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Con la sostanziale differenza, però, che i francesi rilevarono il prestigioso marchio emiliano per 4 miliardi di euro), riuscendo a segnalarsi, riguardo la gestione economico/industriale, esclusivamente per essere riuscito a portare la terza emittente italiana in un bilancio in sostanziale pareggio(impresa, visto i trascorsi, non da poco). Per il resto l’audience medio dell’ex creatura di Telecom è sempre inchiodata lì, tra il 4 e il 5%. L’epigono di Silvio Berlusconi, nella decisione di gestirla al meglio, assume un orientamento editoriale sorprendente visto il suo passato di apprendistato con il fondatore di “Forza Italia”, e “appalta” la sua tv a quella sinistra liberal cattocomunista nata dalle ceneri del PCI e della corrente laico/cattolica sopravvissuta al naufragio della Democrazia Cristiana. Fiutare l’opportunità, capire dove tira il refolo di vento rimasto da poter catturare, non fare il passo più lungo della gamba, e, soprattutto, tenere sempre a mente la celebre massima di Deng Xaoping: “non importa se il gatto è bianco o è nero, l’importante è che acchiappi i topi”. Una rete “All-News”, come nel caso de “La7”, se non hai qualche idea davvero innovativa e se non diventa pluralista, in un Paese come l’Italia, annoiato e disattento sulla politica, il rischio di far rimanere tutto nello status quo è altissimo. Ma, come detto, all’editore alessandrino lo status quo piace da morire, è il brodo di giuggiole incastonato nel suo intimo.
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Con il Torino Calcio non si è smentito; lo ha preso, come “La7”, a un prezzo simbolico e la dote l’ha trovata nei diritti tv del calcio. Anche qui il nostro non si smentisce, e porta il club in acque tranquille per lasciarlo lì a “marinare” in modo indefinito, obbligandolo a galleggiare nel limbo del centro classifica. Niente scossoni, niente sfide, niente azzardi, applica al calcio il teorema dell’accappatoio morbido di marca e dei sandali da Spa di lusso immersa tra le dolomiti, dove staccare dalle fatiche del quotidiano. Ci si spenda anche una cifra interessante, si esibisca il giusto, ma che il relax non si trasformi in occasione di sperpero. Andare oltre potrebbe costituire un vulnus al suo stato d’animo. All’inizio deve essergli sembrata una buona idea quella di adottare nella gestione del Toro l’analogo modus operandi usato nell’editoria, soltanto che il calcio e i suoi tifosi non sono qualcosa da poter comparare ad un giornale e ai suoi lettori. Le informazioni si subiscono con pazienza e nel sentore di uno stato di necessità, una squadra di calcio trasuda impazienza e bisogno di amare qualcosa in cui riconoscersi. L’errore di confondere le due cose è marchiano per un uomo intelligente e capace come Cairo, e ancora riesce difficile capire come in questo stia perseverando.
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L’affezione dei tifosi senza una adeguata campagna di marketing o miglioramento del prodotto(in questo caso il roster della squadra), rende il calcio un vero business atipico, un qualcosa che sfugge ad una qualsiasi analisi sociale di mercato atta a trovare un giusto riferimento di gestione d’impresa. Lo sport più seguito al mondo è storia di uomini, di talento, di aspettative e di rivalità, ed è inchiodato ai dettagli più di qualsiasi altra vicenda umana presente nel mondo. In questo contesto gestire a mo di galleggiamento un brand ricco di epica sportiva e sociale come oggettivamente è il club granata è quasi incomprensibile, soprattutto perché il Toro è sempre stato agli antipodi rispetto allo status quo. Torino, Corriere della Sera e La7 sono un po’ lo specchio della crisi italiana di sistema, inchiodata nell’incapacità evidente di prefigurarsi in un futuro diverso dall’attuale stato delle cose, inchiodata in un presente anonimo dove l’unica cosa importante è scostarsi dal rischio di andare in default e tirare a campare in fondo piuttosto bene. “Ci sono 10.000 famiglie collegate in qualche modo al mio Gruppo”, ha detto di recente Cairo, lasciando intendere come senta la responsabilità dell’avvenire di tutte queste persone(e questo gli fa onore), ma temo lo status quo non sia la medicina giusta per ottemperare al meglio a questa responsabilità, e spendere 200.000 euro per i diritti della “Saudi League” non sono la prosecuzione della linea di Enrico Mattei in Medio Oriente, ma solo un abboccamento molto prudente per vendere qualche spot pubblicitario in più in modo facile, sull’onda emotiva di celebri calciatori sbarcati all’ombra delle dune.
Ogni promessa deve essere ancorata in una percezione di futuro chiaramente dimostrata, non si può continuare ad annunciare una generica alba in cui, parafrasando la celebre romanza, alla fine “vincerò”. Per l’alba, tra l’altro, c’è ancora tempo, e nella lunghissima notte che si sta vivendo riesce persino difficile avere persino un pallido ricordo del sole, e molti stanno cominciando a dubitare possa addirittura esistere. Lo status quo non scalda e non illumina, fa vivere solo un ricordo del sole che fu, abbandonandoci “nell’inverno del nostro scontento”. Ed ora, per favore, qualcuno chiami la pausa pubblicitaria…
Scrittore, sceneggiatore e regista. Tifosissimo granata e già coautore con il compianto Anthony Weatherill della rubrica “Loquor” su Toro News che in suo onore e ricordo continua a curare. Annovera, tra le sue numerose opere e sceneggiature, quella del film “Ora e per sempre”, in memoria del Grande Torino.
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