccio caso: la metà della cancelleria esposta in negozio riporta quel logo. Indubbiamente un investimento di marketing senza competitori, una campagna pubblicitaria atta a perpetuare il messaggio “sono il migliore e sono dappertutto” perché a forza di ripeterlo, poi, uno finisce che ci crede. E chi se lo ricorda più che c’è stato qualcuno che ha truffato, qualcuno che ha comprato decisioni politiche, qualcuno che ha usato la violenza per arricchirsi e qualcuno che ha ucciso, con quel logo sulla maglia.

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Accuse mosse da vittimisti e rosicatori! – direbbero alcuni – ma la verità è che io vanto un lungo curriculum di difetti dove però non si registrano vittimismo e invidia.  Conosco invece la fierezza, ad esempio quelle provata quando capita che qualcuno, dall’altra parte della Manica, scelga una maglietta granata per parlare di sé prima che con le parole, con l’immagine. Già, l’irlandese Mick Wallace cerca nel guardaroba e poi si infila la maglia granata della sua squadra del cuore per entrare nel palazzo che è fondamentale espressione dei diritti degli uomini: l’Europarlamento. O almeno, bello sarebbe se così fosse. Ed è con quella maglia addosso che Wallace pronuncia il suo discorso a difesa dei salari minimi dei lavoratori, dell’urgenza che nel prossimo bilancio dell’Unione europea vengano distolti fondi dalla difesa per destinarli alla lotta contro la povertà.

È stata una coincidenza vestirsi a quel modo in un luogo in cui tutti entrano con la divisa d’ordinanza del politico medio, delle idee, medie?

Wallace proprio non ha trovato la voglia di stirarsi una camicia quella mattina?

Io preferisco pensare che il calcio sarebbe ben poca cosa, se fosse solo calcio.

Prendo atto di chi è convinto del contrario, di chi entra allo stadio spogliandosi delle sue idee sulla società, sulla politica, sulla giustizia e si dedica a un calcio che è unicamente un pallone che rotola, possibilmente verso il vertice della classifica. Una sospensione di puro svago. Ecco…forse se nel calcio avessi cercato unicamente questo, svago e vittorie, non avrei scelto di infilare una maglia incerta e agitata come quella granata. Voglio vincere – oh quanto voglio vincere! – ma non mi basta vincere. Cerco di più. Cerco un’esperienza simbolica che possa, in modo straordinariamente semplice, rappresentare contemporaneamente me, e un irlandese orgoglioso della propria identità e per questo aperto al confronto con chi ne ha una diversa, di identità. Nell’ultima intervista Wallace non è partito dalla notte dei tempi per dare un senso al suo essere granata, si è limitato a dire che in curva è a suo agio, condivide passione. Un’esperienza travolgente.

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E lo capisco il vecchio Mick, perché allo stesso modo io sono a mio agio con una maglietta del St. Pauli addosso – una realtà lontana fisicamente, vicina emozionalmente –  perché di quella curva condivido le scelte coraggiose che rendono quel calcio qualcosa di più, del calcio. E in questi giorni la rispolvero con orgoglio la maglia del St.Pauli, dopo aver letto che la società ha preso le distanze dal giocatore turco Sahain, che aveva pubblicamente esternato e ostentato il suo sostegno all’invasione del Rojava decretata da Erdogan. Il perché lo sa Sahain: magari ne è convinto, o magari “tiene famiglia”. Ne sa qualcosa il controverso ex-tante cose, tra cui ex-Galatasaray ed ex-Toro ed ex-politico, Hakan Sukur, che ha preso le distanze dal governo quando Erdogan ha imboccato la strada delle illiberalità, pagando la sua opposizione con l’esilio, il sequestro dei beni in Turchia e l’incarcerazione del padre, morto senza libertà qualche tempo dopo. “La mia é una lotta per la giustizia, per la democrazia, per la libertà e per la dignità umana. Non mi importa di quello che posso perdere se a vincere é l'umanità” ha cinguettato dalla gabbia dell’esilio un paio di giorni fa.

Se il calcio fosso solo calcio, nel 2013 le tifoserie di Istanbul non avrebbero ritenuto necessario fissare una tregua all’atavica rivalità cittadina per manifestare compatte al Gezi Park contro il governo, condividendo poi il destino di una violenta repressione da parte

Il calcio, è molto più che il calcio.

Erdogan condivide l’assunto e dedica grande attenzione all’immagine sportiva della Turchia, sa utilizzare argomenti convincenti per sollecitare i suoi atleti a prendere pubblicamente posizione a favore del regime.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, la guerra nella ex-Jugoslavia non sarebbe scoppiata il 13 maggio 1990, durante la mai disputata partita tra Stella Rossa e Dinamo, e Arkan – il capo ultrà della Stella – non sarebbe stato anche il braccio armato di Milosevic.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, la Primavera Araba egiziana sbocciata in piazza Tahrir non avrebbe visto la presenza di una forte componente ultras organizzata dello Zamalek e dello Al Ahly, gruppi ispirati alle formazioni ultras italiane degli anni settanta, gli anni delle rivendicazioni civili e sindacali. Qualche anno dopo, non ci sarebbe stato alcun massacro di tifosi all’Air Defence Stadium.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, in Brasile gli ultras della Torcida Organizada non sarebbero scesi in piazza contro gli sgomberi e la corruzione, e in Ucraina i tifosi non sarebbero le braccia, spesso armate, di organizzazioni filogovernative e di quelle filorusse.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, i Mondiali 2022 non sarebbero stati comprati cash dal Qatar e non si disputerebbero sopra il cimitero di vittime – al momento più di 1.200 le morti documentate da Amnesty International, ma le previsioni si spingono drammaticamente a più del doppio – che stanno costruendo le strutture contro il tempo e contro i diritti degli uomini.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, forse il Toro avrebbe a inventario, alla voce Immobili, il cespite “Stadio Delle Alpi”, in comproprietà al 50% con altro secondario club cittadino.

Se il calcio non fosse molto più che il calcio, da anni mi sarei data all’ippica. Possibilità, comunque, da tenere sempre in considerazione.

Mi sono laureata in fantascienze politiche non so più bene quando. In ufficio scrivo avvincenti relazioni a bilanci in dissesto e gozzoviglio nell’associazione “Brigate alimentari”. Collaboro con Shakespeare e ho pubblicato un paio di romanzi. I miei protagonisti sono sempre del Toro, così, tanto per complicare loro un po’ la vita.