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Riflessioni di un pezzo di m…

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L'episodio di Culto di questa settimana non è dedicato a episodi del passato, ma a una riflessione su quanto accaduto sabato scorso
Francesco Bugnone
Francesco Bugnone Columnist 

E pensare che domenica mi ero svegliato di ottimo umore. Dopo il fischio finale dell’ennesima partita soporifera e senza reti della banda Juric avevo deciso di staccare completamente dall’attualità per vivere in intimità il giorno della commemorazione di Superga. Le canzoni dei Sensounico e dei Bull Brigade in sottofondo, rivedere “Buffa racconta il Grande Torino”, recuperare il filmato di Buongiorno che legge i nomi dei caduti, ricercare qualche vecchio articolo. Tutto questo è stato terapeutico, perché, per esempio, sono riuscito a perdermi dichiarazioni come quella del presidente del Torino relative al fatto che trovarci quasi sempre nella parte sinistra della classifica era ciò che gli è stato chiesto all’inizio. Premesso che in realtà gli era stato chiesto di “fare come l’Udinese”, che ai tempi andava in Europa quasi ogni anno, ma anche se fosse stiamo parlando di diciannove anni fa e la squadra era appena fallita, nel frattempo il mondo del calcio (e non solo) è cambiato sedicimila volte e quindi sarebbe appena lecito cambiare le aspettative visto che squadre del nostro valore ci stanno passando tutte davanti (Atalanta, Fiorentina, Bologna. Chi saranno le prossime?) e noi restiamo fermi come il semaforo di Romano Prodi nel famoso sketch di Corrado Guzzanti, ma lì almeno era una strategia vincente. Secondo questo ragionamento andremmo ancora in giro con le carrozze nel 2024, però non divaghiamo, torniamo a domenica mattina.

Mi ero svegliato di ottimo umore, dicevamo. Le splendide testimonianze audiovisive di come i Torino Hooligans avessero colorato Superga nella notte, a dimostrazione di come dal Quattro Maggio 1949 la basilica sia un simbolo non solo di Torino, ma DEL Torino, qualunque cosa dica chi è salito a cercare di farsi notare prima del derby, contribuivano a farmi stare bene. Lo stesso si può dire di ciò che ha fatto il Toro Club San Mauro. A quel punto entro su X e vedo, ma soprattutto ascolto, ciò che ormai tutti noi conosciamo bene e l’umore cambia.

La prima sensazione è stata di disgusto. Lo stacco fra le voci al di qua del vetro e le facce di chi stava al di là, che accoglieva sorridente l’autobus non perché sopra ci fossero fior di campioni, ma perché in quel momento, volenti e nolenti, erano il Toro inteso come squadra, anche se sarebbe più giusto dire inteso come gente che ne indossa la maglia, è una cosa enorme. Uomini, donne, ragazzi, bambini, anziani sorridenti e bellissimi salutati da una voce anonima con “ciao ciao pezzi di merda” e commenti sui fischi della sera prima (ci torneremo).

La seconda sensazione è stata di distacco. Innanzitutto non me ne fregava nulla di chi fosse stato. Le gogne, mi ripugnano, perché non servono a nulla se non a sfogare le frustrazioni e io non sono una persona frustrata. Poi cosa mi importa di avere due nomi se magari le persone che pensano quella cosa all’interno del gruppo sono molte di più? Una volta avrei detto che a queste persone andrebbe spiegato cosa rappresenta Superga, perché a distanza di settantacinque anni commuove ancora e muove gli spiriti e gli animi di persone di tutte le età. Ma invece non va spiegato niente, o capiscono o non capiscono. E se non capiscono sono tutti c...i loro, si perdono delle cose enormi. Si perdono qualcosa da ricordare al di là dell’andamento della loro carriera e quella di parecchi di loro, al di là della parte economica che sarà sempre ottima, non sarà certo memorabile basandoci sul rendimento in campo.

Una cosa a queste persone andrebbe chiarita, però Il carrozzone dove sono e da cui ricevono lauti compensi su cui non discuto, perché se fai girare qualcosa che crea soldi e giusto che tu li prenda, sta su grazie alla passione dei tifosi. Scema quella, viene giù tutto. Quindi non dico che bisognerebbe baciare per terra dove passano i propri sostenitori, ma quasi visto che senza di loro non sarebbe proprio la stessa cosa. Si guardino altri sport di squadra, si paragonino gli stipendi e poi si rifletta un attimo. A meno che il tifoso debba essere quello che paga, tace e non può parlare se le cose vanno male perché tanto cosa vuoi che capisca e allora mi arrendo visto che ci sono anche vari giornalisti a sostenere la medesima tesi. Peccato che se i tifosi avessero il coraggio e il cuore di mollare per davvero il carrozzone si bloccherebbe anche per loro e si troverebbero a cercare un lavoro meno bello, ma anche qui non divaghiamo.

La terza sensazione è stata di liberazione. Perché il bello del calcio e del Toro sono la sua gente, perché il Toro è la sua gente. Se chi fa parte della squadra vuole esserlo ben venga, ma il Toro siamo noi, mica loro. Loro possono diventarlo e siamo qui a braccia aperte ad accoglierli, ma chi non vuole stia dov’è. Tra l’altro, al di là di qualche esagerazione verbale prevedibile visto lo squallore della faccenda, i tifosi sono stati buoni, maturi e giustamente incazzati per la situazione. Cosa più importante hanno mantenuto la rabbia anche col passare dei giorni, cosa che non sempre accade. Quindi possono dirsi gli unici a essere usciti bene da questi giorni folli.

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Perché è successo questo? Non sono d’accordo con Serino Rampanti, e mi duole non esserlo visto l’affetto che provo per uno dei simboli del Tremendismo pur non conoscendolo personalmente, quando parla di giovani che vivono in una bolla. Non faccio parte della categoria da una ventina d’anni, ma giovani ne conosco parecchi e non è così, è una generalizzazione troppo grande per includere persone così eterogenee e che, fuori da certi mondi, stanno vivendo una realtà con prospettive economiche, e non solo, sempre peggiori. I calciatori nella bolla ci vivono eccome visto lo stile di vita che una professione come la loro può portare, però c’è chi ha l’intelligenza di farla scoppiare e di rapportarsi bene col prossimo e chi non ha alcun interesse e rimane lì. I tifosi sono solo delle groupies che devono urlare verso i loro dei che, con un certo fastidio, gli faranno un cenno o concederanno una foto. E guai se fischiano, per carità, come osano.

Già, i fischi. I fischi venerdì sera non sono arrivati per lo 0-0 contro il Bologna in sé, ma per una sommatoria di partite allucinanti (per citare un aggettivo tanto caro al nostro allenatore, ma non con diversa accezione) senza nemmeno la gioia effimera del gol con la narrazione che diventa un assurdo (i clean sheet, che figo!), col numero di palle gol costruite nelle ultime partite che, sommate, fanno quelle di una partita normale. L’ultimo gol su azione in casa è in Toro-Lecce, andate a guardare la data della partita. Eppure la gente è sempre lì che sostiene e se si permette di dissentire per mezza cosa diventa stronza o peggio, mentre continua ad assistere uno spettacolo che, rapportato ad altri incontri di calcio, ti fa dubitare di che sport stia guardando con l’angosciante sensazione, man mano che passano i minuti, che non ce la farai a vincere nemmeno stavolta che davanti tu abbia la Salernitana che ha perso con tutti o il Frosinone che ha beccato ottocento gol. Aggiungiamo a questo il nervosismo che un allineamento assurdo dei pianeti ti aveva di nuovo aperto la possibilità di farti qualche giro in Europa e crearti qualche ricordo coi tuoi compagni di tifo che non fossero le solite cose, ma ancora una volta hai buttato tutto nel cesso.

Purtroppo la situazione creatasi il Quattro Maggio è stata l’ultima di una serie di orrori iniziata dalla lite Juric-Vagnati, con l’ammutinamento di Lukic, col doppio medio del tecnico contro il Sassuolo, con le conferenze stampa in cui ci veniva spiegato come tifare rapportandoci a chiunque (e se chi ti guida non ti stima particolarmente, tu giocatore come fai a considerarlo bene?) e con situazioni ancor più gravi e oscure che non voglio citare. Le prime scuse sono arrivate nel pomeriggio di oggi col comunicato firmato “La squadra”, segno che non se ne potesse più fare a meno. Ne prendo atto, ma non mi impressionano particolarmente.

Tornando per l’ultima volta ai giocatori, si parla tanto di professionismo e professionismo è fare bene il proprio lavoro. Nel lavoro del calciatore, proprio perché muove quelle grosse passioni che racconto ogni mercoledì su queste righe, ci sta anche il sapersi comportare e il saper discernere fra il cosa fare e il cosa non fare, non dico conoscere la storia della propria squadra (anche se sarebbe cosa buona e giusta e ovviamente non parlo solo del Toro), ma sapere che certi comportamenti non te li puoi permettere. Certo, c’è una società che non è in grado di dare alcun rudimento di granatismo, ma i calciatori sono giovani, non bambini. Altrimenti perché un Gazzi, un Vives, un Maxi Lopez, un Darmian, un Glik (e non vado volutamente più indietro) sapevano dove si trovavano e altri no? Sveglia.

Sono del Toro da quando avevo sei anni. Nel 1994 ho avuto chiaro che ci sarebbe stata una cesura, un prima e un dopo ed ero ancora un ragazzo. Mi sono illuso di essermi sbagliato a volte, ma forse è il Toro stesso che è un concetto troppo grande per morire davvero anche quando cercano di farlo fuori in qualsiasi maniera possibile e immaginabile. Ogni tanto torna. Magari un giorno tornerà per rimanere, non so quando, non credo con queste persone al comando, forse non lo vedrò neanche, però nella sua gente vive ancora e vive sempre, in chi continua a seguirlo e in chi ha mollato, in chi ha quindici anni e in chi ne ha ottanta. Ed è a questa gente, è a noi tifosi che voglio bene. Chi non lo capisce, chi ci offende mi fa solo ridere amaro. Noi siamo meglio di loro. Anche se siamo dei pezzi di m.... Ci vediamo mercoledì prossimo.

P.S. C'è una persona a cui dobbiamo chiedere scusa noi. Nel 2003/2004 il Toro sta facendo così male in serie B che la squadra viene caldamente invitata a non presentarsi a Superga il Quattro Maggio e così sarà. L’allenatore di quel Toro è Ezio Rossi e lui, un ragazzo del Fila, un granata di titanio, è costretto a salire al Colle di nascosto. Scusa, Ezio. Scusa davvero.

Classe 1979, tifoso del Toro dal 1985 grazie a Junior (o meglio, a una sua figurina). Il primo ricordo un gol di Pusceddu a San Siro, la prima incazzatura l'eliminazione col Tirol, nutro un culto laico per Policano, Lentini e...Marinelli. A volte penso alla traversa di Sordo e capisco che non mi è ancora passata.

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